«Il sole che verrà»: incontro con Pippo Pollina

Pubblichiamo una parte dell’intervista di Alessandro Vaccari al cantautore Pippo Pollina. La versione integrale dell’intervista è pubblicata sul Corriere degli Italiani (05.02.2020).

di Alessandro Vaccari

Per cominciare ci vuoi parlare della tua esperienza giovanile con Pippo Fava e della tua successiva partenza da Palermo?

L’esperienza con Fava e con il periodico “I Siciliani” durò solo otto mesi circa perché Pippo fu ucciso nel gennaio dell’84. Io allora studiavo legge e volevo fare il cronista politico: mi sembrò un’ottima occasione per fare apprendistato, cominciando a scrivere di politica.

Fava, d’altra parte, era molto aperto verso i giovani giornalisti e così insieme ad alcuni altri studenti iniziai a conoscere non solo i primi rudimenti dell’indagine giornalistica ma anche i vari aspetti della creazione di un giornale: titolazione, impaginazione ecc.

Ci fu inoltre permesso di creare un supplemento del giornale che si chiamava “I Siciliani giovani”. Fava era l’anima, il cuore pulsante di quell’esperienza, che infatti terminò poco dopo.

Successivamente scelsi una sorta di esilio da Palermo e dall’Italia anche per tante cose che non mi piacevano del Paese. Per me che cominciavo a entrare nel mondo della musica c’era anche l’insofferenza verso una mentalità che considerava questa espressione artistica come una sorta di intrattenimento leggero e non un importante elemento della nostra vita culturale. La canzone d’autore stava andando in una direzione che non mi piaceva e dovevo cercare altri mondi in cui quella che consideravo la mia proposta culturale potesse avere il giusto riconoscimento. Ho avuto ragione. Ho quindi ricominciato da zero come sempre nella vita bisogna avere il coraggio di fare.

La tua produzione artistica è sempre accompagnata da una costante passione civile?

Sì, le questioni che riguardano la nostra vita sociale e la nostra presenza su questo pianeta sono tutte entrate a far parte del mio Canzoniere. Ho sempre creduto che la canzone potesse essere uno strumento per andare al di là delle nostre emozioni individuali per parlare della nostra vita in comune, degli aspetti sociali e politici del nostro passaggio sulla terra. Naturalmente ho sempre cercato di rispettare le caratteristiche specifiche della musica come metalinguaggio e quindi di rielaborare, in forma musicale, i contenuti di impegno sociale e politico che nella mia produzione coesistono con aspetti più intimi e personali. In altri periodi si è sentito il bisogno di politicizzare ogni esperienza culturale e quindi anche la produzione musicale. D’altra parte, nella storia si alternano periodi di impegno e di disimpegno ma in ogni caso non bisogna mai dimenticare che, quando si fa arte, si fa arte.

Rispetto all’impegno e al disimpegno a cui accennavi come vedi la fase attuale?

Le nostre società hanno conosciuto, dopo la seconda guerra mondiale, un periodo di pace e di benessere senza precedenti. Questo ha indotto una certa stanchezza e una conseguente attenuazione dell’impegno sociale e politico. Dopo la guerra le società europee erano attraversate da una fortissima volontà di impegno per la ricostruzione. Oggi bisognerebbe ritrovare quell’incrollabile volontà di rinnovamento senza dover ricorrere a una guerra come pulizia del mondo, come la intendevano i futuristi. Si tratta di una sfida importante anche perché l’umanità si trova di fronte alla necessità di salvare la vita sul pianeta.

È necessario conservare le conquiste dello sviluppo tecnologico senza compromettere l’ambiente naturale. Si tratta di una sfida difficile anche perché richiede di mutare nel profondo il nostro stile di vita.

Qualcuno pensa che potrebbe essere troppo tardi e che alcune conseguenze della catastrofe climatica siano ormai inarrestabili.

