La guerra in tasca e lo sfruttamento del Continente africano

Il Congo è ricchissimo di minerali preziosi, ma questo sembra essere più una maledizione che un beneficio per questa regione, perché ha scatenato, nel corso del tempo, sanguinosi conflitti per assicurarsi lo sfruttamento di rapina di queste risorse, a danno delle popolazioni locali e dell’ambiente.

Con il termine “coltan” si indica il composto di colombite e tantalite, una delle combinazioni in cui si presenta il tantalio, una componente essenziale dei chip di tutti i dispositivi elettronici, in grado di renderne efficienti le batterie.

Il Kivu, una regione orientale della Repubblica Democratica del Congo, al confine con Ruanda, Burundi e Uganda, è ricchissimo, oltre che di oro e diamanti, anche di coltan, spesso oggetto di traffici illegali che rendono problematico perfino quantificarne la produzione. 

Si calcola che il 90% del coltan provenga da miniere illegali congolesi, dove ai lavoratori, spesso bambini, vengono corrisposti compensi che raggiungono al massimo i 2-3 dollari per ogni chilo di minerale estratto, esportato poi nel vicino Ruanda e rivenduto a un prezzo che può raggiungere i 500-600 dollari al chilo. Né il debole stato congolese né il contingente dell’ONU dislocato in questa regione riescono a esercitare efficaci forme di controllo sulla maggior parte delle miniere. 

Lo sfruttamento illegale da parte di bande criminali determina, oltre a produrre effetti devastanti sull’ambiente, migrazioni forzate di intere popolazioni costrette ad abbandonare le zone soggette a sfruttamento minerario.

Il fotografo freelance Stefano Stranges ha documentato in una mostra questa situazione, riuscendo a svolgere il proprio lavoro solo grazie all’intervento della diocesi locale che gli ha consentito di far fonte a vari tipi di minacce e di divieti.

“I minatori sono schiavi senza catene, − ha dichiarato Stranges − devono scavare all’interno di queste montagne, in buchi di un metro di diametro e 15 di profondità, per raccogliere il minerale più puro. Questi scavi sono molto pericolosi, perché spesso crollano e le persone rimangono sottoterra, e spesso non vengono nemmeno estratti i corpi”.

Il lavoro infantile è particolarmente ricercato, anche se ancor peggio retribuito, in quanto i bambini sono in grado di muoversi in spazi particolarmente ristretti. Il minerale estratto viene trasportato, sotto lo stretto controllo delle bande armate, nel vicino territorio del Ruanda, dove avviene l’incontro con mediatori alle dipendenze soprattutto di aziende cinesi ma anche statunitensi ed europee.

Per il controllo della liceità della provenienza del coltan non è attualmente prevista una regolamentazione analoga a quelle esistenti per i diamanti e per l’oro.

Sulla falsariga del protocollo di Kimberley, che disciplina il commercio dei diamanti, in sede ONU è stata da tempo presentata un’analoga proposta per il coltan, la cui approvazione è ostacolata dall’opposizione della Cina e dell’attuale amministrazione USA.

L’approvazione di regolamentazioni che disciplinino il commercio dei diamanti non risolve ovviamente per incanto tutti i problemi legati ai commerci illegali, ma responsabilizza aziende e consumatori.

Anche ogni singolo consumatore è chiamato a fare la propria parte: occorre prima di tutto che ognuno di noi si informi meglio su questa situazione e si impegni a diffondere le proprie conoscenze.

Una possibilità, per quanto riguarda gli smartphone, potrebbe essere l’acquisto di un Fairphone, prodotto dall’omonima azienda olandese, che garantisce la provenienza lecita delle varie componenti del dispositivo oltre alla possibilità di sostituirne, in caso di necessità, le varie parti, prolungandone in tal modo la durata.

A detta degli esperti, il prodotto fornisce prestazioni accettabili anche se a prezzi superiori rispetto ad analoghi prodotti che vanno per la maggiore. Se non vogliamo compiere scelte di questo tipo, possiamo comunque sfruttare a fondo i nostri apparecchi elettronici senza pretendere di inseguire continuamente lultimo modello. Quando il nostro smartphone o il nostro computer non sono più in grado di funzionare, vanno smaltiti correttamente nei centri di riciclaggio autorizzati in modo da consentire il riutilizzo del coltan in essi contenuto.

Ognuno di noi può poi partecipare a campagne di pressione sulle multinazionali e sui governi perché garantiscano la provenienza legale dei prodotti utilizzati, e deve essere disposto a spendere un po’ di più per garantire la sostenibilità ambientale e sociale dei propri acquisti.

Un piccolo sacrificio largamente accettabile per non correre il rischio di continuare ad avere, in un certo senso, la guerra in tasca.

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami