Ingegneria genetica ai confini con l’etica

di Domenico Palomba

 Dopo mesi di buio per l’intero continente europeo, sembra che finalmente ci sia la possibilità di riprendere una vita più normale, fatta di raggianti e calde giornate di fine primavera.

E con il recupero della normalità, riprendono le vecchie battaglie politiche, si riprendono le posizioni di egemonia delle superpotenze mondiali, al roboante suono di pesanti accuse circa le responsabilità sulla diffusione del virus.

Si è detto tanto, fin troppo, sulla possibile natura artificiale del COVID-19; un’ampia letteratura è stata già prodotta e non ho alcun riguardo nel prendere una posizione sull’argomento.

Mi sono interrogato però sulle reali capacità della moderna biotecnologia, e ho voluto investigare un po’ di più su cosa è realmente capace di fare l’uomo oggi, avvalendosi di queste tecnologie.

Sono passati quasi venticinque anni dall’annuncio della pecora Dolly (l’annuncio è avvenuto un anno dopo la clonazione), nata nel 1996 e vissuta per ben sette anni, oggi imbalsamata ed esposta nel National Museum of Scotland; da allora tante cose sono cambiate.

La cosiddetta “ingegneria genetica”, la branca della bio-ingegneria che occupa di isolare, clonare e trapiantare materiale genetico di un individuo in un altro individuo della stessa specie o di una differente, si è evoluta a punti da raggiungere risultati mirabili ma anche eticamente discutibili.

Le classiche tecniche di ingegneria genetica impiegate soprattutto per trasferire informazioni genetiche tra specie diverse (transgenesi), hanno lasciato il passo a più recenti tecniche di editing genetico (prima fra tutte le CRISPR/Cas – acronimo di Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats e CRISPR-associated – ovvero segmenti di DNA che contengono brevi sequenze regolari e ripetute) che permettono di modificare il genoma in modo mirato senza introdurre geni estranei alla specie.

Agendo come “forbici genetiche”, i metodi di “editing genetico” CRISPR/Cas9 and CRISPR/Cas12a (o anche Cpf1) consentono di realizzare tagli in punti precisi del genoma disattivando alcuni geni, rimpiazzando segmenti di DNA difettosi, inserendo nuove sequenze genetiche in un organismo.

Le tecniche di editing consentono l’inserimento di interi gruppi e combinazioni di geni in diversi punti del genoma. Sono facili e economiche da realizzare.

Un notevole punto di forza di queste tecniche di editing sta nel fatto che sono relativamente facile ed economiche da realizzare. Addirittura così semplici da “poterle provare anche nella propria casa”: biotecnologi amatoriali e biohacker di tutto il mondo hanno convertito i propri garage in laboratori di ingegneria genetica fai-da-te.

Queste tecniche, ribattezzate sotto il nome di “Gene Drive” sono state recentemente usate per “lodevoli” iniziative. Sono stati ad esempio ottenuti materiali che nessun organismo naturale produce, come ad esempio l’1,4-butaendiolo, una sostanza chimica di base destinata alla fabbricazione di materie plastiche che si ottiene attraverso un processo di sintesi che non esiste in natura.

Sono stati prodotti maiali immuni al virus PRRSV, l’agente patogeno di una malattia dei maiali, riconfigurando alcuni componenti del DNA del genoma del maiale in modo da impedire al virus di entrare nelle cellule e di moltiplicarvisi.

Sono stati geneticamente modificati pioppi, resi capaci di una crescita più rapida, in grado di produrre più bio-massa e meno lignina, permettendo di ridurre i costi di smaltimento di questa sostanza durante la produzione di carta.

Altre, meno “lodevoli” iniziative, sono anche state oggetto di accesi dibattiti etici. In Cina, sono stati generati animali con caratteristiche genetiche uniche; per esempio, i micro-maiali, che pesano circa sei volte meno rispetto ai maiali d’allevamento, i maiali super-muscolosi, il maiale con 62 modifiche genetiche, che dovrebbe servire alla costruzione di una fabbrica di organi da impiantare sugli esseri umani, oltre a cani, scimmie, roditori e altri animali.

Non a caso, investitori internazionali del calibro di Bill & Melinda Gates Foundation (finanziatori anche di iniziative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) e Google Ventures, già nel 2015 avevano avviato finanziamenti per attività di ricerca investendo 120 milioni in società come Editas Medicine (www.editasmedicine.com).

La stessa DuPont ha stretto alleanze con Caribou Biosciences, altra azienda californiana, con l’obiettivo di bioingegnerizzare il grano tramite le tecniche di gene drive.

Con queste premesse, dibattere se il COVID-19 sia nato o meno in un laboratorio appare come un inutile esercizio dialettico, privo di senso pratico.

Le recenti evoluzioni nel campo delle bio-tecnologie permettono già di mettere a rischio l’esistenza del genere umano – se usate nel modo sbagliato, naturalmente.

Prove di esistenza di manipolazioni genetiche di virus da laboratorio sono già ampiamente esistenti, anche se non correlate al COVID-19.

Recentemente, in risposta al recente scambio di accuse circa la possibilità del virus generato in laboratorio, la ricercatrice virologa cinese Shi Zhengli, venuta alla ribalta già nel 2012 per aver scoperto come il virus della SARS avesse effettuato il cosiddetto “salto di specie” trasmettendosi dai pipistrelli agli zibetti, e infine all’uomo, e protagonista nella scoperta del passaggio di specie del COVID-19, ha dichiarato in un’intervista TV cinese che il virus COVID-19 è soltanto “la punta dell’iceberg” e che la scienza non dovrebbe mai essere utilizzata per strumentalizzazioni politiche.

Ha inoltre suggerito che per prevenire l’espandersi di ulteriori pandemie è necessario anticipare la conoscenza di virus sconosciuti trasportati dagli animali selvatici in natura e fornire avvertimenti precoci, di fatto allontanando l’attenzione pubblica dai rischi generati da un possibile cattivo uso delle bio-tecnologie.

Sembrano lontani i giorni in cui la comunità scientifica, illuminata dalla sapienza e lungimiranza delle menti del XX secolo, Einstein in primis, si appellava all’ONU:

Le Nazioni Unite per il momento, e il governo mondiale alla fine, dovrebbero perseguire un unico scopo: la garanzia della sicurezza, della tranquillità e del benessere per tutta l’umanità” [Lettera aperta all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, New York, ottobre 1947]

 

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