La Bellezza e il mondo

 

“La bellezza è una specie di armonia visibile
che penetra soavemente nei cuori umani” Ugo Foscolo

La bellezza salverà il mondo, si legge in Dostoevskij. Ma per riuscirci ha bisogno di uno sguardo che la illumini. Il nostro sguardo sa ancora cogliere e difendere la bellezza?

Nel secondo dopoguerra, l’Italia è stata devastata da pianificazioni urbane sconsiderate; sulle nostre coste colate di cemento, tantissima speculazione edilizia ha umiliato la bellezza e, insieme a lei, la dignità umana. Girovagando nel web (patriadellabellezza.it): Il Talento dell’Italia è la Bellezza. La Bellezza ha per gli italiani un valore che va ben oltre il solo senso estetico, giacché è parte indissolubile del loro patrimonio identitario. È storia, cultura e territorio, ma anche ricerca scientifica e avanguardia tecnologica, qualità dei prodotti e creatività progettuale. A ciò si aggiungono la ricchezza del patrimonio agroalimentare, la capacità di costruire relazioni empatiche e l’eccellenza della manifattura. Una irripetibile pluralità che determina, nel suo insieme, quello “stile di vita” che il mondo intero ci invidia.

Ma è ancora vero?

Un breve sguardo alla riflessione sul concetto di bellezza – che prendiamo a prestito dal portale De Agostini sapere.it.

La riflessione sulla bellezza ha assunto, nel corso dei secoli, molteplici valenze e significati e soltanto a partire dal XVIII secolo è stata sistematicamente collegata con l’estetica. Già nell’antica Grecia viene elaborata una dottrina della bellezza; tuttavia non connessa organicamente all’esperienza artistica, ma a una concezione oggettivistica, che la fa dipendere da criteri esterni come bene, armonia ecc. I pitagorici, per esempio, identificano il bello con la simmetria e la proporzione. Platone lo inserisce in un contesto metafisico: nel Fedro e nel Simposio, la bellezza è collegata all’eros, in grado di portare l’uomo all’idea di bene e di manifestare sensibilmente l’assoluto. Plotino ne dà una visione ancor più intellettualistica e teologica: la bellezza è l’unica idea “visibile”, capace di guidare l’anima nel suo “metafisico cammino di ritorno” all’Uno, “fonte di ogni bellezza”. Il Medioevo ha una concezione del bello ancora più unilateralmente oggettivistica: la bellezza è opera di Dio ed è uno dei caratteri generalissimi degli enti in quanto enti. L’idea di armonia è un punto nodale del pensiero rinascimentale sul bello, che viene ancora identificato in una caratteristica obiettiva, ottenibile artisticamente e conoscibile criticamente. Proprio la ribellione contro le regole formali in nome della percezione del soggetto porta, nel XVIII secolo, alla fondazione dell’estetica come disciplina autonoma e alla connessione sistematica di bellezza e arte. Il bello viene identificato dapprima con la perfezione sensibile della rappresentazione artistica (A.G. Baumgarten) e successivamente con il piacere da essa suscitato (E. Burke). Kant unifica nella Critica del giudizio queste concezioni, legando la bellezza al piacere estetico e inserendola in un ambito autonomo e distinto dai valori morali e conoscitivi: la facoltà del sentimento. L’estetica romantica identifica definitivamente l’arte con il bello, interpretandolo come manifestazione di verità. Dopo Hegel si giunge a un rovesciamento fondamentale: l’estetica da “scienza del bello” diventa prevalentemente “scienza dell’arte”, nella quale il bello – sopraffatto dalla storia dell’arte e dallo studio storico, antropologico, empirico delle forme e delle produzioni artistiche – non occupa più un posto centrale. Nell’estetica contemporanea è stata rimarcata la distinzione fra la bellezza come sinonimo di valore estetico in generale e la bellezza come un valore fra altri.

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Oggi viviamo una realtà dove prevale la conoscenza scientifica, la tecnica e la tecnologia, il funzionalismo piuttosto che l’essere, il godimento piuttosto che il desiderio, la liquidità delle relazioni; in questa realtà il ruolo della bellezza è poco riconosciuto per come l’arte ci aveva insegnato a guardarla. La conoscenza scientifica è indifferente al concetto di bellezza; per la tecnologia le cose e gli uomini devono funzionare essere efficienti ed efficaci.

Forse abbiamo accantonato il valore della bellezza; nel particolare e difficile momento che stiamo vivendo, si osservi quanto successo agli artisti, ai musicisti, a tutte le persone che vivono per e nella cultura, a tutti coloro che dovremmo ringraziare per il dono della bellezza nelle loro opere, siano esse teatrali, musicali, letterarie, figurative.

Rifiutiamo la conoscenza della bellezza e così laciamo spazio al Kitsch, termine tedesco che significa “scarto”, “robaccia”.

Dovremmo riprendere le buone disposizioni dell’esistenza, come la contemplazione delle opere d’arte, una delle forme più propizie alla conoscenza. L’artista ci affida e ci dona quell’attimo che ha saputo fermare nel dipinto o in un racconto o in una poesia. Secondo il filosofo Baruch Spinoza, l’autentico Bene si identifica con tutto ciò che fa crescere la conoscenza, che la stimola, che la determina; mentre il Male si incarna nelle cose, negli esseri e nei sentimenti che la ostacolano, che la ignorano, che la negano.

Nell’antichità la bellezza era l’attributo dell’idea: la verità veniva considerata bella; un atto di giustizia o un gesto di bontà possedevano il segno della bellezza. Oggi forse pensiamo di consumare la bellezza alla stessa stregua di tanti altri oggetti o beni di consumo.

La bellezza è una potenza simbolica, scrive il filosofo Stefano Zecchi in un suo lavoro del 1995. La bellezza appartiene all’essenza stessa della vita e nonostane tutto essa troverà il modo perché si torni a pensare al suo antico significato. La bellezza non è semplicemente l’armonia o la perfezione della forma: provoca e sollecita l’intelligenza a scoprire il segreto in cui si cela; essa non è al termine di un processo, ma è l’origine che mette in cammino il pensiero.

Per ritornare ad avere quello sguardo che possa illuminare la bellezza, dobbiamo tornare a pensare. Così forse daremo ragione a Dostoevskij.

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