di Daniele Lupelli
Un recente parere dell’Agenzia delle Entrate (Risposta n. 203/2019) fa chiarezza su quale sia la residenza fiscale di un soggetto.
Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate riguarda un’italiana che, per motivi di lavoro, si è trasferita in Danimarca dove ha sottoscritto un contratto di locazione e nel 2017 ha conseguito reddito di lavoro dipendente in base a contratto di lavoro con una società diritto danese. Tuttavia ha ottenuto il certificato di iscrizione all’AIRE nel corso del 2017: pertanto si pone il problema di determinare la residenza fiscale ai fini della tassazione del reddito percepito.
In base al nostro ordinamento tributario TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) si considerano residenti nel territorio italiano le persone, indipendentemente dalla loro cittadinanza, che per la maggior parte del periodo di imposta – ossia per almeno 183 giorni – sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato italiano il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Le tre condizioni sopra citate sono tra loro alternative, essendo sufficiente che sia verificato, per la maggior parte del periodo d’imposta, uno solo dei predetti requisiti affinché una persona fisica venga considerata fiscalmente residente in Italia e, viceversa, solo quando i tre presupposti della residenza sono contestualmente assenti nel periodo d’imposta di riferimento tale persona può essere ritenuta non residente nel nostro Paese.
Pertanto, con riferimento al caso di specie, considerato che il trasferimento di residenza in Danimarca si è perfezionato nel corso del 2017, deve ritenersi che la contribuente italiana debba essere identificata come soggetto fiscalmente residente in Italia per il periodo d’imposta 2017, sussistendo una delle tre condizioni suindicate (iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta).
Ne consegue che, per tale annualità, tutti i redditi percepiti, dovunque siano stati prodotti, dovevano essere dichiarati ai fini dell’imposizione in Italia.
D’altra parte, in base alla Convezione contro le doppie imposizioni sottoscritta con la Danimarca, il reddito percepito a fronte di un’attività di lavoro dipendente, prestata, per la maggior parte dell’anno, in Danimarca alle dipendenze di una società di tale Stato, è assoggettato ad imposizione concorrente in entrambi i Paesi: in Italia, Stato di residenza ed in Danimarca, Stato di svolgimento dell’attività lavorativa.
In tal caso, la conseguente doppia imposizione sul reddito viene eliminata sulla base della Convezione, che stabilisce: “Se un residente dell’Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili in Danimarca, l’Italia, nel calcolare le proprie imposte sul reddito … può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni della presente Convenzione non stabiliscano diversamente.
In tal caso, l’Italia deve detrarre dalle imposte così calcolate l’imposta sui redditi pagata in Danimarca, ma l’ammontare della detrazione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo”.
Per le persone considerate residenti in Italia il TUIR prevede che l’imposta si applica sull’insieme dei redditi percepiti, a prescindere da dove essi siano prodotti, mentre invece per i soggetti non residenti l’imposta si applica solo sui redditi prodotti in Italia.