Il valore della competenza

UN FUTURO DA COSTRUIRE 

di Manuela Andaloro

Il futuro da costruire passa da forti sinergie tra pubblico e privato. Ma soprattutto dall’attrazione di talenti, di expat di ritorno e dal ripristino del valore della competenza. 

Susan Morgan, consulente per EU DisinfoLa, un’organizzazione indipendente senza scopo di lucro che si occupa di smascherare campagne di disinformazione che avvengono nell’UE, ha scritto una recente pubblicazione (Fake news, disinformation, manipulation

and online tactics to undermine democracy) nella quale sottolinea come la tecnologia dell’informazione e della comunicazione sia cambiata rapidamente negli ultimi 20 anni. Uno sviluppo chiave è stato l’emergere dei social media, che sono passati dall’essere un mezzo utile per tenersi in contatto con amici e familiari ad avere un forte impatto reale sulla società, sempre meno positivo. I social media vengono utilizzati in modi che modellano la politica, gli affari, la cultura mondiale, l’istruzione, le carriere, l’innovazione, minando, in nome di una errata illusione di democratizzazione di opinioni, il valore della competenza. Questo, vediamo giornalmente, sta creando danni incalcolabili. 

Stiamo vivendo con un panorama mediatico radicalmente modificato in cui le piattaforme tecnologiche ricevono la maggior parte dei proventi pubblicitari che un tempo andavano agli editori di notizie tradizionali, un settore regolato dalla legge e gestito da professionisti certificati nella maggior parte dei casi, o da esperti di settore, diversamente da quanto avviene in larga misura sui social. 

C’è stata dunque una crescita esponenziale di quella che gli esperti chiamano economia dell’attenzione, la rivendita cioè dell’attenzione umana, l’accesso alla mente del pubblico e la vendita agli inserzionisti. Una strategia che solleva profonde domande sulle notizie e i contenuti a cui le persone accedono e dubbi sulla comprensione effettiva di questo nuovo panorama in cui prolifera la disinformazione accanto al giornalismo tradizionale.

In questo contesto siamo tutti osservatori delle dinamiche attualmente in essere, della manipolazione continua dell’opinione pubblica e della perdita del valore della competenza. Basti pensare agli attacchi alla scienza, agli hater, alla proliferazione di fake news nel 2020, cresciute del 460% rispetto al 2019.

È evidente che la nostra società non possa più permettere di “democratizzare” competenza e sapere ne’ di scambiare una supposta “libertà di parola” con una sistematica e molto pericolosa manipolazione di opinione pubblica.  

Nell’ambito di recenti ricerche in materia di expats europei che scelgono di rientrare nei loro paesi a causa di dinamiche legate alla pandemia, al populismo e alla Brexit, ho avuto modo di investigare il mercato italiano e in questo contesto di avere interessanti conversazioni con alcuni tra i maggiori esponenti del settore executive recruiting.  

Sappiamo che la crisi COVID sembra aver giocato un ruolo chiave per il rientro, in combinazione con le recenti politiche fiscali attuate da vari governi europei, molto favorevoli nel caso dell’Italia. Il trend di afflusso di talenti sembra pero’ avere radici più lontane e coprire un periodo più lungo. Milano è diventata la principale città postindustriale italiana, una calamita che ha attratto giovani e talentuosi, non solo dall’Italia ma da tutta Europa e non solo. Una città che è diventata un gigante economico che ha fatto crescere la propria economia di quasi il 20% negli ultimi 15 anni, diventando anche un obiettivo per gli investimenti stranieri con miliardi di euro riversati in progetti infrastrutturali e prestigiose industrie di servizi. Una realtà lavorativa che si basa su aziende innovative che si occupano di ad esempio di tecnologia, finanza e ricerca farmaceutica, un luogo che capitalizza la reputazione dell’Italia come luogo di tecnologia, arte, design e moda all’avanguardia. 

A metà dicembre ho avuto l’onore di bere un caffè virtuale con Nicola Gavazzi, Country Manager Italia di Russell Reynolds Associates, per parlare delle attuali dinamiche del mercato lavorativo e quello del rientro dei cervelli, dell’attratività dell’Italia per talenti internazionali, ma anche di status quo e aspettative per il futuro.

Dr. Gavazzi, qual’è il quadro delle attuali dinamiche dei cervelli italiani (mai fuggiti o di rientro) e del mercato del lavoro in Italia per profili internazionali medio-alti e alti?

