In onore di Sandro Pedroli, il “medico degli emigrati”

Il Comitato XXV aprile di Zurigo ha commemorato giovedì scorso, con una cerimonia bella e toccante, la figura di Sandro Pedroli, scomparso nello scorso mese di giugno all’età di 96 anni. Pedroli stesso aveva contribuito alla nascita del Comitato e lo aveva presieduto per vari anni.

Alla presenza dei suoi familiari e di numerosi rappresentanti di quel mondo che Pedroli aveva prediletto e frequentato intensamente per tantissimi anni – organizzazioni di lavoratori, istituzioni, il partito socialista, ma anche semplici cittadini che hanno conosciuto Sandro nei suoi anni “zurighesi” -, il presidente del Comitato XXV Aprile, Salvatore di Concilio, e il presidente del Comites, Luciano Alban, hanno introdotto la commemorazione con parole toccanti. Che pur nella brevità dei saluti, hanno richiamato con immediatezza l’immagine di Pedroli impegnato a contrastare le ingiustizie sociali e a lottare, per molti anni della sua vita, al fianco dei più deboli, in un tutt’uno che coniugava la sua professione di medico e il suo impegno politico e sociale contro la sopraffazione, l’intolleranza e per la difesa dei diritti degli “emigrati” che negli anni 60 e 70 arrivavano in una Svizzera in grande espansione economica, affamata di manodopera.

La proiezione del documentario “Barba Svizzera” di Michele Andreoli – presentato al festival di Soletta nel 2007 – illumina gli anni “torinesi” di Pedroli, quelli che ne avevano forgiato il carattere e gli orientamenti politici. Immagini commoventi, che ripercorrono con la sua voce la traiettoria della sua adolescenza: da Bodio in Ticino, dove era nato, al trasferimento a Torino della sua famiglia (Sandro aveva sei mesi!) per gli impegni professionali di suo padre Ernesto.

I suoi ricordi, la nascita del fratello Guido (che sarà acclamato filosofo e storico del socialismo nella Svizzera italiana, morto prematuramente), gli studi, il periodo giovanile nei “balilla e poi negli avanguardisti” – militanza obbligatoria per l’intera gioventù di allora – e poi la rottura, a 16 anni, con quel mondo fatto di simboli, propaganda e gagliardetti.

Da quella scelta “repubblicana” alla collaborazione attiva nella lotta contro il fascismo il passo è breve: Pedroli si adopera nell’impegno antifascista soprattutto a livello di contro-propaganda, nonostante i rischi a cui si espone e le preoccupazioni dei suoi genitori che nel 1942 lo spingono ad andare in Svizzera per una vacanza. Cui farà seguito la frequenza di un corso di francese a Losanna, dove Sandro resterà per un anno.

Rientrato a Torino nel 1944, riprende gli studi di medicina in una situazione estremamente critica: i bombardamenti su Torino s’intensificano pericolosamente costringendo la famiglia Pedroli – come tante altre – a sfollare a Barge, un centro distante una sessantina di chilometri. Tra la vita a Barge e gli studi di medicina a Torino, entra in contatto con il Comitato piemontese del Partito d’Azione e si coinvolge nelle attività politiche clandestine con il nome di “Barba Svizzera” (con molta probabilità l’unico cittadino svizzero che ha combattuto nella Resistenza italiana).

Dopo gli anni tragici della guerra, finiti con la liberazione, Pedroli approda all’ospedale di Bellinzona, ma già nel 1953 si trasferisce a Zurigo, dove apre uno studio medico e proprio nella città sulla Limmat si realizzerà gran parte della sua vita, della sua famiglia e del suo impegno politico. Storie di un tempo lungo, riportate alla comune memoria nella tavola rotonda moderata da Rebekka Wyler (Segretaria generale del Partito Socialista Svizzero) e animata da un volto noto del giornalismo televisivo, Sandro Balmelli (amico di lungo corso di Pedroli, tra l’altro medico della sua famiglia durante gli anni di permanenza a Zurigo), da Willi Heckmann, medico come Sandro e suo amico, e dalle tre figlie di Pedroli. Tavola rotonda che ha riportato in primo piano le qualità umane di Sandro, la sua sensibilità innata e la sua predisposizione all’ascolto, qualità che ne avevano fatto il medico di riferimento di tantissimi italiani e spagnoli che lo interpellavano per i problemi di salute ma anche per tante questioni attinenti alla loro sfera familiare.

I relatori, così come gli interventi del pubblico, hanno sottolineato infine la forza delle sue convinzioni e il suo impegno politico, a partire dalla sottoscrizione del Manifesto di Zurigo („Zürcher Manifest”) nel pieno delle contestazioni giovanili del 1968. Un manifesto che sull’onda della caldissima notte dal 29 giugno al 30 giugno 1968 (un migliaio di giovani manifestanti protagonisti di un durissimo scontro con le forze dell’ordine nell’area dei grandi magazzini Globus, che prelude alla nascita della cosiddetta “Repubblica autonoma del Bunker”) si rivolge alle autorità politiche chiedendo d’instaurare un dialogo con i giovani del movimento di protesta e assicurare assistenza medica ai manifestanti feriti.

Sul piano della politica internazionale sono stati rievocati la sua militanza nel partito socialista, il suo attivismo nella Centrale Sanitaria Svizzera – con missioni in Vietnam e Corea –  nonché la presidenza del Comitato per l’amnistia politica degli oppositori del Caudillo de España, ruolo che svolse fino alla caduta di Francisco Franco.

Il mio ricordo più recente di Sandro Pedroli risale al 15 gennaio 2018 a Zurigo, in occasione del “lunedì del Corriere” con Franco Cavalli: Sandro Pedroli, accompagnato in sedia a rotelle dalla giovanissima nipote e altri familiari, ebbe la forza di venire a salutare Franco Cavalli, il suo amico e compagno di tante lotte per la giustizia. Un’immagine toccante di una persona che ha dato tantissimo ai valori d’italianità, di solidarietà e amore per la democrazia.

 

 

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