La Russia e l’Occidente secondo Putin

di Giovanna Guzzetti

«Questo è un conflitto tra la Russia e l’Occidente, una risposta all’avanzata dell’atlantismo… la Russia non ha solo lanciato una sfida, ha dimostrato che il dominio occidentale è ormai finito. Cina, India, il mondo islamico e l’Africa, il sud est asiatico, tutti hanno capito grazie a noi che ormai l’epoca della dominazione globale dell’Occidente è terminata». Questo un passo di un articolo che l’agenzia di stampa russa, Ria Novosti, ha pubblicato (per errore) il 26 febbraio 2022. Due giorni dopo l’invasione in Ucraina, come se l’operazione di “denazificazione” delle terre di Kiev fosse già stata portata a termine con successo.

Le parole, si sa, sono pietre e rendono in modo nitido quello che è il sentire di Putin e la sua idea di Russia. Il numero uno del Cremlino si ricollega alla storia precedente del suo Paese e ha scelto, sin dalla iconografia del suo discorso a reti unificate, di essere l’epigono di un altro autocrate russo. Non Pietro il Grande ma bensì quell’Ivan IV Groznij, glorioso per i suoi concittadini ma divenuto il Terribile per la storia.

monumento a Ivan il Terribile

Le cronache attuali, e la storia in futuro, ci diranno (o confermeranno) se anche il neo czar Vladimir dovrà fregiarsi dell’attributo di Terribile a causa delle sofferenze e delle devastazioni inferte alla popolazione ucraina. Di certo Putin con Ivan il Terribile condivide l’avversione per l’Occidente che oggi si riassume negli Usa e nella Nato e, in passato, nei mercanti genovesi o veneziani che, con la loro modernizzazione, diedero il colpo mortale a quella Bisanzio/Costantinopoli di cui l’impero russo si è considerato il prosecutore, l’erede. Non è dato sapere se Putin abbia maturato autonomamente questa convinzione: di certo un’opera di convincimento, quando non un vero e proprio lavaggio del cervello, è stata compiuta dal suo Rasputin, quel Tihon Shevkunov, vescovo della Chiesa ortodossa russa e conosciuto come il padre spirituale di Putin che per richiamare la grandezza della Russia ebbe a citare le parole dello zar Alessandro II: “Non ci si può fare nulla, l’Occidente ha paura della nostra vastità”. La grande Russia torna sempre in cima ai pensieri di chi la guida. Per ansia di dominio o per paura di essere scalfita.

L’invasione dell’Ucraina, che i Russi si ostinano a chiamare operazione militare e non guerra (parola rigorosamente bandita dalle fonti di informazione di Mosca) si può collocare in questo quadro. La minaccia dell’Occidente, materializzata dal desiderata di Kiev di entrare a far parte della Nato, e la necessità di Mosca di reagire, prendendola alla larga con la riconosciuta autonomia del Donbass, (mal)celano le difficoltà del Paese guidato da Putin.

La Russia deve fare i conti con una débâcle economica che dura da anni. Alcuni numeri possono rendere l’idea. La Russia, con 146 milioni di abitanti, ha totalizzato nel 2020 un Pil di 1483 miliardi di dollari contro i 1880 miliardi di dollari dell’Italia con 60 milioni di abitanti o i 752 miliardi della Svizzera, a fronte di 8,7 milioni di abitanti.

Negli ultimi 20 anni il Pil russo è cresciuto solo in 7 annualità, conoscendo il segno rosso in tutte le altre. La sua moneta, il rublo, ha patito un crollo verticale. Dieci anni fa il cambio contro dollaro era di 0,034. Ora, scoppiata la guerra e avviate le sanzioni, scambia a 0,009, con una svalutazione del 70%.Crollo in borsa delle principali banche russe, a partire da Sberbank incaricata di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici.

Che ne sarebbe di un paese in default all’estero ed anche entro i confini, con i cittadini in pressante coda ai bancomat per ritirare, riuscendovi, i contanti? Con i bond dei risparmiatori non rimborsati?

Un paese in pesante difficoltà, se non alla fame ma ulteriormente impoverito, come reagirebbe? Finora chi è sceso in strada, contro le manovre belliche, è la frangia di popolazione più attenta, critica, liberal, navigatrice della Rete (fin quando aperta): almeno 6 mila gli arresti. Ma anche personaggi più vicini al Cremlino (tra cui la figlia di Boris Eltsin, l’uomo artefice della salita al potere di Putin) hanno espresso la loro contrarietà all’invasione dell’Ucraina. Se non meraviglia più di tanto la raccolta di firme, 700 mila, da parte di un oppositore come Lev Schlossberg, hanno avuto maggiore risonanza le prese di posizione pacifiste di alcuni oligarchi, come Fridman e Deripaska, o l’affermazione di tre deputati comunisti della Duma, che hanno detto di aver votato il riconoscimento delle due Repubbliche del Donbass «in nome della pace e non della guerra». 

Una guerra in cui sono stati catapultati, contro ogni norma e consuetudine del posto, i militari appena avviati alla leva, ragazzi al massimo ventenni che, per bocca delle loro madri, fanno arrivare fino a noi lo strazio di una guerra che semina vittime tra i civili e falcia bambine di 8 anni, come Polina, in mezzo alla strada.

Ma l’Ucraina, al di là della geopolitica, può rappresentare un bacino di ricchezza per Mosca. Un paese che con le sue produzioni di frumento, grano, orzo, mais, segale, uova può soddisfare il fabbisogno alimentare di 600 milioni di persone mentre, in campo industriale, con le sue riserve di minerale di ferro è un importante punto di riferimento per l’industria siderurgica anche in Italia.

A che cosa porterà la campagna di Ucraina, al di là dei danni e delle distruzioni evidenti, non è dato saperlo. In ballo però, al di là dei pregiudizi e delle ideologie, c’è un ridisegno dell’Occidente e, probabilmente, anche dell’ordine mondiale (in attesa delle mosse del gigante cinese…). L’autocrate Putin fin qui non ha fatto nulla per rassicurarci di quelle che dichiara come “buone intenzioni”.

Tornano così ad echeggiare le parole di Anna Politkovskaja, la giornalista dissidente assassinata il 7 ottobre 2006: “Con il presidente Putin non riusciremo a dare forma alla nostra democrazia, torneremo solo al passato. Non ho più speranza nella mia anima. Solo un cambio di leadership potrebbe consentirmi di sperare”. Tardi. Anche oggi.

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