Lantern Fund Forum. Intervista al Professor Dominick Salvatore sul futuro dell’Italia

di Andrea De Grandi

Economista. Docente universitario alla Fordham University di New York, ma ancora “italiano vero”, seppure arrivato negli Stati uniti negli Anni Cinquanta. Libero nel pensiero come nel carattere, spesso consultato dal team economico dell’attuale presidente americano Donald Trump. Una carriera prestigiosa lo ha portato ad essere docente presso i maggiori atenei internazionali e consulente di governi ed organizzazioni come World Bank e Fondo Monetario Internazionale. La biografia contenuta nel suo sito web (www.dominicksalvatore.com) occuperebbe una intera pagina di giornale. E’ Presidente del Dipartimento di economia della Fondazione Einaudi, fondata a Torino dal Senatore italiano Giovanni Malagodi per la promozione del pensiero liberale nella politica e nella società.

Era il 1962, il periodo del boom economico italiano: ma ora dove va l’ economia?

Abbiamo intervistato Dominick Salvatore a Lugano, dove è stato ospite d’onore alla edizione 2019 del Lantern Fund Forum (https://finlantern.com/fundforum/), che ogni anno conclude il ciclo dei maggiori convegni economici internazionali.

Sulla attuale condizione economica italiana, gravata da un forte debito pubblico, il suo giudizio è negativo. Intravede elementi da cui poter ipotizzare una rinascita del paese?

Difficile rispondere. La crescita economica si ottiene con le riforme. Ma quest’ultime prima portano costi e solo dopo gli attesi benefici. Inoltre le riforme si dovrebbero fare quando nessuno ne avverte la necessità, quando il clima economico è ancora favorevole.

Quindi come vede il futuro del nostro paese ?

Credo che gli italiani sarebbero volentieri disposti a fare sacrifici pur di vederne i risultati. Dovremmo seguire l’esempio della Spagna che è intervenuta sulla pressione fiscale, ha semplificato il mercato del lavoro e ridotto gli oneri per l’avvio di una attività economica. Questo porterebbe ad un aumento del debito pubblico ed anche ad una svalutazione “reale”, ovvero ad una limitazione degli investimenti statali. Ma in Italia il problema del debito pubblico si è evoluto ad un punto tale che ormai è impossibile risolverlo celermente e senza sacrifici. Inoltre credo che gli ultimi governi italiani non abbiano ancora pienamente compreso la gravità della situazione.

A parte il caso italiano, anche la comunità degli stati europei ha i suoi problemi. I paesi del nord pretendono rigore di bilancio mentre, all’opposto, le nazioni meridionali oltre a convivere con un forte debito pubblico contano sulla solidarietà delle nazioni virtuose se poi ne avessero bisogno…

Già nel 1998 avevo previsto che l’euro avrebbe portato vantaggi ma anche costi. L’attuale impostazione della comunità europea provocherà nuove crisi economiche. Procedere ad una unificazione monetaria ignorando anche quella fiscale è stata una strategia decisa dai fondatori della comunità europea. All’inizio, oltre a quella economica, non si poteva imporre una convergenza anche fiscale. Quindi si è proceduto subito alla unificazione monetaria, confidando che le successive crisi economiche avrebbero poi indotto i paesi associati ad accettare quella fiscale. Facciamo un esempio: i greci vorrebbero andare in pensione prima dei cittadini tedeschi, ma con le medesime prestazioni dei cittadini nordeuropei e pur avendo un minor costo della vita. E’ insostenibile pretendere pari benefici a disparità di costi. Per evitare le prossime crisi sarebbe forse meglio riprendere il progetto di una Europa a due velocità, con nazioni economicamente virtuose e, all’opposto, il gruppo dei paesi sud-europei appesantiti dal debito pubblico.

Specie negli ultimi tempi, crescita economica e sostenibilità ambientale sembrano temi inconciliabili…

In effetti é difficile conciliare le necessità dei paesi ricchi, che si sono impegnati a gravare la produzione con i maggiori oneri causati dal rispetto di normative a tutela dell’ambiente, con le iniziative dei paesi poveri che, all’opposto e senza troppo curarsi dei danni climatici, privilegiano prodotti a basso costo che poi esportano proprio nelle economie sviluppate dove creano disagi perlomeno sociali, se non addirittura industriali.

Come equilibrare queste opposte esigenze?

Il clima sta cambiando. Tutti siamo chiamati ad agire. In attesa di individuare con precisione gli elementi del ciclo economico che ci attende, si potrebbero sfruttare le opportunità derivanti dai cambiamenti climatici, come nuove coltivazioni nei paesi dove il clima sinora non lo ha permesso.

Nel dialogo sociale tra esigenze ambientali ed economia, recentemente si è inserito un terzo incomodo: la digitalizzazione, cioè la gestione informatica della produzione. Ancora una volta, un economista come puo’ armonizzare queste opposte necessità ?

Tutte le nuove tecnologie hanno soppresso ed anche creato posti di lavoro, ma con tempistiche che sinora hanno consentito di equilibrare questi cambiamenti. Invece oggi la digitalizzazione del mercato accentua le disparità sociali e penalizza il reddito medio in modo velocissimo. Lo scenario é preoccupante: la tecnologia puo’ sostituire rapidamente le forza lavoro, senza neppure darci il tempo di trovare alternative. Riconosciamolo: siamo all’inizio di un’epoca le cui evoluzioni restano ancora tutte da valutare.

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