La tempesta perfetta: rientro dei cervelli e leadership responsabile

Nel corso dell’attuale crisi sanitaria si è assistito a un fenomeno di rientro di “cervelli” in Italia, con la complicità dei progressi del digitale. Si tratta di controesodo di figure di alto profilo professionale e non di controesodo da parte di emigrati “economici”. Come riportato dal New York Times, il Covid è riuscito lì dove le politiche governative hanno fallito: riportare persone di talento in Italia. Secondo il Ministero degli Affari Esteri, nel nostro Paese lo scorso anno si è registrato un incremento del 20% di rimpatri rispetto all’anno precedente e il trend è in continua ascesa anche nel 2021. L’Italia sembra dunque avere l’opportunità di usufruire delle competenze e delle innovazioni di talenti che hanno acquisito skill rilevanti e internazionalità. Non sorprende, quindi, che business leaders di ogni settore sollecitino il Governo affinché non sprechi questa opportunità.

Il New York Times ha riportato la storia di Elena Parisi, ingegnere, che ha lasciato l’Italia a 22 anni per intraprendere una carriera a Londra cinque anni fa, ma che l’anno scorso, avendo la pandemia costretto i dipendenti di tutto il mondo a lavorare da casa, ha colto l’occasione – come molti connazionali- per tornare a casa, in Italia. “La qualità della vita qui è mille, mille volte migliore”, dice Elena.

Il virus ha ribaltato un fenomeno conosciuto e globale, quello della fuga di cervelli dall’Italia, ottenendo ciò che anni di incentivi non potevano. Quanto cambierà lo status quo e quanto saranno permanenti le nuove tendenze di rientro è fonte di dibattito, ma qualcosa è chiaramente cambiato e il trend è forte e di forte rilevanza: “Il contro-esodo della fuga di cervelli”, scriveva a settembre Il Sole 24 Ore. “Adesso i giovani vogliono tornare in Italia”, confermava Il Giornale di Sicilia mentre L’Espresso ha definito il 2020 “l’anno della svolta, del ritorno”. Il Messaggero, infine, parla di “Coronavirus, il voltafaccia della fuga di cervelli” ed esorta i legislatori a trovare un modo per trattenere “lo straordinario esercito di talenti tornati a casa di fronte all’emergenza”.

Il governo italiano ha accolto con favore il ritorno di molte menti brillanti: nelle parole di Paola Pisano, ministro per l’innovazione tecnologica, questo trend è “una grande opportunità”, aggiungendo che adesso l’Italia deve fare la sua parte per trattenere i talenti rientrati o che faranno ritorno. Intervistato dal New York Times, un altro cervello rientrato dichiara: “abbraccio al 100% una vita professionale americana, ma ho uno stile di vita molto mediterraneo”. Roberto Franzan, programmatore e founder di start-up di successo a Londra oltre che ingegnere Google, è tornato a casa a Roma a marzo. “E’ andata molto bene per me, e in Italia stanno nascendo molte start-up e società tecnologiche interessanti, immagino che investirò nel Paese. Questo momento ci ha dato tutto il tempo per renderci conto che tornare alle proprie radici può essere un’ottima cosa”, ha detto.

Ho parlato di questo “anno della svolta” con due grandi professioniste del settore head hunting: Carola Adami, head hunter e co-founder di Adami e Associati, e Maurizia Villa, Managing Director Italy di Korn Ferry International.

CONVERSAZIONE CON CAROLA ADAMI, CO-FOUNDER DI ADAMI E ASSOCIATI

Dottoressa Adami, come sono cambiati e stanno cambiando gli interessi di molti expat?

