La rinascita del cigno

Ci siamo ricaduti, con gli occhi spalancati, sapendo bene cosa ci fosse dietro la spavalderia del far finta di niente. Sperando forse che affrontare il nemico con indifferenza, mentendo perfino a noi stessi, l’avrebbe reso incapace di aggredire; ma sapendo bene dentro di noi che il sopraggiungere dell’autunno gli avrebbe dato nuovo vigore. 

Abbiamo preso a un certo punto anche a ingrossare le file dei negazionisti, mine vaganti e diffusori scellerati del contagio, anche solo ascoltarli con più attenzione perché poteva farci comodo quando sono arrivati i primi DPCM, le prime limitazioni, indispensabili per frenare il frantumarsi di una diga – ancora in riparazione dopo l’ecatombe della scorsa primavera – alla debordante seconda ondata. 

Si dice da sempre “magari potessero prevedersi i terremoti!”. Nell’unico caso in cui l’evolversi di un dramma – che è di sofferenza fisica, economica, sociale – era ampiamente previsto, non abbiamo saputo proteggerci. Incaute cicale incapaci di approfittare dell’estate per far scorta di precauzione e prudenza, senza più l’attenuante di doversi trovare a fronteggiare un nemico invisibile ma con la possibilità di indebolirlo semplicemente con tre armi: distanziamento sociale, mascherine usate correttamente, lavaggio accurato delle mani. 

Come nel dipinto del pittore Ugo Moscatelli, che ha raffigurato un lockdown drammatico e accecante, è stato come incatenarci da soli, immersi in un metaforico sangue che è stato versato e che ancora continua a mietere vittime in tutto il mondo.  Immagini che sembravano surreali creazioni artistiche le abbiamo viste reali, come nella “stanza degli abbracci” della casa di cura di Castelfranco Veneto dove a coppie di anziani separati dal virus è consentito di abbracciarsi e baciarsi coperti dalla testa ai piedi da un mantello di plastica, assomigliando in modo drammatico e emozionante agli amanti incappucciati di Magritte. 

Quello che avremmo probabilmente potuto evitare si è ripetuto in queste ultime lunghissime settimane, il bollettino dei decessi laddove si era fermato ha ripreso a gonfiarsi e le strutture ospedaliere a congestionarsi; e le piazze, le scuole, le strade a tornar deserte, con le saracinesche aperte ma i negozi vuoti. Perché intanto poi la paura ha ripreso a far novanta. 

Al momento di andare in stampa leggiamo di una prima, timida inversione della curva dei contagi. E d’un tratto la magia dell’arte trasforma l’autoritratto in cui ci eravamo riconosciuti.  Quella figura incappucciata – che tanto ricorda la “maschera della morte rossa” narrata da Edgar Allan Poe, riuscita a infilarsi nel castello dove il principe aveva creduto di potersi rifugiare dall’epidemia di peste con la sua corte – vorremmo immaginarla come il fantasma del virus, finalmente immobilizzato con corde pesanti, vinto, annientato, mentre usciamo da questo diluvio universale che ci ha sommerso d’improvviso. La colomba bianca che ne segnerà la fine – che sia col vaccino aiutato dal nostro buon senso – la immaginiamo invece rappresentata da un cigno. In un video commovente diffuso qualche settimana fa sui media in rete, un’anziana donna malata di Alzheimer, che era stata la prima ballerina del New York Ballet, con una cuffia messa alle orecchie prende a dispiegarsi come un cigno che sta nascendo, pur nelle struggenti note che ne accompagnano la morte, aprendosi con le braccia e le mani ormai deformi a una danza della quale d’istinto riappaiono le movenze mentre lo sguardo ormai spento le si riaccende e il volto si innalza verso il cielo. L’attore Banderas pare abbia detto “Tchaikovsky si è preso gioco dell’Alzheimer”, il morbo che per antonomasia toglie i ricordi.  E allora noi la fiducia la riponiamo nell’infinita potenza del cuore, della mente, della passione, dell’Umanità che sa oltrepassare ogni ostacolo, che sta riuscendo a creare vaccini in tempi ritenuti impossibili fino a pochi mesi fa; che ha ceduto nel mostrarsi debole ma che ora sta facendo di tutto per riprendere in mano la vita.

Ugo Moscatelli, dipinto a olio, 50 x 70 – 2020
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