Interviste storiche: Rudolf Nureyev. L’amore le sue “inseparabili” scarpe e la perfezione “che mai si raggiunge”

di Maria-Vittoria Alfonsi

Amo molto l’Italia, la sua atmosfera mi è congeniale, mi trovo bene con gli italiani, col loro spirito. Possono esserci anche italiani cattivi, ma hanno sempre il sorriso, l’anima che palpita. E c’è il sole! E poi la grande arte… La costa amalfitana è stupenda. Ma tutta l’Italia è bella, c’è sempre qualcosa da vedere, da scoprire, che ti riempie di gioia e serenità gli occhi, l’anima, il cuore. (R. Nureyev)

Trenta anni fa si spegneva la stella della danza Rudolf Nureyev. Poco prima la nostra Maria-Vittoria Alfonsi lo aveva incontrato. Ecco l’intervista. (In foto, Rudolf Nurejev e Margot Fonteyn)

Ho sentito che ha fatto molti sacrifici, da giovanissimo, per dedicarsi alla danza. È vero?

“Non posso chiamarli sacrifici: per me danzare era la vita, necessaria come l’aria da respirare. Sacrifici…forse, perché ho dovuto aspettare undici anni per entrare alla scuola di danza. Non posso dire grazie i russi, a Krusciov: io, da solo, ho trovato me stesso. Sì, ho lavorato la sera, con un martello, da un calzolaio e due volte alla settimana ho insegnato danza folkloristica. Con i soldi guadagnati sono andato a scuola, a Leningrado. Ho trascorso anche sei anni di “primavera cecoslovacca”, quando c’era Dubcek…adesso è caduto, c’è un abisso. La danza, come certe forme dell’arte più pura, non ha età, non ha limiti. Ci si può basare più sull’interpretazione che sulla tecnica: la forza interpretativa può dare moltissimo. Un grande danzatore cinese ha fatto spettacoli straordinari fino a 85 anni. Si deve possedere il fuoco all’interno di noi: se lo si possiede, la danza funziona; altrimenti, non funziona nemmeno quando si è giovani”.

Come la vedono, oggi, in Russia? Come l’hanno accolto, quando è ritornato?

Veramente, per me, in Russia esistono soltanto Leningrado e il Teatro Kirov, dove ho studiato. I ballerini che trent’anni fa hanno studiato con me, per tutto questo tempo si sono posti una domanda: lui ha sbagliato, uscendo dalla Russia, o ha fatto bene? Un dilemma durato trent’anni…ci pensa?  Finalmente li ho incontrati e alla fine mi hanno detto bravo! Tu hai fatto bene, hai avuto ragione: hai potuto esprimerti con la danza nel modo migliore, dappertutto. Poverini, non sono pronti per la perestroika (in russo «ricostruzione, riorganizzazione»)! Credo cha anche Gorbaciov non sia preparato: ha aperto il vaso di Pandora senza avere la necessaria preparazione”. 

In Russia, però, mi sembra vi sia sempre una grande cultura del balletto, come da noi per l’opera lirica. Mi sbaglio?

“Ora è un po’ decaduto: voi, con l’opera fate operazioni culturali, di scambio, anche con altri Paesi. Ora c’è questa apertura, ma non arrivano ballerini da fuori, i coreografi sono limitati”.

Dicono che lei abbia reinventato la danza

Non lo so! Spero di aver fatto una danza interessante, affascinante, intrigante: senza perfezione, perché mai la si raggiunge”.

Dicono che lei abbia carisma, sex appeal…

“Vorrei vedere qualcuno senza sex appeal in scena! È indispensabile, ce n’è bisogno. Una persona che balla, che fa spettacolo, deve possederlo: per fare presa sul pubblico”.

Quali consigli darebbe ai giovani danzatori d’oggi?

Per prima cosa di vedere e provare tutto: anche se non eccellono in uno stile, possono trovare quello più consono a loro. Occorre una grande conoscenza della danza, in tutte le sue accezioni. E per un coreografo è più facile insegnare, lavorare, indirizzare”.

Ma sono indispensabili anche passione, forza di volontà e quello che lei definisce “il fuoco dentro”, non è vero?

Veramente! Senza queste doti non devono avvicinarsi al teatro”. 

Pochi giorni fa era a Napoli, dove ha ottenuto un gran successo con “Cendrillon”.

“Sì, è andato molto bene. Peccato vi siano state poche repliche”.

Ora sta per andare in scena con la prima mondiale di “Morte a Venezia”. Non è particolarmente faticoso doversi calare in brevissimo tempo in personaggi molto diversi tra loro?

“Tutto è faticoso, sempre! Ma per me è sempre affascinante e stimolante interpretare personaggi così diversi così come lo è ora lavorare con un coreografo come Flemming Flindt (coreografo danese, n.d.r.), e alla mia età (Nureyev aveva 53 anni, n.d.r.) e trovare ancora tanta volontà ed entusiasmo in me stesso!”.

Ha visto il film di Visconti?

Oh, sì! Lo vidi alla ‘prima’ e lo amai molto. L’ho rivisto tre mesi fa e l’ho trovato “sciupato”, non così bello come lo ricordavo”.

Trova differenze fra libro, film e balletto?

