di Giovanna Guzzetti
Foto: “Sono russa e sono contro la guerra”, dice la ragazza ritratta nella fotografia
“Mi chiedono spesso perché i miei post su Telegram sono così duri. La risposta è che li odio (gli Occidentali, ndr). Sono bastardi e degenerati. Vogliono la morte per noi, per la Russia. E finché sarò vivo farò il possibile perché spariscano”. “Il costo umano della battaglia (per Severodonetsk, ndr) è molto alto, è semplicemente terrificante. Abbiamo a che fare con il Male assoluto, non abbiamo altra scelta se non andare avanti e liberare il nostro territorio”.
Nulla da dire, anche sul piano della “guerra delle dichiarazioni” il conflitto tra Russia e Ucraina non sembra smorzare i toni. Arrivata al giorno 110, l’operazione militare speciale (leggi invasione della Russia nel territorio sovrano dell’Ucraina, retto da un governo ed un parlamento democraticamente eletti) deve registrare anche questo scambio. A fronte delle uscite, preoccupanti, del russo Medvedev del 7 giugno, emblematiche di una sua avversione per l’Occidente avallata dal Patriarca di Mosca, Kyrill, gli fa eco lunedì 13 giugno il presidente ucraino Zelensky. Con le truppe di Kiev in affanno, Mariupol caduta nel più infernale dei modi, Bucha luogo di torture efferate, Severodonetsk prossima a una resa assai sofferta, migliaia di bambini ucraini “russificati per decreto”, al numero uno di Kiev, non rimane che affermare, con dolore partecipato che non annulla l’orgoglio di sempre, di “avere a che fare con il Male assoluto”.
Viste le premesse, passi avanti negli eventuali negoziati di pace (sempre che questa parola possa trovare ospitalità dove si parla di questa guerra nel cuore dell’Europa) non ve ne sono (o non risulta che ve ne siano) intorno al tavolo di trattative che era stato insediato in Bielorussia sotto l’occhio benedicente, per Mosca, di un altro autocrate, il numero uno di Minsk, Lukashenko. Mentre trapelano voci di un rinnovato impegno del turco Erdogan in questa direzione, appaiono di migliore auspicio e più benevole le parole moscovite nei confronti del Vaticano e del suo ruolo di potenziale pacificatore. Un’apertura di credito da parte del Cremlino verso la Santa Sede ed i suoi sforzi di mediazione nel conflitto in Ucraina, dopo le reazioni tiepide alla intervista (e al richiamo) di Papa Francesco sulle operazioni belliche in corso.
UN CONFLITTO ANTICO, LA PACE ANCORA LONTANA
Al di là delle cronache, tristi ma copiose, di quanto avviene, al di là delle polemiche sulla “propaganda” che ogni parte in campo accusa gli avversari di mettere in atto, manipolando abilmente i fatti, il consenso è unanime sul fatto che i motivi di conflitto tra Russia e Ucraina vengono da molto lontano e che, da secoli, entrambe le unità “statali” hanno combattuto per affermarsi.
Dai tempi di Vladimiro il Santo principe di Kiev (10- 11esimo secolo d.C.) fino agli accordi di Perejeslav, anno 1654, voluti dallo zar russo Alessio I. Il sovrano formalizzò in questo modo i rapporti tra i proto-ucraini, (cosacchi, una delle anime dell’identità nazionale ucraina) e i russi, con i primi che, all’epoca, volevano svincolarsi dal giogo dell’impero polacco-lituano. Un passaggio importante nei rapporti tra queste due popolazioni con il segretario del Pcus, Krushov, che nel 1954, proprio in memoria dei 300 anni degli accordi di Perejeslav, decretò la cessione della sovranità della Crimea all’Ucraina. Quella Crimea che, dissolta l’Unione Sovietica, tornerà in mani russe nel 2014. Non certo con le belle maniere ma con un’azione di forza del solito Putin.
L’attuale Vladimiro (Putin), che di Santo ha poco, ma che aspira a diventare il principe di Kiev del 21esimo secolo, nel vagheggiare il ritorno alla Grande Russia si è appellato alla figura ed all’esempio di Pietro il Grande ed alla sua lunga guerra (21 anni) contro la Svezia per riprendersi territori che gli erano già appartenuti. Niente di nuovo sotto il sole oppure il richiamo ai corsi e ricorsi storici evocati da Giambattista Vico (17/18esimo secolo).
SCONTRO INTERNO IN ATTO?
Questa la versione ufficiale, l’informazione governata dal Cremlino. Ma dai palazzi lungo la Moscova, facili al bavaglio, possibile che non sia arrivato un alt alle esternazioni di Medvedev su Telegram? Probabilmente non lo sapremo mai, ma esistono correnti di pensiero che ipotizzano una divergenza (o uno scontro) in atto tra Putin e Medvedev. Il primo starebbe valutando l’uscita di scena definitiva del suo ex pupillo, da tempo fonte di imbarazzo per il Cremlino: non sarebbe esclusa una ambasciata per lui in Asia, un vero e proprio promoveatur ut amoveatur, da attribuirgli non prima di avergli fatto pagare il calo di popolarità di Russia Unita, il partito personale di Putin del quale Medvedev è presidente. Fenomeno atteso a partire dall’autunno quando si faranno maggiormente sentire gli effetti della crisi economica sulla maggioranza della popolazione che già non se la passa particolarmente bene.
Lontano dalla Piazza Rossa, Medvedev, diventato opportunisticamente (più) falco in una sorta di competizione con il suo boss su chi è più nazionalista tra i due, avrà tempo per riflettere sulla congruità della sua affermazione sugli “Occidentali bastardi” da sterminare. Come se sulle due sponde dell’Atlantico si vivesse solo animati da sentimenti conflittuali verso Mosca, pervasi da una sorta di russofobia. E su questo punto sposiamo la tesi, ben argomentata, espressa da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 10 giugno 2022. “Se dunque per russofobia s’intende criticare duramente il governo russo, allora, mi pare, Medvedev e i suoi amici dovrebbero innanzi tutto dare uno sguardo al passato (e forse anche al presente) del proprio Paese: la più formidabile tradizione di russofobia non devono andare a cercarla in Occidente. Ce l’hanno in casa”.
La cultura autoctona degli ultimi due secoli non è stata acquiescente con il potere centrale nonostante il prezzo da pagare: ritorsioni, censura, carcerazioni, gulag. Quando non la morte, come ebbe a dire Anna Politovskaja, voce libera della Russia di Putin, morta assassinata nel 2006, (forse) presagendo la sua fine. “Certe volte le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano”.