“È vero che i trend relativi agli expat hanno e stanno subendo dei mutamenti molto forti in seguito allo scoppio dell’emergenza sanitaria. Ma è anche vero che parliamo di trend che sono in continuo mutamento, partendo dal presupposto che fin dal 2010 il nostro Paese offre degli importanti vantaggi fiscali ai cervelli in fuga che decidono di fare ritorno. Parliamo, quindi, di un fenomeno in continuo mutamento, che negli ultimi mesi ha iniziato a trasformarsi più velocemente. Quel che è certo è che la volontà di ritornare nel paese natale, a partire da marzo, è aumentata in un modo che sembra inaudito: da questo punto di vista l’emergenza sanitaria ha avuto un effetto più forte rispetto alle tante agevolazioni fiscali per i lavoratori di ritorno dall’estero. La pandemia ha avuto un ruolo importante nei nuovi comportamenti degli expat italiani, generando o incentivando una spinta verso il ritorno. Il Covid non aumenta solo il numero di lavoratori che decidono di tornare: trasforma anche le ragioni che spingono al ritorno. Si pensi che, fino al 2019, un expat su 3 si dichiarava disposto a tornare in Italia solamente di fronte alla certezza di accedere a una posizione più prestigiosa. Oggi, invece, oltre l’80% dei giovani italiani che lavorano all’esterno sono spinti verso il ritorno anche dal desiderio di restare più vicini ai propri cari, fattore che in tempi normali non avrebbe avuto un tale peso. In certi casi, poi, la crisi sanitaria ha spinto o sta spingendo verso il ritorno alla sensazione dei lavoratori di essere maggiormente al sicuro in Italia. Mettendo da parte i motivi “classici” che anche in passato hanno incentivato il rientro degli expat, possiamo certamente affermare che hanno avuto un ruolo importante due fattori: il rafforzarsi degli incentivi fiscali per il ritorno dei cervelli in fuga nonché la Brexit, con il suo impatto destabilizzante. Il nostro punto di vista ci permette di avere un’opinione abbastanza robusta su quello che sta accadendo, a partire dall’aumento dei contatti di expat che abbiamo conosciuto negli ultimi mesi. È un dato di fatto: a partire dalla scorsa primavera sono aumentate in modo più che sensibile le risposte agli annunci di lavoro in Italia da parte di expat che accarezzano – o più – l’idea di fare ritorno. C’è sempre stato, è vero, un certo interesse da parte dei professionisti che lavorano all’esterno nei confronti delle posizioni più prestigiose che si aprivano in Italia: oggi, però, la percentuale di cervelli in fuga che monitora in modo attento le nuove possibilità nel nostro Paese è decisamente più alta. E, va sottolineato, i professionisti che hanno trascorso qualche anno all’estero, molto spesso, possono offrire qualcosa in più alle aziende italiane. Nel nostro Paese è in corso un movimento importante intorno alla digital trasformation, con tante aziende alla ricerca di talenti in grado di aiutare il team ad affrontare questa transizione: in un certo senso, quindi, è possibile dire che è aumentata anche la domanda per determinate figure, e i professionisti che hanno avuto la possibilità di misurarsi con delle aziende più avanzate nel processo di digitalizzazione possono ora far valere queste importanti esperienze professionali”.

Milano rimane all’apice come appare dagli studi sul mercato immobiliare?

“La nostra agenzia di selezione del personale opera in tutta Italia e anche all’estero ma, essendo basata a Milano, ha comunque uno sguardo speciale su questa specifica realtà. Di certo l’emergenza sanitaria ha trasformato e continuerà a trasformare in modo importante questa città, ma la sua attrattività, a livello professionale, non subirà probabilmente importanti variazioni verso il basso. Una cosa è però certa: l’introduzione massiccia dello smart working, e la sua probabile continuazione parziale nel futuro, tende a eliminare il rapporto stretto tra sede dell’azienda e domicilio del lavoratore”.


UN CAFFÈ VIRTUALE CON MAURIZIA VILLA, COUNTRY MANAGER ITALY, KORN FERRY INTERNATIONAL


Dottoressa Villa, qual è il quadro delle attuali dinamiche dei cervelli italiani (mai fuggiti o di rientro) e del mercato del lavoro in Italia per profili internazionali medio-alti e alti?

