“La fantasia è una sfera di cristallo”

A CENTO ANNI DALLA NASCITA DI GIANNI RODARI

Intervista immaginaria di Stefania De Toma

Incontro Rodari a Palermo, su una panchina di Piazza Marina dove campeggia quella cattedrale della natura che è uno degli alberi più grandi d’Europa, un magnifico ficus dove i rami mettono nuove radici. 

“Come mi ha trovato?” – Mi chiede con aria indagatrice e un sorriso su metà del volto quasi compiaciuto. 

Seguendo le regole della sua grammatica della fantasia, maestro: imparate da bambina e poi insegnate alle mie figlie. Mi è bastato ricordare il suo sogno di diventare burattinaio con una lunga barba bianca quando avesse finito di scrivere; e dove, – ho pensato – se non in Sicilia? 

Il sorriso gli si apre di più, e a quel punto comincio a fargli domande. 

Con le fiabe al telefono sembra lei avesse avuto la sfera di cristallo, tanti anni fa.  Quest’anno in reclusione da pandemia sono diventati tanti, i nonni che leggono le fiabe con lo smartphone ai loro nipotini… Immaginava fino a questo punto? 

La fantasia forse è davvero una sfera di cristallo. Scrissi le fiabe al telefono immaginando un uomo comune, il ragionier Bianchi, di Varese, che per il lavoro di rappresentante è via da casa l’intera settimana e la sera, alle nove in punto, raccontava una favola al telefono alla figlioletta. Le storie erano appassionanti al punto tale che le centraliniste interrompevano il loro lavoro per ascoltarle. Oggi la lontananza forzata imposta dal lockdown, anche nella stessa città, forse ci fa percepire quanto tempo sprechiamo a non condividerci con le persone care quanto dovremmo. Ma sa, anche il telecomando per guidare le persone non è lontano da quello che vedo succedere nelle nostre società, così influenzate e controllabili. O forse era una china prevedibile…

A cosa serve la grammatica della fantasia? 

Tutti gli usi della parola devono essere alla portata di tutti: non perché tutti siamo artisti. Ma perché nessuno sia schiavo. Avere strumenti per raccontare storie significa avere strumenti per esprimere sè stessi, per farsi capire e comprendere meglio il mondo che ci circonda. È lo strumento più prezioso per essere liberi. I “binomi fantastici”, o  il “test del mattone”, con cui i bambini si ingegnano a elencare ogni possibile – o impossibile – uso del mattone, sono una ginnastica straordinaria per la mente di un bambino. Li provammo, in una meravigliosa settimana sperimentale in una scuola di Reggio Emilia, tanti anni fa.

Perché in Italia soprattutto si legge così poco? Eppure  i libri per giovanissimi sono un’ancora di salvezza della editoria…

Io credo che sia per colpa di un discorso che viene interrotto.  Nei primi anni di scuola i libri sono molto presenti e anche sempre più belli, con vesti grafiche e illustrazioni che ne fanno percepire la preziosità come oggetto, come qualcosa che si deve avere caro. Poi accade qualcosa con le scuole medie: la gran parte dei docenti è come se saltasse a piè pari quella parte di letteratura di mezzo destinata ai giovanissimi che dovrebbe essere imperdibile, avendo una definizione più netta di bene e male e una riserva di lessico ineguagliabile. E non mi riferisco solo ai classici, ma anche a una generazione nuova di scrittori italiani per ragazzi tradotta in tutto il mondo, davvero notevole. Certi consigli sbagliati a dodici anni sono l’inizio per rendere la lettura un peso e non farla praticare in seguito. È un peccato. E questo forse comporta una perdita di orientamento anche nei valori da perseguire: quello che si legge nell’infanzia e nell’adolescenza resta come un segno profondo nella propria anima e personalità. 

Qualcuno ha la convinzione che il ministero della Pubblica Istruzione non l’abbia coinvolta in una ipotetica azione di riforma della scuola per le sue idee politiche un po’ troppo “sporgenti”. Si sente vittima di questo? 

Sono solo stato vittima di un intervento che non è riuscito a salvarmi la vita. Le mie storie, i miei metodi, so bene come abbiano segnato diverse svolte nel modo di approcciarsi ai bambini, che nasce soprattutto dall’ascoltare le tante cose che hanno da dire e insegnarci, dando loro gli strumenti per dire a noi adulti quello che conta davvero. Che certi aneliti alla libertà di pensiero, alla tolleranza, all’autentica uguaglianza tra esseri umani siano stati interpretati come inclinazione politica è anche comprensibile. Mi sento di dire che i tempi stavano maturando e forse qualcosa insieme alle istituzioni si sarebbe potuto costruire. Ma la grammatica della fantasia resta. Quella so che sta sui banchi di tante scuole in tutto il mondo. E ne sono felice.  

Il Lago a cui si mette l’apostrofo e diventa un ago: un mondo nuovo in una interpunzione. Con la fantasia è possibile l’impensabile? 

Non solo, nella vita. Imparare a fare di uno sbaglio una risorsa, una possibilità per creare qualcosa di più importante: non solo rimediare a un errore ma renderlo un moltiplicatore di energia. E anche uno studente somaro diventa un mago. Mi piacerebbe che in questo momento lo riscoprissero anche tanti che non sono più bambini da un pezzo…

Non solo da un errore ma anche da un momento difficile: i bambini sono vittime privilegiate di questa situazione che non fa vivere la scuola nella sua dimensione naturale. Cosa c’è da imparare o costruire per loro, senza la socialità e la condivisione di un’aula? 

Il senso della lentezza. Ecco, credo proprio che da voi in Svizzera abbiano messo in commercio gli orologi con una lancetta sola, che segnano un tempo più lento. Che non dovrebbe essere scandito dai secondi ma da una giornata che si è fatta più lunga e può essere riempita oltre che dai compiti da un bel film, dall’aiutare nelle faccende, imparare e dedicarsi a un hobby, e poi sì certo anche ai videogiochi. E alla noia. Che può rivelarsi una fucina strepitosa di sogni e idee, com’era forse un tempo. 

Dobbiamo salutarci, devo lasciarla, ho superato le battute dell’intervista e le parole non entrano più…

E allora le battute facciamole schiacciate, che prendono meno spazio… e le conservi in sé che poi si libereranno e vedrà che potremo incontrarci di nuovo. Perché questa è la regola fondamentale: non scordarsi di sognare in grande. La fantasia scopre luoghi da colonizzare, noi possiamo renderli reali. E consentire di “fare le cose difficili”, cosa che dicevo quarant’anni fa e oggi urge, pieni di condizionamenti di cui non ci rendiamo conto: liberare gli schiavi che si credono liberi. Noi stessi. 

Un ringraziamento al prof. Trifone Gargano, autore del libro “Raccontami Gianni Rodari”che mi ha consentito un approccio nuovo a questo giornalista, scrittore, poeta e soprattutto innovatore Maestro nella nostra cultura italiana.

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