Di Rossana Cacace
Compositore e pianista di fama internazionale, Giovanni Allevi è “un universo” in continua evoluzione. Non a caso l’Agenzia Spaziale Americana NASA gli ha intitolato un asteroide. Diplomato in Pianoforte, in Composizione, laureato in Filosofia con la tesi “Il vuoto nella Fisica Contemporanea”, questo artista geniale ha rinnovato nel profondo la musica colta, riuscendo ad attirare oltre alla platea di appassionati anche l’attenzione delle nuove generazioni. Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti artistici e culturali, Stella d’Oro al Valor Mozartiano e Ambassador di Save the Children, in prima linea nella difesa dei diritti dei più piccoli, l’artista originario di Ascoli Piceno ha calcato i palchi delle più importanti sale da concerto del mondo: dalla Carnegie Hall di New York al Teatro alla Scala di Milano, fino alla Città Proibita di Pechino. Di recente si è avventurato in tv con un programma tutto suo su Rai Play. Il Covid 19 non ha bloccato la creatività del direttore d’orchestra che è infatti l’ideatore di “Allevi in The Jungle”, originale docu-serie prodotta da Twister Film per la Rai, dove va a caccia di talenti per l’Italia. Un’esperienza completamente nuova per Allevi, per sua stessa ammissione “timidissimo”. Ma la voglia di stupore è tanta, come l’artista ci rivela in questa intervista esclusiva.
Nel programma di Rai Play «Allevi in the jungle» su Rai Play lei, in giro per l’Italia, incontra i talenti di strada, gli outsider nella loro disciplina. Che cosa l’ha colpita particolarmente? In questo viaggio -reale ma anche mentale- ha trovato qualcosa che non si aspettava?
“In quello che è stato più un viaggio filosofico che fisico, ho trovato ciò che cercavo ardentemente: lo spirito ribelle, visionario, sovversivo, con cui i buskers, gli artisti di strada, esprimono la propria arte. Sono persone straordinarie che creano la propria forma espressiva senza curarsi del riscontro esterno, mettendo da parte il lato economico, ignorando quasi del tutto le dinamiche dei social. Potrei dire, degli alieni in questa società”.
Siamo una società interconnessa, ogni giorno veniamo raggiunti da migliaia di informazioni. Secondo lei esiste ancora la capacità di stupirsi? E quanto conta lo stupore nella vita?
“E’ vero, siamo interconnessi, ma siamo raggiunti da una quantità impressionante di contenuti che ci spingono all’omologazione, ad aderire a stereotipi di bellezza e di successo piatti e banali. La società conformista sta vivendo il suo culmine, e quando noi troviamo il coraggio di rompere le catene invisibili con cui ci tiene avvinghiata a sé, ritroviamo lo stupore, lo sguardo incantato che i bambini hanno sul mondo”.
Il Covid ha cambiato le nostre abitudini. Che cosa le manca del “prima”, che cosa le piace di “adesso” e che cosa si augura per il “dopo”?
“Mi manca il legno del palco, il profumo del pianoforte, il suono dell’applauso, il calore degli abbracci. Eppure la pandemia è stata per molte persone l’occasione di una espansione della mente, della scoperta di nuove passioni e nuove percezioni. Io ho scritto un libro di filosofia e ho affrontato l’avventura di registrare una serie televisiva, tutte attività che non avrei mai immaginato di fare in precedenza. Sono convinto che torneremo alla normalità arricchiti interiormente, con una sovrabbondanza di entusiasmo e di stupore”.
Che bambino è stato? E che ricordi ha dell’adolescenza?
“L’infanzia è stata bellissima. Ero un bambino libero, vivace e temerario. Poi nell’adolescenza lentamente mi sono chiuso, ho conosciuto il buio dell’anima, che non mi ha più abbandonato, finché la musica ha invaso il mio cuore e la mia mente. La musica è la mia salvezza, non ha niente a che fare con il successo, con le classifiche, con i complimenti. E’ un vento impetuoso che viene dal profondo dell’anima, e spazza via quel buio angoscioso”.
Oggi quando si guarda allo specchio vede un uomo che… Insomma, ci racconta il suo bilancio esistenziale?
“La mia psicoterapeuta ripeteva spesso che non devo fare bilanci, ma volentieri faccio un’eccezione. Allo specchio vedo un uomo non cresciuto, con un fisico eccessivamente magro dai tratti adolescenziali, un’anima inquieta che crede nella scintilla, in quella bellezza nascosta che la musica sa svelare”.
Ha mai pensato di smettere di suonare?
“Si, ma non di comporre musica. In un periodo della mia vita ho sperimentato il terrore da palcoscenico, dovuto forse alla paura del giudizio esterno. Ogni tanto mi assale ancora. Quando invece scrivo musica siamo solo io e lei, non c’è pressione, non c’è aspettativa”.
Sbrigliamo la fantasia. Se dovessi scrivere la colonna sonora che racconti questi tempi, quale grande compositore del passato vorrebbe al suo fianco? Mozart per un pizzico di leggerezza o Beethoven per conferire drammaticità? O chi altro?
“Oh no! Ho passato tutta la vita a fuggire dalla impareggiabile bellezza di Mozart, Beethoven, a cui aggiungo Rachmaninov e Prokofiev. Per scrivere musica nuova dobbiamo trovare uno sguardo inedito sul mondo attuale, e superarlo, andare oltre le aspettative, esplorare orizzonti ancora incontaminati”.
Ci può rivelare il percorso creativo che c’è dietro alla sua musica? O ce ne sono diversi? Insomma come nasce un’opera? Quanto conta il guizzo e quanto la razionale cura dei dettagli?
“Tutto nasce dall’ansia. Se non vivi il tormento, non puoi avere sete di paradiso. Arrivano alla mente una manciata di note, e senti che hanno il potere di portarti lontano, via dall’angoscia e dal buio. Ma devi inseguirle, svilupparle, assecondarle secondo la loro volontà. Di razionale non c’è niente. Forse la gestione della partitura scritta, ma è un dettaglio nei confronti dello slancio vitale”.
Vive a Milano da 23 anni. Vede questa città, motore dell’economia italiana, congelata – viste anche le temperature-, oppure vede ardere il fuoco della rinascita?
“Vedo un profondo bisogno di abbracci, un sentimento di umanità e solidarietà che sicuramente ci guiderò verso la rinascita”.
Poco distante c’è la Svizzera, dove vive una grande parte dei nostri lettori. Ha qualche ricordo speciale personale e/o professionale che la lega ai luoghi e alle persone di questo Paese?
“Nell’Auditorium della RSI anni fa registrai un album di pianoforte solo, “Alien”. Per allentare la tensione spasmodica interruppi la registrazione e mi misi a gettare briciole di pane ai pesci in un laghetto nel giardino, un gesto che mi regalò una inaspettata serenità. Oggi non posso dimenticare l’entusiasmo con cui il pubblico svizzero mi ha sempre accolto, una stima ed un calore che farò di tutto per continuare a meritare”.
Per concludere, vorrei farle commentare la frase di Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzione: “se potessi rivivere la mia vita, avrei fatto una regola per leggere poesie e ascoltare musica almeno una volta alla settimana”. E se fosse la musica una delle risorse per uscire migliori da questa terribile pandemia?
“Mi permetto una piccola aggiunta alla frase di Darwin: leggere e scrivere poesie, ascoltare e comporre musica. Il frutto di questa terribile pandemia sarà un impulso creativo, in cui riverseremo nel mondo le nostre idee più splendenti”.
(Foto di Riccardo Spina)