Il terrorista nero

di Maurizio Nappa

In Africa ci sono ben tre Stati che affacciano sull’Oceano Atlantico che si chiamano Guinea e che spesso gli europei confondono: la Guinea Equatoriale, ex colonia spagnola, la Guinea Bissau, ex colonia portoghese, e infine la Guinea Conakry, ex colonia francese. Uno dei più illustri cittadini di quest’ultimo Stato è Tierno Monénembo. Nato nel 1947, laureato in Biochimica in Francia  e poi  professore universitario, in Marocco, Algeria e Stati Uniti, da più di quarant’anni Monénembo coltiva un hobby molto particolare: la scrittura. Autore poco conosciuto in Italia, il suo romanzo più famoso è considerato “Il grande orfano”, pubblicato da Feltrinelli nel 2003. Altri due romanzi, a mio parere molto interessanti, sono stati pubblicati in Italia da un piccolo editore, “Nuova Editrice Berti”. 

Il primo, “Il re di Kahel”, è la biografia romanzata di un esploratore e avventuriero francese, Aimé Olivier de Sanderval; impegnato nell’industria chimica, ma da sempre appassionato di avventure ed esplorazioni, a quarant’anni intraprende il primo viaggio in Africa ed entra in contatto con la popolazione Peul (da noi più spesso conosciuta come Fulani), da cui si lascia affascinare; ne ammira in particolare la fierezza. In disaccordo con i ministri francesi, che consideravano le colonie africane “appena più complicate della Camargue, con delle scimmie al posto dei cavalli”, compie, tra il 1880 e il 1919, cinque spedizioni nella regione del Fouta-Djalon, intrecciando stravaganti trattative diplomatiche con gli altezzosi sanguinari principi fulani, di cui riuscirà a guadagnarsi la stima, tanto da essere incoronato “re di Kahel”. Nel libro si racconta anche la costruzione della sua casa, tuttora visibile,  in quella che poi diventa Conakry, la capitale della Guinea. Questo romanzo ha ottenuto, in Francia, il prestigioso premio Renaudot.

Il libro che però mi sta più a cuore è “Il terrorista nero”. Non tutti sanno, o forse non tutti ricordano, il contributo dei soldati africani durante la seconda guerra mondiale. 

In quanto sudditi delle colonie, avevano l’obbligo di servizio militare e, di conseguenza, obbligo di partecipare alla guerra. Alcuni di questi parteciparono alla Resistenza al nazifascismo (la storia dei partigiani della Banda Mario, tra essi alcuni africani, è raccontata nel recente saggio di Matteo Petracci, “Partigiani d’oltremare”, ma questa è un’altra storia). 

Uno di questi, raccontato nel romanzo di Monénembo, era Addi Ba. Nato a Conakry nel 1913 e poi emigrato con la famiglia in Francia, partecipò alla guerra con l’esercito francese. Venne catturato dai tedeschi, ma riuscì a fuggire e si unì alla Resistenza francese, nella regione dei Vosgi. I nazisti lo denominarono “il terrorista nero” (da cui il titolo del libro). Fu catturato dai nazisti il 18 novembre 1943 e torturato ripetutamente ma, come il comandante del suo gruppo  Marcel Arburger, non parlò mai, mai tradì. Entrambi vennero assassinati il 18 dicembre 1943. La storia di Addi Ba fu dimenticata in fretta, perché in Francia (e non solo), ci si concentrò a glorificare i soli bianchi che avevano partecipato alla Resistenza. Ba ricevette la medaglia della Resistenza soltanto nel 2003, sessant’anni dopo la sua morte. 

L’ex calciatore Lilian Thuram, lo ha ricordato nel 2010 dedicandogli un capitolo del suo libro “Le mie stelle nere”. Fu solo nel 2012, grazie al romanzo di Tierno Monénembo, che la storia di Addi Ba divenne conosciuta e popolare. Lo scrittore fa raccontare la storia a uno degli abitanti del villaggio di Romaincourt, nei Vosgi, dando un ruolo di primo piano a quanti, quali l’insegnante e il sindaco del villaggio, aiutarono i giovani resistenti, Ba incluso.  Ma Addi Ba non era un resistente qualsiasi, era nero lui:  “Niente importava a quell’epoca, men che meno come si chiamavano gli stranieri di passaggio. Per noi era “il negro” quando non c’era, e gli si dava del lei le volte che capitava d’incontrarlo. Era più semplice, pratico, e faceva comodo a tutti. Non sembrava infastidirlo. Un negro tra noi: non valeva nemmeno la pena di stupirci. Se la gente prestava tanta attenzione a lui, non era perché aveva i capelli crespi, o perché era sorto dal nulla in una terribile notte d’inverno, ma perché si ostinava a tenere la sua divisa da soldato, e forse anche per via del suo sguardo impenetrabile, dei suoi lunghi silenzi da cui nemmeno il dolore di una bruciatura bastava a farlo uscire…” Il merito di questo romanzo, oltre alla limpidezza della lingua e alla scorrevolezza della sintassi, è quello di aver dato un po’ di luce a uno degli africani dimenticati, ciò di cui si lamentava Leopold Sedar Senghor, con le parole utilizzate per aprire il romanzo: “Si adornano le tombe, si riscalda il Milite ignoto, Voi, miei fratelli oscuri, nessuno vi nomina”

Addi Bâ in Tollaincou
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