Tante. Spero che noi, col balletto, siamo riusciti a trovare una piccola metafora che leghi con la storia del libro, interpretandola come la vedeva lo scrittore (Thomas Mann, n.d.r.). Ed è difficile. Mann non amava molto gli altri…”.

Lei ora danza a Verona, viene dal San Carlo di Napoli e andrà poi a Parigi. Ma io l’ho vista danzare anche in un anfiteatro all’Arena. Quale differenza emozionale prova nell’affrontare il pubblico di un teatro e quello di un anfiteatro?

Oh! C’è questo enorme animale -20mila persone! – che, come una tigre, ti soffia sul collo: affrontare il pericolo è più bello. Quando ci si trova davanti a questi grandi spazi con migliaia di persone che possono applaudirti o fischiarti è emozionante, ti provoca una scarica di adrenalina speciale. Sì, tornerò all’Arena ad agosto con ‘Giulietta e Romeo’, Frigerio (Ezio, legato fortemente a Nureyev e scomparso a febbraio 2022, n.d.r.) ne curerà la nuova scenografia. Poi andrò a Parigi”.

Chi è stata la sua partner ideale?

A vent’anni, al Kirov, avevo già ballato con undici ballerine! Poi a Parigi ebbi bravissime partner. Soprattutto, sono stato molto fortunato nell’incontrare Margot Fonteyn: dovevamo fare una grande stagione a New York, ma avrei preferito Londra; e da Londra Margot mi telefonò, la raggiunsi subito e siamo rimasti assieme per 16 anni”.

A proposito di Londra, so che è amico delle sorelle Bouvier, soprattutto di Lee.

Ho incontrato prima Jacqueline Kennedy a New York, poi sua sorella Lee a Londra, dove abitava. Aveva una casa bellissima, un giardino stupendo, ero frequentemente suo ospite. Lei ora lavora con un grande stilista italiano (Valentino! n.d.r.). Fa bene, è sempre meglio lavorare”.

Lei conosce la moda italiana?

Io compro sempre Versace e Missoni. Mi piace molto Ungaro: anche se lavora in Francia è italiano, ha questo senso dei colori stupendo”.

Sto per rivolgergli un’altra domanda, quando mi dice “aspetta, aspetta” (è passato al “tu”) e con un balzo, cui segue una corsa da gazzella, esce dal retropalco, lasciandomi sulla cassa che -nel frattempo- deve essere spostata dagli attrezzisti. Dopo pochi minuti, ritorna con una grande sacca: la apre e, non senza mio stupore, mi mostra alcune paia di scarpe. Vedi? Le calzature sono importantissime. Molto, molto! Ricordo che Margot si recava da un bravissimo calzolaio italiano che aveva realizzato le calzature per la Pavlova (ballerina russa, n.d.r.), poi per lei: bellissime, leggere. Quando lui è morto, lei diceva: devo lasciare la danza, perché non ci sono più scarpe. Comunque ballò ancora. Purtroppo, non ricordo il nome del calzolaio. Vedi, certe scarpe mi durano venti anni, se sono fatte bene, se i lacci sono buoni durano tanto tempo: queste sono per ‘Il lago dei cigni’, queste per ‘La bella addormentata’. Le porto sempre con me: mai le lascio, nemmeno in aereo, devo essere sicuro di averle vicine. Senza scarpe (le “mie” scarpe!) non posso ballare”, spiega.

Fra i tanti costumi dei tuoi balletti quali ti hanno “vestito” non soltanto esteticamente? Quali hai sentito come una seconda pelle?

“Francesca Squarciapino (moglie di Frigerio) mi ha creato bellissimi costumi. Purtroppo, non ho lavorato con Lila De Nobili: è bravissima”. 

Mi parlavi della casa di Lee Bouvier. Ma so che tu hai una casa a New York, una a Parigi, e hai comprato “l’isola dei Galli” che fu di Leonide Maxine, di fronte a Positano.

“Vivo lì, anzi provo a vivere lì perché ancora niente è pronto! Amo molto l’Italia, la sua atmosfera mi è congeniale, mi trovo bene con gli italiani, col loro spirito. Possono esserci anche italiani cattivi, ma hanno sempre il sorriso, l’anima che palpita. E c’è il sole! E poi la grande arte. Anche in un piccolo villaggio puoi trovare belle piazze, ben proporzionate, con bei colori e chiese con bellissimi dipinti: speriamo che l’Italia non cambi, che non vi costruiscano orrende case “moderne”. La costa amalfitana è stupenda. Ma tutta l’Italia è bella, c’è sempre qualcosa da vedere, da scoprire, che ti riempie di gioia e serenità gli occhi, l’anima, il cuore. A Parigi abito in Quai Voltaire, vicino al Louvre: vedere l’acqua della Senna mi piace, è molto distensivo”.

Grazie, Rudolph. L’intervista è terminata.

Così presto?  Ti aspetto alla prima. E poi all’Isola e a Parigi. Devi venire!”.

Chiudo il registratore, rimetto tutto nella piccola borsa. Volutamente, non gli chiesi della sua vita privata, di sue reali o presunte relazioni “segrete”: il gossip lo lasciavo ad altri. Purtroppo, non mi fu possibile assistere alle sue ultime rappresentazioni: il lavoro mi chiamava altrove.

Dopo più o meno 18 mesi, il 6 gennaio del ‘93, Rudolf Nureyev morì, a Parigi.

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