La centralità del paziente nella cura dei tumori

Come è mutata la relazione medico-paziente negli ultimi anni, in particolare nell’affrontare malattie difficili, quali i tumori? E al contempo come è cambiata la visione del paziente oncologico nella società e la presa a carico da parte dello specialista?

Se da un lato, la ricerca e la clinica continuano a fare importanti passi, nuove scoperte a livello molecolare e genetico permettono di approfondire la nostra conoscenza dei tumori, e maggiori collaborazioni e networking tra istituti aiutano il miglioramento dei trattamenti oncologici, degli strumenti di diagnosi, così come delle tecniche di imaging e delle terapie di supporto, dall’altra parte anche il rapporto tra lo specialista e il malato è profondamente mutato. Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Rosaria Condorelli, medico oncologo presso l’ambulatorio di Oncologia Medica dell’Ospedale Regionale di Locarno “La Carità”.

“Credo sia fondamentale sottolineare come oggi il paziente sia divenuto parte di un percorso terapeutico condiviso. Si tratta anzitutto di informare della patologia, della diagnosi e anche della prognosi chi ne soffre, naturalmente con rispetto dei tempi di realizzazione e sensibilità individuali. Sono momenti difficili ma oggi il medico è chiamato, è tenuto, a rendere il malato consapevole (in maniera individuale) del percorso che lo aspetta e a restituirgli un ruolo di centralità e di parte attiva nel progetto di cura. Oggi abbiamo abbondonato un modello di  relazione paternalistica tra medico e paziente, in passato a volte poco informato sulla natura e l’evoluzione della malattia  e spesso escluso dalle scelte riguardanti il percorso terapeutico. Oggi siamo consapevoli  che il paziente, la paziente, ha il diritto di sapere ma anche di scegliere –ovviamente negli ambiti in cui questo è possibile. Quando ad esempio mi trovo a discutere di un trattamento chemioterapico con qualcuna delle mie pazienti affetta  da tumore al seno, presento  quando possibile (soprattutto nel contesto della malattia metastatica)  le diverse opzioni terapeutiche, considerando i benefici e gli effetti collaterali dei vari farmaci, cercando di trovare insieme alla paziente il percorso più adatto alle sue priorità . Ad esempio, è noto come la perdita dei capelli dovuta ai trattamenti  chemioterapeutici sia difficile da affrontare per molte donne. Per questo è importante parlarne con loro, renderle parte di un progetto di cura che le riguarda.”

La centralità del paziente porta anche in primo piano figure professionali di supporto che prima erano meno coinvolte?

“Certo. Attorno al paziente oggi orbitano team di medici, chirurghi, infermieri, psicologici sempre più specializzati per patologia. Nel mondo anglosassone vengono spesso definite Unit, Breast Unit, ad esempio, nel caso del tumore al seno. Ne è un esempio il Centro di Senologia della Svizzera Italiana (CSSI) dell’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC), un’eccellenza, nella quale operano non solo oncologi specializzati nel tumore al seno ma anche radioterapisti, chirurghi ginecologi, chirurghi plastici, radiologi, patologi, infermieri, psicologi e personale di supporto formato per confrontarsi quotidianamente proprio con donne a cui è diagnosticato un tumore al seno. Inoltre, sempre più spesso viene incoraggiata e supportata la formazione di “gruppo di pazienti”. Oggi la persona malata, spesso ancor prima di essere informata dal personale sanitario, essa stessa si documenta,  legge della propria patologia e quanto ad essa connessa. Nel mio lavoro constato una crescente voglia di parlare della propria malattia e dei benefici personali che le donne traggono dalla partecipazione ad incontri e attività di gruppo –insieme a volontari, psicologi, personale sanitario – organizzati dal CSSI o dalla Lega Ticinese contro il cancro. Questi spazi di incontro permettono lo scambio di emozioni, vissuti, paure. Senza vergogna, ma cercando di arricchirsi della forza l’uno dell’altro.”

Se nel percorso di cura il paziente oggi è centrale, come è cambiata la società di fronte alla diagnosi di tumore?

“L’attenzione posta sulla prevenzione – per i tipi di tumore che lo permettono– e  le campagne volte a promuovere l’importanza della diagnosi precoce, fanno sì che il malato possa oggi essere guardato dalla società con minor stigmatizzazione. Se ne parla di più, di tumori. Tuttavia permangono retaggi culturali, spesso associati alla paura della malattia, che devono ancora essere affrontati e rimossi. Proprio poco tempo fa, la figlia cinquantenne di una mia paziente mi ha rivelato di avere per due anni ignorato l’invito allo screening mammografico cantonale e di esservisi sottoposta solo dopo la diagnosi di tumore al seno nella madre. Grazie anche al lavoro della Professoressa Olivia Pagani, dal 2015 le donne residenti nel Cantone Ticino con età compresa tra i 50 e 70 anni sono invitate per lettera a partecipare al programma cantonale di screening mammografico. Tuttavia c’è ancora chi non si presenta credo solo per paura.”

Invitare per lettera allo screening non basta?

“La diagnosi precoce è fondamentale. Il ruolo del medico di famiglia è centrale per far si che ogni persona si sottoponga a quegli esami diagnostici preventivi di efficacia validata (mammografia, colonscopia, PAP-test) senza paure e vergogne.”

 

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