L’arte contro l’odio: la forza della musica

“Meditate che questo è stato” (Primo Levi)

Sei milioni, rinchiusi e uccisi nei campi di sterminio nazisti. È il numero delle vittime ebree della Shoa (15 milioni furono in tutto le vittime dell’Olocausto, secondo quanto emerso dallo studio dell’Holocaust Memorial Museum di Washington). Una cifra agghiacciante. Un genocidio. Rivelato compiutamente al mondo soltanto il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa entrarono nella città polacca di Auschwitz, scoprendo il tristemente famoso campo di sterminio.

Sono passati 75 anni da quel giorno. Dalla liberazione di quel campo che più degli altri rappresenta le atrocità dell’apparato della morte nazista.

Liliana Segre, tra le ultime superstiti e testimoni della Shoa, oggetto di intollerabili attacchi d’odio che le sono valsi la scorta dal governo italiano poche settimane fa, guarda al presente e al futuro con pessimismo. Lo scorso dicembre alla ‘Marcia dei Sindaci contro l’Odio’ a Milano diceva che l’odio si combatte anche tenendo viva una memoria condivisa delle tragedie che le generazioni passate hanno patito a causa della predicazione dell’odio. Ma, continuava, “nell’oblio della nostra storia passa il messaggio dell’indifferenza”. Si pone, impellente, la domanda di come mantenere viva la memoria.

La nostra società, oggi, è in grado di ascoltare? E che cosa riesce ad ascoltare?

Si sente sempre più parlare di ‘politica della memoria’ e della riflessione storica, dello studio e lavoro su quell’esperienza per aiutare la società contemporanea a riflettere sui temi etici che quell’esperienza storica muove. Oltre la testimonianza dei testimoni. E poi c’è la didattica. E le arti. L’attenzione dei luoghi della cultura, che non si abbevera solo di racconti di testimoni ma sfrutta esperienze ‘altre’ molto efficaci.

Troppo spesso leggiamo e ascoltiamo del genocidio ebraico pensato come una cosa che è accaduta ma ‘forse’ non doveva affatto accadere. Siamo confrontati con l’impossibilità di descrivere attraverso il linguaggio quotidiano quello che è stato il genocidio – con il rischio che tale atrocità non entri a far parte della nostra storia e non sia interiorizzata.

L’arte ‘che mette in scena’ il non detto o quello che non sembra impossibile a dirsi a parole, ha invece la forza di portaci ad una riflessione che mette in discussione determinati valori, politiche ed eventi che hanno portato lì, al genocidio. Attraverso l’arte ci si avvicina dunque al senso più profondo della testimonianza: il ricordare che l’Olocausto è stato, c’è stato. E dal momento che è stato, diventa parte della nostra storia. Noi siamo anche quello.

E un bell’esempio di collaborazione tra arte e società civile, e di come la cultura, e la musica nello specifico, possa aiutarci a riflettere per “imparare dal passato per costruire un futuro, contrastando certi pregiudizi” – per usare le parole di Adrian Weiss, presidente dell’Associazione Svizzera Israele (ASI), sezione Ticino – è stato lo spettacolo musicale della cantante Noa (Achinoam Nini) al teatro LAC di Lugano, domenica 26 gennaio.

Organizzato proprio in collaborazione tra LAC e ASI, l’eccezionale concerto è stato preceduto dalla toccante testimonianza di Fanny Ben-Ami, una dei bambini ebrei, in Francia, nascosti durante la seconda guerra mondiale dai genitori per sfuggire al rastrellamento dei nazisti e costretti a scappare dal proprio rifugio verso la salvezza in Svizzera.

Con un’energia travolgente, un sorriso contagiante e anche un po’ di auto-ironia, Noa si è esibita in un concerto durante il quale, disegnando un invisibile ponte di pace, speranza e amore, sulle note di Bach (Letters to Bach – Lettere a Bach), ha cantato per ricordare, contro la paura e l’odio. Immaginando di parlare al compositore barocco, che “rappresenta un po’ l’Everest della musica”, Noa ha affrontato argomenti delicati come la religione, la morte, il conflitto israelo-palestinese, il surriscaldamento globale, il femminismo e le relazioni nell’era dei social media.

Con una musica che capace di andare oltre i confini di genere musicale e della lingua, Noa è riuscita a ‘parlare’ al cuore di quanti si sono ritrovati per ascoltarla. È riuscita ad emozionare, e nell’emozione a creare un punto di contatto ‘umano’. Tra gli esseri umani. Concludendo il concerto sulle note di “La vita è bella”, colonna sonora di un grande film e che fu proprio lei a cantare, Noa ci porta a riflettere: “non c’è nessuna tragedia, anche se immensa, che l’amore, la compassione, la creatività, e la forza dello spirito umano non possano superare.”

 

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