“Da anni c’erano segnali in questo senso, segnali da parte di talenti italiani che indicavano interesse a rientrare in Italia. Dalla Brexit in poi specialmente, abbiamo assistito a una crescita esponenziale di rientri di “cervelli”, dettati da posizioni, interessi, necessità spesso diversi, ma accomunati dalla consapevolezza di una più alta qualità della vita in Italia, di un equilibrio maggiore tra aspetti di vita privata e professionale, che passano dal corollario relazionale, educativo, culturale, e anche logistico. Non dimentichiamo che Milano gode di una posizione eccezionale tra mare, Alpi, laghi e colline. Inoltre, spesso, per molti una minore globalizzazione soprattutto nel contesto “forza lavoro” porta a vedere il rientro in Italia come una capitalizzazione del market knowledge, che è fatto molto di relazioni, di posizionamento del proprio brand e così via. L’ideale è una combinazione di valore ed esperienze acquisite all’estero e di market knowledge italiano. L’Italia è sempre più attraente anche per i fondi di private equity, che vedono nel paese un grande potenziale. Al momento, sia per i talenti internazionali, sia per i cervelli che scelgono di rientrare, l’Italia rappresenta una delle migliori strutture fiscali. Negli ultimi anni abbiamo notato un forte interesse da parte di professionisti senior anche internazionali a sedere in board italiani. Spesso, soprattutto con le vecchie generazioni, sussiste ancora una barriera linguistica, ma non è un limite per le nuove generazioni. E poi in generale è vero anche che fa piacere lo sforzo di professionisti internazionali a comprendere l’italiano. Altro tema molto importante è il valore della competenza. Ne facciamo un mantra, è una questione primaria. In questo momento il mercato si muove molto su figure sia tradizionali sia più forti su skill di tech, innovazione, digitali, in questi contesti la competenza e l’esperienza sono tutto, non la si può naturalmente inventare. C’è poi l’aspetto della diversità e parità di genere, qui il tema di governance è ancora molto forte, su questo ancora va fatto progresso, la questione non è incrementare il numero di donne ma far avanzare le competenze delle donne nei board e far sì che vengano ascoltate dal management. In questo senso non possiamo permetterci di fare consulenze che vanno nella direzione della legittimazione anziché del vero contributo, non ha senso legittimare certe tendenze. Infine, vitali sono le modalità operative, di disruptive leadership, bisogna lasciare nel passato i modelli verticali, le nuove generazioni vogliono essere capitalizzate, valorizzate, serve agilità. Viviamo in un mondo in cui le previsioni sono short term, c’è molta unpredicability, è dunque molto importante aumentare all’interno delle aziende, il numero di professionisti e di personalità meno rigide a più agili, un banco di prova in questo è stato anche lo smart working chi ha tirato fuori la vera resilienza e competenza di molti professionisti. È importante avere un’attitudine che chiamiamo di cross-fertilization, cross skills. Il mondo del lavoro è sempre più dinamico, è bene guardare in maniera olistica alle capacità ed esperienze dei talenti, noi abbiamo fatto in questo senso passaggi di persone totalmente unexpected, lavorando e spingendo i clienti ad avere coraggio. La bravura sta nel mettere insieme specialisti su vari fronti, abbattere barriere, il valore che si porta e che si ottiene come azienda quando questo accade è molto forte”.

Che consiglio darebbe a un return expat?

“Avete tante opportunità di portare la vostra competenza e investire sul recupero relazionale del mercato italiano, pensiamo alle mid-size companies che hanno forte bisogno di metodologia, esperienze nuove e internazionali. Il mio consiglio, quindi, è: tornate a casa, come back home”.

CONCLUSIONI

Quali sono gli elementi vitali su cui dobbiamo costruire il prossimo futuro del Paese e in generale quello delle nostre democrazie? Come cogliere al meglio le opportunità offerte dalla “tempesta perfetta” che sembra essersi creata per una forte ripartenza?
La direzione è chiara: massimizzando le eccellenze italiane, di ritorno o mai partite, dando loro una voce forte e pacata al contempo, facendo leva su informazione seria, cultura, capacità di stare ai tavoli e portare idee e soluzioni a tutti i livelli. Serve ripartire dal lavoro e da una leadership responsabile. Una nuova generazione sta aprendo la strada, focalizzata sul valore della competenza e dell’eccellenza, nel rispetto dei valori e di forti principi etici. Un elemento chiave emerge dalle molte conversazioni che quotidianamente ho con imprenditori, business leaders, rappresentanti governativi. L’elemento chiave per il futuro del Paese ed in generale delle democrazie liberali è la leadership responsabile, un processo di interazione con gli stakeholder che si integra intorno ad un obiettivo condiviso, che si svolge in azienda, in politica, nel proprio contesto sociale, e si basa su valori e principi etici.
Accenture ha sviluppato un modello di leadership responsabile illuminante, basato su cinque elementi, che a mio avviso valgono in contesti corporate, imprenditoriali, governativi e sociali. Vediamoli:

Inclusione degli stakeholder:
salvaguardare la fiducia e l’impatto positivo per tutti mettendosi nei panni degli stakeholder quando prendono decisioni e promuovendo un ambiente inclusivo in cui individui diversi hanno voce e sentono di appartenere.

Emozione e intuizione:
sbloccare impegno e creatività essendo veramente umani, mostrando compassione, umiltà e apertura.

Missione e scopo:
promuovere obiettivi comuni ispirando una visione condivisa di prosperità sostenibile per l’organizzazione e i suoi stakeholder.

Tecnologia e innovazione:
creazione di nuovo valore organizzativo e sociale innovando responsabilmente con la tecnologia emergente.

Intelletto e intuizione: trovare percorsi sempre migliori verso il successo abbracciando l’apprendimento continuo e lo scambio di conoscenze.

Nei prossimi dieci anni il Paese, e il mondo, si giocano molto. È un decennio in cui bisogna dare e raggiungere obiettivi molto importanti. Un nuovo e forte modello di leadership responsabile, il talento e l’eccellenza possono aiutare ad affrontare i problemi più urgenti in modi che scatenino nuove ondate di crescita più sostenibili ed eque, facendo leva sulle imprescindibili competenze di EQ (emotional quotient) e AQ (adaptability quotient).
Questo è il tempo di agire. Questo è il tempo della competenza.

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