Può darsi che in questo ci sia qualcosa di vero ma in ogni caso bisogna provare a intervenire da subito per evitare il peggio. A me pare che, a partire dai giovani, ci sia una volontà di mutare profondamente il nostro modo di rapportarci alla natura, Certo, gli uomini si mobilitano solo davanti alle grandi sciagure ma mi pare che cresca il numero di coloro che comprendono il pericolo di aver imboccato una via senza ritorno. Comunque stiano le cose, abbiamo il dovere di fare tutto quello che possiamo per lasciare ai nostri nipoti un pianeta vivibile.

Durante una delle tue esibizioni a Lucerna il musicista svizzero Linard Bardill ti notò e ti propose di lavorare con lui. Sembra la conclusione di una fiaba: le cose sono andate proprio così?

Sì, in effetti l’incontro con Linard è andato proprio così e lui, ascoltandomi all’uscita di un centro commerciale, intuì le mie potenzialità. Tuttavia, per cominciare ad essere conosciuto e apprezzato, dovetti continuare la mia gavetta infinita. In realtà la vita è sempre per tutti un continuo chiudere e riaprire le pagine della propria esperienza, ricominciando ogni volta quasi da zero, in un processo di continuo rinnovamento, senza che mai possiamo pensare di aver raggiunto un approdo definitivo.

Linard è un grande amico ed è stato per me un maestro, in quanto mi ha introdotto nella scena musicale svizzera, mostrandomi i meccanismi del suo funzionamento che mi erano sconosciuti. Mi ha insegnato il metodo di lavoro con cui bisogna operare a queste latitudini che è completamente diverso da quello che conoscevo. Mi ha fornito una grammatica che mi ha permesso di elaborare una sintassi per operare nel sistema culturale locale.

Un altro momento importante della tua carriera artistica è l’incontro e la collaborazione con Konstantin Wecker.

Kontantin è un altro amico che mi ha introdotto nella scena musicale austriaca e tedesca.

Anche lui ha capito le mie potenzialità e ha mostrato il piacere di collaborare con me nel corso del tempo. L’anno per me fondamentale fu quando, trentenne, ebbi con lui il rapporto più intenso di collaborazione che mi ha permesso di farmi conoscere in un ambito molto più vasto di quello della Svizzera tedesca.

Come spieghi che la tua canzone d’autore italiana sia così apprezzata da un pubblico che spesso non conosce la nostra lingua?

Cerco sempre di introdurre in tedesco le storie che racconto con le mie canzoni e questo permette al pubblico di entrare nel mio universo narrativo. Il mio destino è quello di gettare ponti fra mondi e culture diverse.

La bella canzone “Helvetia” del 2014 mi sembra rappresenti una dichiarazione d’amore complessa ma per questo forse più vera al Paese in cui viviamo.

Sì, è giusto, si tratta di un amore complesso che richiede in questo caso di essere spiegato con molte parole, mentre in altri tipi di amore le parole sembrano superflue o addirittura controproducenti. Per questo ho scelto di scrivere una ballata lunga con un testo verboso.

Verboso non mi sembra l’aggettivo adatto, al contrario mi pare che tu sia riuscito a esprimere quel sentimento che anch’io, come molti altri che vivono in Svizzera da tanti anni, non riesco a esprimere, al di là dei cliché di cui la Svizzera è vittima anche in Italia.

La Svizzera si presta a essere vittima di cliché in quanto è un paese estremamente complesso, che a prima vista non esercita un grande fascino e che ha bisogno di essere conosciuto in modo approfondito. È un paese piccolo in cui si parlano quattro lingue che sono espressione di quattro culture diverse e che si distingue dagli altri grandi paesi europei, sostanzialmente monolinguistici  e monoculturali. A questo si aggiungono altre particolarità elvetiche quali la neutralità, la non appartenenza all’Ue, forme di governo e di democrazia particolari. È anche notevole che tutte queste diversità anche interne non impediscano una convivenza civile pacifica. Certo il benessere attuale ha in questo un ruolo fondamentale ma non unico per la coesione sociale e culturale del Paese.

