La storia dell’arte tra ricerca scientifica, volontariato e passione personale

Recentemente, durante una visita specialistica da un medico, alla scoperta che nella vita faccio ricerca nel campo della storia dell’arte, mi sono sentita rivolgere la seguente domanda: «e chi finanzia queste cose?».

La questione – sottopostami con un tono oscillante tra la sincera curiosità e il leggero scetticismo – è espressione, in forma forse più sottile, di un atteggiamento piuttosto comune che ho verificato occorrere negli anni. Per molte persone risulta infatti difficile pensare di legare la storia dell’arte alla ricerca, tanto più se qualificata come “scientifica”. Se, infatti, è già complesso comunicare all’esterno del (ristretto) mondo accademico il fatto che lo studio – in tutte le sue forme e nella sua continuità, potenzialmente mai esauribile – corrisponda a un vero e proprio lavoro, questo appare ancora più arduo nelle discipline umanistiche, per il loro carattere scarsamente “produttivo”. In particolare poi, è assai diffusa l’idea che la storia dell’arte sia una passione, spesso coltivata parallelamente ad altre o esperita nel tempo lasciato libero da impieghi “veri”, socialmente o economicamente “utili”.

Una causa e al tempo stesso una conseguenza di ciò è certamente la strettissima associazione esistente con il mondo del volontariato.

Lungi dal giudicare negativamente l’attivismo nel campo dei beni culturali – in alcuni casi unica forma di tutela e valorizzazione di monumenti, musei o luoghi purtroppo dimenticati dall’amministrazione pubblica – è però importante chiarire la differenza che intercorre tra chi pratica la storia dell’arte per diletto e chi ne fa il proprio mestiere, per distinguere tra amatori da un lato e professionisti che possiedono una specifica formazione dall’altro.

Si tratta di un tema molto caldo che, in Italia, ha conosciuto un progressivo inasprirsi delle polemiche tra i professionisti e le associazioni di volontariato impegnate nei diversi ambiti della cura, promozione e diffusione della conoscenza del patrimonio culturale. A favore di una più delineata percezione delle differenze che intercorrono tra l’uno e l’altro schieramento, sono state numerose le prese di posizione di studenti, laureati, professori – tra i più noti, Tomaso Montanari, dal 2002 impegnato sul web su questo e altri temi – che hanno portato a iniziative come quella intitolata “Mi Riconosci?”, nata alla fine del 2015. Lo scopo è quello di cambiare una realtà lavorativa estremamente nebulosa – determinata da mancati riconoscimenti e nell’attesa di decreti attuativi o di bandi permanenti per l’iscrizione in elenchi nazionali – che genera situazioni come quella all’attenzione del pubblico in queste settimane: a Senigallia (AN) si cerca un direttore per il Museo Comunale di Arte Moderna, Informazione e Fotografia (MUSINF) disposto a ricoprire questo incarico a titolo totalmente gratuito!

Se uno dei problemi principali relativi al mercato del lavoro rimane dunque il riconoscimento di competenze e di percorsi formativi e professionali coerenti e di alto livello, ai quali corrispondano poi retribuzioni adeguate, altrettante difficoltà si presentano a chi decide di perseguire una carriera accademica. Alle complicazioni comuni a tutti gli ambiti – dovute ai sempre più scarsi investimenti pubblici in istruzione, università e ricerca scientifica – chi sceglie di intraprendere questo percorso nelle discipline storico-artistiche deve anzitutto dimostrare di avere trasformato una passione – certamente una componente essenziale! – in un lavoro, fatto anzitutto di dedizione, ma anche di protocolli a cui rispondere, di rispetto delle scadenze, di dura ricerca di finanziamenti, di networking, di continuo aggiornamento. Basti pensare che il percorso formativo in questo ambito supera mediamente i dieci anni di studio: Laurea Triennale, Laurea Magistrale, Dottorato di Ricerca, Post-Doc, a cui possono aggiungersi uno o più Master, il diploma della Scuola di Specializzazione, varie borse e diversi tipi di assegni di ricerca.

Tutti questi titoli, uniti ad esperienze lavorative nel settore (meglio se internazionali), sono tappe fondamentali per costruirsi un curriculum e un bagaglio di competenze essenziali per essere preparati e competitivi.

La storia dell’arte (includendo in essa tutte le discipline storico-artistiche e architettoniche) risponde dunque agli standard imposti a tutte le carriere accademiche ed è ricerca scientifica quando consiste in un’indagine – individuale o condivisa da un’équipe – volta ad accrescere, aggiornare e ad ampliare i fondamenti della conoscenza; è sistematica, ha una sua programmazione e si fonda su una metodologia specifica che spesso trasforma e rinnova. I prodotti della ricerca storico-artistica sono continuamente sottoposti a valutazioni: attraverso convegni, workshops e conferenze lo studioso presenta agli specialisti e al pubblico i risultati del proprio lavoro; la pubblicazione di articoli e di contributi, la curatela di volumi collettanei o la realizzazione di monografie sono requisiti essenziali per il superamento di concorsi di abilitazione alla ricerca e all’insegnamento accademico.

Per rispondere dunque alla domanda iniziale: per esempio, a finanziare questo tipo di ricerche è l’Archivio del Moderno dell’Accademia di Architettura dell’Università della Svizzera Italiana, promotore di progetti nazionali e internazionali su temi di storia dell’architettura, dell’arte e delle tecniche artistiche, attuati grazie al supporto economico del Fondo Nazionale Svizzero o realizzati attraverso convenzioni e accordi di collaborazione con università, musei e altre istituzioni scientifiche e culturali (http://www.archiviodelmoderno.org).

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