Il valzer delle valorose a Bellinzona

Foto Lorenzo Piano

Debutta in Svizzera il 28 gennaio lo spettacolo teatrale “Se non posso ballare” per ricordare quello che la Storia ha dimenticato

In pochi sicuramente sanno che è stata la lungimiranza di una donna, Alice Guy, a intravedere le potenzialità narrative nel cinematografo, realizzando i primi cortometraggi e producendo più di cento pellicole e se c’è affinità tra femminile e cinema è perché, come lei stessa affermava “le donne sono abituate a lavorare sulle proprie emozioni mentre gli uomini si allenano a controllarle”.

Così è sempre una donna, la graziosa e minuta Nellie Bly a inaugurare alla fine dell’800 il giornalismo di inchiesta, realizzando per la prima volta e da sola uno storico reportage del suo tour intorno al mondo e stilando minuziose cronache come inviata di guerra. E mentre i rivoluzionari francesi sbandieravano fieri il principio di uguaglianza, guardandosi bene dal far partecipare il gentil sesso agli affari di stato, Olympe de Gouges dava voce con la Prima Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina alla sua moderna proposta politica che la misoginia dei tempi puntualmente mise a tacere con la sanguinaria ghigliottina.

Stessa triste ed efferata sorte toccò alla matematica e astronoma Ipazia nel IV secolo per aver messo in discussione la teoria geocentrica divulgando le sue brillanti ma scomode intuizioni. La figura storica della principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso che rischiò la vita per aiutare i carbonari, partecipando attivamente alla lotta contro l’Austria, scivola come sbiadita comparsa sul palcoscenico politico del Risorgimento italiano privata dello spessore della grande riformatrice quale fu tanto da scandalizzare all’epoca la nobiltà milanese e lo stesso Alessandro Manzoni, preoccupato che tanta illuminata benevolenza e apertura verso il ceto contadino potesse sovvertire lo status quo.

Se gli storici hanno volutamente omesso o non hanno saputo dare il giusto riconoscimento a quelle donne che hanno cambiato il corso degli eventi, distinguendosi per coraggio, spirito pionieristico e genialità, Il Catalogo delle donne valorose di Serena Dandini è il tentativo letterario di colmare in parte questa lacuna storica al pari di un risarcimento morale. Una successione di 34 biografie di valorose si dipana attraverso una narrazione veritiera e appassionata che non segue uno sviluppo temporale lineare, “un innocente gioco botanico” secondo l’autrice perché a coltivare la memoria di queste donne sono stati alcuni illuminati ibridatori e ibridatrici che hanno dedicato loro esemplari di rose, rendendole immortali.

E la provocazione sta proprio in questa specie di inventario: mentre gli storici hanno reciso il ricordo delle valorose escludendole dalla lista dei modelli edificanti nelle loro opere altisonanti, dei creativi giardinieri le hanno riscattate dall’oblio, inaugurando un umile modus narrandi. Così la rosa Ilaria Alpi rifiorisce ogni volta nel ricordo della giovane giornalista reporter, vittima di un agguato mortale mentre seguiva una scomoda pista d’inchiesta; ha un profumo di tè verde e limone la Rosa Vanessa Bell, pittrice all’avanguardia e sorella della ben nota Virginia Woolf che scelse anche lei di vivere in modo anticonformista nell’austera Londra degli inizi del’900. La rosa Belle de Sardaigne resistente e rampicante riflette la caparbia volontà e la poesia primitiva di Grazia Deledda che lotta per sopravvivere in una società maschilista nell’aspra Barbagia. La rosa Green Planet è dedicata a Wangari Muta Maathai, indomabile e resistente come un’acacia, per la sua lotta contro la deforestazione selvaggia del Kenia piantando alberi e idee. Rosa Sun Runner testimonia il gesto coraggioso di Katrine Switzer che, con il numero 216, corse per tutte le donne del mondo a cui negli anni’60 era ancora proibito gareggiare nella maratona, considerata disciplina esclusivamente maschile. Ha un arbusto vigoroso la rosa Emma Goldaman La Rouge a ricordare l’impeto anarchico e la passione politica di questa valorosa che sintetizzò la sua battaglia per i diritti delle donne nella frase “If I cant’t dance, it’s not my revolution”.

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E proprio Se non posso ballare…questa non è la mia rivoluzione è il titolo dello spettacolo che andrà in scena per la prima volta in Svizzera al Teatro Sociale di Bellinzona il 28 e il 29 gennaio: il progetto drammaturgico di Serena Senigaglia coglie, a distanza di un anno, la provocazione letteraria della Dandini. A evocare sulla scena le valorose, l’attrice Lella Costa che dà inizio a un vorticoso e travolgente valzer: una sequenza inarrestabile di molteplici ego in un unico corpo attoriale per rendere a tutte giustizia, anche solo nominandole perché possano esprimersi platealmente; un incontenibile fiume in piena ma come sottolinea la Senigaglia “di acqua buona si tratta”, la stessa di cui le rose si dissetano.

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Karen Blixen, un’altra valorosa, protagonista del suo libro autobiografico La Mia Africa, diceva di voler poter essere molte donne attraverso i suoi numerosi pseudonimi di scrittrice: “trasformarsi per sopravvivere” diventa allora una scelta necessaria per rifiorire ogni volta.

 

* Foto Lorenzo Piano

 

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