LA TESTIMONIANZA: il Coronavirus raccontato dai medici in prima linea

Ho chiesto ai miei amici, che lavorano in ambito sanitario, cosa passi per le loro teste in questi giorni. Tutti lavorano alacremente, ognuno è chiamato a fare il proprio dovere, spesso cambiando reparto o adottando misure straordinarie. Non ho cambiato le loro parole, credo siano forti proprio perché scritte “di getto”. Ho tralasciato quelle dei miei amici e colleghi di Bergamo, perché troppo forti e troppo intime. A tutti coloro che soffrono va il mio pensiero.

Luca: Mi colpisce in assoluto il silenzio. Si sentono solo in lontananza le sirene delle ambulanze. Entri in ospedale ed è un mondo diverso: persone con le mascherine, saluti fatti con un cenno della testa a quel metro di distanza che speri sia sufficiente a evitare il contagio. Entri nelle zone calde (i reparti con pazienti COVID dell’ospedale, NdR). La speranza del “sarà sufficiente?” diventa una compagna inseparabile. Basterà la mascherina? Il visore? Ho messo bene il camice? Mi sono spogliato correttamente e avrò le mani pulite? Lo prenderò anch’io? E se sarò grave, ci sarà un posto anche per me? Lavori e non ci pensi. Poi torni a casa e vedi tuo figlio, lo saluti da lontano e la paura svanisce. Il giorno dopo la sveglia suona e tutto ricomincia.

Ilaria: Angoscia e smarrimento.

Carmen: Sento ancor di più un fortissimo attaccamento alla famiglia e alle persone care, anche se lontane. Mi mancano i miei familiari, è terribile non poterli abbracciare.

Ilaria: Inadeguatezza. La natura ci ha colti impreparati!

Bea: Fiera dei colleghi, gente che studia e non si tira indietro, ma mi vergogno per quei furbetti che corrono su e giù per l’Italia senza il minimo senso della ‘res publica’, del senso civile, spargendo ai quattro venti il virus, anziché restare a casa.

Ilaria: Ho più tempo per cucinare. Effettivamente morire sobria e magra è un peccato; se sopravviverò diventerò obesa.

Gigi: Non so come sistemare i bambini; baby-sitter introvabili e forse neppure io andrei a casa di due che lavorano in ospedale per seguirne i figli.

Mirco: Come va alla dogana? Tutto libero? Ok, allora rientro a casa e passo la serata con la mia famiglia anziché dormire in albergo.

Valerio: Ho paura di fare la notte perché magari sono solo, non è il mestiere che faccio tutti i giorni e magari sbaglio qualche procedura; hanno preso tutti i medici disponibili per poter trattare i COVID. Morirò perché non mi sono svestito dai presidi nella maniera corretta!

Antonio: Ci siamo tagliati la barba per poter indossare la mascherina con più sicurezza.

Valeria: Qua arriva il delirio (nel milanese, NdR)! Chiameranno anche gli otorini a dare una mano nelle zone calde. Che disastro, amica mia! Ma io sono certa finirà e ci sarà qualcosa di positivo.

Sonia: Rimane chiaro che sotto i 18 anni si hanno pochissime complicanze.

Un mio amico di università: Hanno ricoverato mio padre, respira male. Ho una brutta sensazione.

Mio marito: Non ti prendere niente… Stai attenta.

Sono giorni che viviamo nell’isolamento; il senso del tempo cambia, ritroviamo un’intimità nuova tra le mura di casa con noi stessi e con i nostri familiari.

È un’opportunità per rallentare i ritmi, riflettere sulle nostre personali priorità e sui nostri desideri, spesso accantonati in nome del superfluo, riflettere in grande sul concetto di salute, senza la quale non esiste felicità né ricchezza.

 

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