L’Italia è ben posizionata sulla scena Europea e internazionale, in termini di attrattività, il nord del Paese offre buoni servizi al cittadino, l’aspetto fiscale ha rappresentato un grande aiuto in questo senso. Fondamentale anche il fatto che ormai da qualche anno sempre più aziende italiane siano finalmente interessate a portare talenti non solo italiani, grazie al fatto che anche il dipendente medio oggi parla più inglese di una volta, specialmente le nuove generazioni. Fortunatamente la generazione attuale che opera in maniera professionale in entrambe le lingue (ndr. inglese e italiano) ha oggi spesso ruoli di rilievo, questo impatta vari aspetti, per esempio alcuni consigli di amministrazione si svolgono adesso solo in inglese, anche se i verbali spesso rimangono in italiano e gli enti regolatori al momento prediligono la lingua italiana, ma le dinamiche stanno cambiando e il prossimo passo sarà nella direzione della doppia lingua utilizzata correntemente in ogni ambito. Questo aprirà ulteriori porte e garantirà attrattività sia per le aziende sia per i professionisti. Per quanto riguarda il nostro punto di osservazione, copriamo una fascia di mercato e di profili abbastanza alti, il flusso di talenti stranieri nel top management delle aziende non ha subito particolari variazioni, c’è sempre stato, pertanto e’ normale che si scelga un candidato a prescindere dal passaporto e dalle lingue, questo accade in vari settori, dal farmaceutico alla moda alla finanza.  Il mercato lavorativo italiano è appetibile, se guardiamo l’outlook europeo dei paesi economicamente più influenti, probabilmente le mete lavorative che vedranno un maggiore afflusso di expat e di cervelli saranno l’Italia e la Germania, al netto di problematiche come la Brexit per il Regno Unito, il limite della lingua francese per ruoli di rilievo in Francia e le diverse realtà più frammentate che il mercato spagnolo offre. 

La stabilità del sistema Paese e della politica, la risposta sanitaria, la coesione sociale e la diminuzione dei danni causati dal populismo fine a se stesso, sono di fondamentale importanza in ogni Paese, e direttamente proporzionali al livello di fiducia degli investitori, nazionali e internazionali. Qual’è lo status quo attuale in Italia in questo senso, e quello che ci si può augurare?

Ricordo discussioni avute con dei fondi di private equity nel 2018, tutte realtà fortemente interessate ad investire in SMEs italiane, le cui trattative hanno subito una determinante battuta d’arresto a causa delle elezioni del 2019 che videro realtà politiche fortemente e drammaticamente populiste conquistare molto spazio e inneggiare a tematiche disastrose come l’uscita dalla UE o dall’euro. Fortunatamente fu una situazione durata meno di un anno e la stabilità che negli ultimi 18 mesi si è ristabilita ha nuovamente aperto le porte a importanti flussi di investimenti. Inoltre I disastri economici e sociali di Brexit sono ormai chiari a tutti, è uno scenario che qualunque paese in UE vorrà evitare. L’instabilità e il populismo spaventano, spaventano gli investitori, i manager e le aziende e provocano danni a lungo termine per l’intero Paese e per ogni classe sociale. Nell’ultimo anno c’è stato un forte recupero e una forte ripresa di interesse e stabilità da parte di molte classi di investitori. Ma a livello globale, non solo italiano, quello dell’instabilità causata dai venti populisti è un rischio che ancora corriamo e che spaventa più di tutto il resto. Pensiamo alle molte aziende italiane che investivano in Turchia prima dell’avvento dell’attuale governo, e che non lo fanno più, per motivi etici, ma anche perché il clima che si è creato nel paese non piace. Un mondo senza drammatici leader populisti avrà più successo, per tutti, e vale per ogni paese. Nel caso dell’Italia negli ultimi tempi, ha aiutato anche l’oggettivamente buona gestione italiana della pandemia, ed un governo stabile e solido nonostante tutto, che adesso si spera, tenga e prosegua.

Dovremmo quindi tutti lavorare per allontanarci dal facile stereotipo sorpassato e spesso lontano dal vero e per una maggiore discrezione e compattezza su temi che se strappati dal proprio contesto e utilizzati dalle macchine propagandistiche danneggiano l’immagine del Paese. Cosa ne pensa dei posti di lavoro che si creeranno grazie al Recovery Fund?

