Il ritorno dei “cocoriti”

Indubbiamente, e giustamente, vedendo alcune recenti immagini di quello che dovrebbe essere il “mondo moda”, ci si può fare un’idea del tutto-frivolo-fatuo-superficiale-ultra discutibile. E talvolta – ammettiamolo – un po’ (o molto!) comico. Un’immagine distorta, dovuta a quel pubblico che si accalca agli ingressi delle sfilate in ed extra calendario, e dei molti eventi collaterali (inaugurazione di nuovi punti vendita, ricevimenti, cocktail: 170 nel corso dell’ultima settimana della moda a Milano!). O anche fra i saloni di Pitti Immagine riuscendo, con i più vari stratagemmi, ad ottenerne l’ingresso.

Ritornano ad ogni stagione: i “cocoriti” – sempre più numerosi, presenti per vedere ma, soprattutto, per farsi vedere – fra  whatsup e selfie, in abbigliamenti da Carnevale di Venezia, sono ben lontani da chi veramente rappresenta questo “variegato pianeta” nel quale tutti – dai grandi stilisti, agli addetti ai vari compiti che portano alla realizzazione di un capo d’abbigliamento – si presentano in modo normalissimo. Vediamo un grande come Giorgio Armani, che si presenta in tuta e sneakers, o jeans con maglione e mocassini, per indossare – nelle occasioni che lo richiedono – uno dei suoi impeccabili smoking. E vi è chi ricorda Ferrè, o Versace, sempre in abbigliamenti “normalissimi”, pur esprimendo ognuno la propria personalità. E chi non ha ancora presenti le immagini  di Laura Biagiotti, o Krizia, ieri? Ed oggi  quelle di Miuccia Prada, e Maria Grazia Chiuri?

E scusate per un flash-back che si riaffaccia, prepotente e quasi inevitabile, a dimostrazione di come – inoltre – i “cocoriti” non siano una novità, riportando addirittura alla fine degli anni ’80, quando vi era a Firenze Pitti Trend, salone che – inserendosi fra l’Uomo e il Bimbo, ancor oggi super vitali- era dedicato all’abbigliamento dei giovani. In molti erano riusciti ad entrare: punk, new wave, wonderland, post modern, new dandy: le varie correnti si incontravano, discutevano, quando non criticavano, disprezzavano, proclamavano “finiti, vecchi e noiosi” i grandi stilisti. Valentino? Chi lo conosceva più. Armani? Sì, più giovane ma ormai finito.

Nel trionfo della divisa – il tutto nero, il gambaletto, il pantalone alla cavallerizza (o alla zuava, o a pinocchietto) – completati da palandrane e zimarre, stivali grande guerra del 15-18, il cow-boy, il ranchero, la frangia dei pellerossa, ancora qualche ciuffo punk, i Visitors, il déjà-vu del déjà-vu del déjà-vu. Fra questi, spiccavano una “lei” in pantaloni da paggio, stivaletti da cercatrice d’oro, berretto alla Corazzata Potëmkin, giubbotto cerato con file di anelli e di metallo e collane ad anello; due “lui” in completo di raso nero con fusciacca colorata, grandi ricami e spille, fila di penne da cocorito (appunto!) che scendevano dai capelli a treccine; l’altro in short informi, giarrettiere che trattenevano le calze semi cadenti (cattiva copia del Richetto di Mago Zurlì), blusa plastificata gialla, berretto da ciclista, cinque anelli all’orecchio (uno al lobo, quattro al padiglione): mancava l’anello al naso! E nel loro “Carnaval Style” qualcuno disegnava, altri copiavano o tentavano di fotografare (era proibito) ciò che indossavano altri gruppuscoli. Prosit!

Se nominavi loro Poiret, Worth, la Schiaparelli, non parliamo di Miss Bloomer (chi???) ti guardavano con aria stupita, di sufficienza se non ritenendoti un alienato: purtroppo, come molti studenti di scuole superiori che, oggi, non sanno chi è stato Pico della Mirandola, o Enrico Berlinguer, o Nenni, non parliamo di De Nicola, De Gasperi o Einaudi o – come abbiamo sentito recentemente – Rita Levi Montalcini; inoltre,  ritengono Costantino l’imperatore che sposò Poppea, e fece  distruggere Roma con un incendio!

E – guarda un po’! – dei “cocoriti” anni ’80 non è rimasta traccia; quelli che erano ritenuti “vecchi” stilisti, ormai sconosciuti, già finiti, hanno costruito imperi. E fra loro vi è chi va ancora di successo in successo. Fortunatamente, abbiamo tanti giovani che ci fanno onore, in Italia ed all’estero, nei più vari settori, senza doversi esibire. Anzi, guardandosi bene dall’esibirsi se non con, e per, il loro lavoro.

Il pubblico, perciò, faccia scendere un ampio sipario sulle “immagini cocorite” viste nei giorni delle filate, mentre ai “cocoriti” del duemila consigliamo di leggere (se ci riescono) Manfred Spitzer.

 

 

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