La speculazione edilizia

di Andrea Foppiani

Così si intitola un breve romanzo di Italo Calvino, ambientato in una immaginaria quanto verosimile località ligure, scritto e pubblicato tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Sono gli anni del boom, gli anni della Cinquecento, delle vacanze al mare e ai monti; sono gli anni dei consumi: gli anni del consumo di cibi pronti, di elettrodomestici, di suolo e paesaggi. Dalla costa ligure, dove alla macchia mediterranea si sostituiscono fitte foreste di condomini vista mare, alla periferia delle grandi città in espansione: un potere d’acquisto mai visto prima a braccetto con una pianificazione preda di dinamiche lucrative trasforma istantaneamente, per anni, per decenni, i bisogni degli italiani in miopi quanto estese colate di calcestruzzo.

Per lungo tempo, prima che virtuose politiche territoriali di riuso e conservazione potessero essere concepite e lentamente applicate, si è assistito ad una vertiginosa avanzata edilizia verso le campagne, le coste, le colline. Cavalcando l’onda del boom economico e della crescente necessità di alloggi causata dalle migrazioni interne di lavoratori verso i poli industriali e di turisti in direzione di neonate località di villeggiatura, si è dato il via libera ad attività speculative senza precedenti nella storia della penisola, da Nord a Sud.

Se è in molte pellicole di quegli anni che si può indirettamente osservare l’espandersi a macchia d’olio delle assolate periferie milanesi, romane, napoletane tra campi incolti e cascine diroccate, un regista in particolare si unì alle prime voci che denunciavano le tragiche conseguenze della speculazione edilizia: Francesco Rosi.

Con il suo “Le mani sulla città” (1963) il regista napoletano lancia un aspro quanto drammatico messaggio alla società civile: qualità ambientali, paesaggistiche, standard di vita e talvolta la stessa sopravvivenza, sono messe in pericolo dall’inarrestabile crescita urbana, il cui sviluppo è ovunque piegato ad uno scopo soltanto: arricchire imprenditori e politici corrotti, deturpando, distruggendo, ricoprendo il territorio con chilometri quadrati di quartieri destinati a invecchiare precocemente. Bastano i primi dieci minuti del film per comprendere i tratti fondamentali di un meccanismo perverso e conoscerne gli attori. Tra una breve spiegazione teorica e la declamazione della sua messa in pratica, una lunga ripresa dall’alto sorvola distese indifferenti e stranianti di palazzi di nuova costruzione, che ricoprono indistintamente i saliscendi di un paesaggio completamente riscritto, saturo, snaturato. «I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce.» compare scritto al termine della pellicola; allo stesso modo sono vere anche le facciate, i terrazzini, i tetti, le strade spoglie, le baracche che occupano i pochi spazi liberi tra i grattacieli della città in espansione, oggetto delle riprese.

Facendo un salto al 2019, sembra facile giudicare voltandosi indietro, ma non bisogna cadere in tentazione: la speculativa conquista di terreni agricoli, scampoli di paesaggio costiero, frammenti di città apparentemente dimenticati, progredisce tuttora e non sempre cittadini, architetti, pianificatori e istituzioni riescono a collaborare nella giusta direzione. Di fronte agli incessanti strascichi della pratica speculativa, spesso meno estesa e più nascosta, ma non per questo meno rischiosa in termini di qualità del paesaggio e di vita in esso, occorre che si diffonda una fondamentale presa di coscienza: ogni giorno viviamo e operiamo in un paesaggio che porta i segni delle nostre attività, dando forma ad un palinsesto i cui connotati dipendono in larga misura da noi. Da sempre gli insediamenti umani sul territorio portano con loro modifiche nella trama di relazioni tra spazi e risorse, ma la domanda che sempre più frequentemente ci sarà necessario porci è: “posso fare meglio, posso abitare meglio?”. Grazie alle ricerche e agli sforzi di molti studiosi e professionisti, abbiamo potuto tutelare e recuperare i nostri centri storici, sperimentare nuove pratiche abitative, ridurre l’impatto ambientale e paesaggistico del nostro vivere in un luogo, ma la sfida contro la speculazione è sempre aperta. Un approccio vigile e consapevole rispetto al territorio che ci circonda è perciò sempre di più una responsabilità culturale, civile e ambientale impellente di fronte al nostro intramontabile potere di scrivere una storia tramite il paesaggio.

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