Se ben attuato e strutturato, attirerà molti investitori, nazionali ed esteri, e migliaia di posti di lavoro, aiutando ulteriormente l’attrattività del paese per talenti, aziende e investitori, un po’ un piano Marshall del nuovo millennio. Un esempio importante in questo senso è rappresentato dall’Istituto Italiano di Tecnologia a Genova (Center for Convergent Technologies), creato dal ministero delle finanze 25 anni fa. Un grande centro di ricerca di alto livello che ha attirato e continua ad attirare sia stranieri sia italiani e cervelli di ritorno. Hanno lavorato molto per attrarre talenti da centri di ricerca di tutto il mondo, chiarendo in maniera molto trasparente che non solo il centro mette a disposizione i capitali, ma anche la possibilità di gestirli. Un’importante opinione sul ruolo dei governi come traino di eccellenza e innovazione viene da Mariana Mazzucato Professore di Economics of Innovation & Public Value al University College London (UCL), e Direttore fondatore del UCL Institute for Innovation & Public Purpose, che nel suo acclamato libro (The Entrepreneurial State: debunking public vs. private sector myths) descrive egregiamente il ruolo del settore pubblico come “investitore di prima scelta” nella storia del cambiamento tecnologico. Gli esempi in questo senso abbondano, spesso negli USA, basti pensare allo scenario favorevole grazie al quale la stessa Apple è nata ed è arrivata ad essere il colosso che oggi conosciamo. Un esempio nazionale analogo potrebbe essere rappresentato dal nuovo Human Technopole di Milano, il nuovo istituto italiano di ricerca per le scienze della vita, creato dal  governo italiano in sinergia con il settore privato, con lo scopo di creare un centro di ricerca volto a stimolare la collaborazione e portare valore aggiunto all’ecosistema della ricerca scientifica italiana ed europea grazie ad un approccio interdisciplinare, che attira talenti nazionali e internazionali. Dunque fondamentale sono la fiducia, l’immagine, la stabilità in un epoca che potrebbe passare alla storia per essere una grande chance di riscatto per il Paese, dopo i disastri causati dai governi degli anni 80.

Sappiamo che c’è molta voglia di ripartire, molto ottimismo, al netto dei vaccini e del loro successo con possibili nuove mutazioni, e delle condizioni macro-economiche che si vanno via via delineando. Il clima politico influenzerà molto qualunque scenario e sara’ da cartina tornasole dell’economia e del progresso sociale. Le piattaforme di disinformazione continuano però a porre rischi forti alla democrazia e alla società e sembrano lontane dall’essere regolarmente in maniera effettiva a livello governativo. Qual’è secondo lei il fattore chiave su cui le imprese hanno il dovere di fare leva, e che ognuno di noi ha la responsabilità di portare avanti?

Non ho dubbi. Il ripristino del valore della competenza. Che passa anche attraverso il controllo della disinformazione, e la percepita ma fuorviante e falsa idea della democratizzazione del sapere. La scienza ad esempio, non è un opinione, e non possiamo permettere a qualunque cittadino con una piattaforma social di esprimere la propria opinione al pari di un luminare con 30 anni di esperienza sul campo, c’è poco di democratico in questo, al contrario. Ricordo quello che mi disse un caro amico qualche anno fa, amministratore delegato di una delle più grandi aziende con decenni di esperienza in uno dei settori più di successo del Paese, impegnato in politica. Grazie all’ascesa di alcuni partiti di matrice populista si ritrovò la propria portinaia, con nessuna esperienza sul campo, eletta come deputata al governo.  Questo allineamento verso la mediocrità, verso la perdita del valore della competenza acquisita, va assolutamente fermato.

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Poniamo dunque l’accento su un fenomeno ormai diffuso globalmente, ovvero il declino del valore delle competenze a fronte di un pubblico che ogni giorno di più mette in discussione la parola degli esperti, in qualsiasi settore. Tom Nichols,  sociologo esperto e autore dell’intervento “The Death of Expertise” parla chiaro: 

Assistiamo ogni giorno alla morte delle competenze, al collasso di ogni divisione tra professionisti e profani, insegnanti e studenti, conoscitori e supponenti in un mondo alimentato da Google, basato su Wikipedia, impregnato di opinioni su piattaforme social poco regolamentate. La competenza, cioè la conoscenza specifica che rende alcune persone competenti rispetto ad altre continuerà ad esistere, avremo sempre medici, avvocati, ingegneri e specialisti per qualsiasi campo dello scibile umano. Ciò che temo, piuttosto, è la morte della capacità di riconoscere l’autorevolezza come qualcosa che dovrebbe guidarci nelle nostre scelte e nelle nostre vite.

È tempo, dunque, di agire. Tempo per ognuno di noi di assumersi precise responsabilità e di contribuire, al netto delle proprie competenze, alla narrativa del futuro.

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