In maggio in Svizzera si voterà per un’iniziativa che, se approvata, eliminerebbe la libera circolazione prevista dal trattato di Schengen attualmente in vigore anche in Svizzera e quindi allontanerebbe in modo decisivo la Confederazione dall’ Ue. Come cittadino italiano e svizzero come vivi questa eventualità?

Sarebbe molto grave se l’iniziativa avesse successo ma non credo che succederà. Certo è inquietante l’esistenza di una destra che ha la forza di agitare questi fantasmi anche se alla fine spesso non riesce a portare a compimento i suoi piani. Io comunque parteciperò al voto come faccio sempre quando si tratta di esprimersi su questioni importanti.

Alla luce di tutta la tua esperienza, qual è il tuo rapporto attuale con l’Italia in generale e con la Sicilia in particolare?

Un continuo sentimento di amore e odio che credo appartenga a molti italiani che vivono qui da tanti anni. Amore verso tutte quelle cose che senti tue e che appartengono a te e al tuo sentire perché sei nato con loro e quindi ti riconducono alle tue origini.

Poi sopraggiunge la ragione e la riflessione e subentra l’odio per tutto quello che non ti piace e che spesso è oggettivamente ingiusto. Tutto questo crea una costante e ineliminabile situazione di conflitto. Questo vale nella stessa misura anche per la Sicilia.

Se dovessi tornare in Italia, sceglierei comunque la Sicilia, dove esiste una società civile vivace e reattiva, più che in altre parti d’Italia. La Sicilia è oggi migliore di quando l’ho lasciata.


NOTA BIOGRAFICA:

Giuseppe Pollina detto Pippo nasce a Palermo nel 1963. Negli anni ’80 frequenta nel capoluogo siciliano la facoltà di Giurisprudenza e studia chitarra classica presso l’Accademia della musica. Aderisce al nascente movimento antimafia e fa il suo apprendistato come cronista, collaborando con il mensile “I Siciliani” diretto da Pippo Fava che nel gennaio dell’84 viene assassinato dalla mafia. Nel frattempo, fonda il gruppo Agricantus, che si ispira alle tradizioni della musica popolare latino-americana e siciliana, con cui si esibisce in Italia e all’estero. Alla fine dell’85, lascia l’Italia spinto dal desiderio di nuove esperienze ma anche deluso dalla situazione politico-sociale e dall’angustia dell’industria musicale del Paese. Nel 1987, il cantautore svizzero Linard Bardill gli propone una collaborazione discografica e concertistica. Nello stesso anno incide il suo primo album, “Aspettando che sia mattino” e si stabilisce definitivamente nella Confederazione elvetica. Grazie anche alla collaborazione con il cantautore tedesco Konstantin Wecker, con cui incide  un album nel 1993, inizia a essere conosciuto e apprezzato,  anche in Germania e in Austria, da un vasto pubblico, che riconosce in lui un genuino rappresentante di un’italianità nuova e lontana da ogni stereotipo.

Ha inciso finora 19 album con circa 200 brani e si è esibito in circa quattromila concerti collaborando, nel corso degli anni, fra gli altri, con Franco Battiato, gli Inti-Illimani, Charlie Mariano, Giorgio Conte.

Con Geoges Moustaki ha reso omaggio, nel 1995, a Leo Ferré con la canzone Leo.

Nel 2017 ha pubblicato presso Rotbuchverlag “Verse für die Freiheit, tradotto in italiano nel 2018 con il titolo “Cento Chimere” (Lastaria edizioni), che contiene un racconto degli eventi e degli incontri che hanno segnato la sua vita.

Gli sono stati inoltre dedicati due libri e un documentario che mostra il suo tour italiano del 2004, mentre Nando Dalla Chiesa gli ha riservato un capitolo del suo “Storie eretiche di cittadini perbene” del 1999.

Quest’anno si esibirà in concerti in Germania. Austria. Italia, Francia e Benelux

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