Il ruolo secolare dell’Accademia di San Luca raccontato in una mostra

Con il nuovo Dpcm sono chiusi in Italia musei e mostre, per tutta la durata del nuovo decreto. Il 21 ottobre, l’Accademia di San Luca – illustre istituzione romana, sorta nel Cinquecento come corporazione di pittori e gradualmente trasformatasi in un’accademia per la formazione degli artisti – aveva aperto le porte ai primi visitatori della mostra Raffaello. L’Accademia di San Luca e il Mito dell’Urbinate.

di Serena Quagliaroli

Raffaello. L’Accademia di San Luca e il Mito dell’Urbinate è una mostra che, nella sede di Palazzo Carpegna, riunisce una preziosa selezione di 45 opere che illustrano il ruolo avuto dall’Accademia di San Luca nella costruzione, nella promozione e nella diffusione del mito di Raffaello tra il tardo Cinquecento e il Novecento.

Tra i curatori di questa mostra c’è una ricercatrice dell’Archivio del Moderno (Accademia di Architettura, Università della Svizzera italiana): Stefania Ventra. In questa intervista, la studiosa racconta l’origine e le caratteristiche di questa iniziativa, le difficoltà attraversate nell’organizzazione e le novità emerse dalle ricerche.

Come è nata l’idea di questa mostra?

L’idea di provare a raccogliere, ordinare e riflettere sulle opere e sui materiali legati a Raffaello nasce innanzitutto dalla lunga collaborazione che Valeria Rotili e io abbiamo avuto con l’Accademia Nazionale di San Luca, dunque dalla dimestichezza con il patrimonio dell’istituzione. Si tratta infatti di una mostra composta prevalentemente da opere che appartengono all’Accademia, ma che normalmente vivono la loro vita nei depositi: in molti casi sono poco note o addirittura del tutto inedite. Francesco Moschini, Segretario Generale dell’Accademia, ha immediatamente accolto con entusiasmo la proposta: è così nato un progetto, sostenuto da un prestigioso comitato scientifico, che ha ottenuto il patrocinio del Comitato Nazionale per le celebrazioni del quinto centenario della morte di Raffaello istituito dal MiBACT e che infine è stato realizzato grazie all’allestimento curato da Francesco Cellini, Presidente dell’Accademia.

Il percorso si snoda tra i diversi piani dell’Accademia, permettendo al visitatore anche di approfondire la conoscenza di questa importante istituzione. Quali sono le tematiche proposte nelle diverse sezioni?

Le prime tre sezioni sono collocate nella galleria accademica e si intrecciano perfettamente con le sale dell’esposizione permanente. La prima sezione della mostra è dedicata alla pala raffigurante San Luca che dipinge la Vergine, opera-simbolo dell’Accademia e oggetto privilegiato dal dibattito critico. La seconda sezione è dedicata a Raffaello nella cultura e nella didattica accademica: qui, attraverso disegni realizzati dai giovani nelle prove di concorso tra Seicento e Settecento, viene illustrato come l’Urbinate sia sempre un riferimento costante sia per l’esercizio della copia guidato dai professori, sia nella rielaborazione autonoma da parte dei giovani artisti. La terza sezione rende conto della fortuna del Putto reggifestone attribuito a Raffaello, frammento di affresco pervenuto nelle collezioni accademiche nel 1834 grazie al lascito del pittore Jean-Baptiste Wicar. Si tratta di un oggetto misterioso, sul quale, proprio in occasione di questa mostra, è stato avviato un nuovo cantiere di studio interdisciplinare. Infine, l’ultima sezione è allestita nelle sale espositive del pian terreno, dove una galleria di opere dimostra come i grandi maestri accademici tra Seicento e Novecento abbiano continuato ad attingere a quel serbatoio inesauribile che è l’opera raffaellesca, rielaborando il magistero dell’Urbinate secondo la propria personale ricerca artistica e secondo la cultura del proprio tempo. Lo dimostra Achille Funi, che nel 1962 si ritrae facendo campeggiare alle sue spalle la Velata di Raffaello. 

Possiamo immaginare che i mesi scorsi non abbiamo reso semplice il lavoro di voi curatori. Quali sono state le difficoltà maggiori da affrontare nell’organizzare una mostra al tempo del COVID-19?

I problemi legati all’emergenza sanitaria sono stati molti. Innanzitutto, la possibilità stessa di aprire la mostra è stata in bilico fino all’ultimo, dato il clima di incertezza e, soprattutto nelle ultime settimane, l’impennata dei contagi che ancora oggi ci fa temere una chiusura anticipata dell’esposizione. Per quanto riguarda la fase di preparazione, i principali problemi sono stati tre: l’impossibilità di restaurare tutte le opere che era previsto fossero restaurate, dovuta ai mesi di blocco totale di ogni attività che tutti abbiamo vissuto nella primavera scorsa; le difficoltà nei trasporti, che hanno riguardato soprattutto l’importante prestito francese; l’impossibilità prima e la difficoltà poi da parte nostra e dei molti autori che hanno collaborato al catalogo di reperire fonti e bibliografia utili alla stesura dei contributi. Quella di inaugurare comunque questa mostra è stata però una scelta operata nella convinzione che l’apporto della cultura al vivere sociale sia imprescindibile, anche e soprattutto in momenti di difficoltà. 

E quali sono le principali misure adottate per permettere la visita della mostra in sicurezza? 

Palazzo Carpegna è stato dotato di tutti gli strumenti necessari a garantire la visita in sicurezza: dai percorsi alternati che impediscono l’incrocio dei visitatori che entrano con quelli che escono, alle postazioni per la disinfezione e per la misurazione della temperatura all’ingresso, fino alla scelta di allestire, laddove possibile, le opere in modo molto rarefatto. Si è inoltre adottata una modalità di visita per turni di massimo otto persone e solo su prenotazione, il che comporta certamente una restrizione alla visibilità della mostra, ma in questo momento la priorità dell’istituzione e di noi curatori è quella di non contribuire in alcun modo alla diffusione del contagio.

L’Accademia ha poi investito molto nella documentazione foto e video della mostra, per consentire la visita da remoto. 

La mostra è accompagnata da un agile catalogo, a cura sua, di Valeria Rotili e di Francesco Moschini, edito dall’Accademia Nazionale di San Luca. Ci sono delle novità particolarmente significative da segnalare? 

Abbiamo scelto una formula inconsueta per il catalogo, che è privo di saggi e composto esclusivamente – fatta eccezione per le introduzioni dei curatori – da lunghe schede dedicate alle opere. Questo, proprio perché in un percorso tanto articolato, per cronologie e per temi, ma profondamente radicato intorno alla narrazione del ruolo dell’Accademia in rapporto alla diffusione del mito di Raffaello, abbiamo voluto che fossero proprio le opere a parlare, a raccontare la storia che la mostra intende illustrare. Abbiamo potuto farlo grazie alla disponibilità degli autori, ai quali siamo profondamente grati.

Penso che le maggiori novità contenute in questo catalogo riguardino la lunga scheda dedicata al Putto reggifestone. Si tratta di un testo a tre mani in cui Paolo Violini e Claudio Falcucci hanno riassunto i primi risultati delle campagne di analisi tecniche e diagnostiche, e in cui Silvia Ginzburg ha ricostruito una pista plausibile e molto convincente per la possibile provenienza dell’opera, con tutte le cautele del caso, ma riconducendola al milieu della committente bolognese della Santa Cecilia

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