L’arte della pace

Artisti e mercato alleati contro i disastri della guerra

di Laura Torretta

Foto: Banksy, CND Soldiers, 2005

È davvero sconcertante rilevare quanto possano purtroppo risultare attuali alcune opere d’arte risalenti a due secoli fa , ma non c’è ombra di dubbio sul fatto che ”I disastri della guerra , una serie di 82 incisioni realizzate da Francisco Goya tra il 1810 e il 1820, raffiguranti crudi episodi di barbarie (uccisioni, massacri, stupri) ambientati durante il periodo della guerra d’indipendenza spagnola, documentino perfettamente  quanto sta accadendo ora in Ucraina. Dunque, l’umanità non ha proprio tratto alcun insegnamento dal passato, neppure dai due sanguinosi conflitti mondiali.
Ora, se da un lato il Ministero della Difesa russo annuncia la creazione di corridoi umanitari per l’esodo dei civili da Mariupol e Volnovakha, dall’altro si moltiplicano le atroci immagini di fosse comuni a Bucha, di strade affollate di profughi, alle quali si sommano quelle, altrettanto dolorose, dei bombardamenti anche a danno del patrimonio culturale.

Dopo la distruzione del memoriale  dell’Olocausto di Babyn Yar e del Museo di Storia Locale di Ivankiv, sono state colpite, tra le altre, l‘Università e l’Accademia di Cultura di Kharkiv coinvolgendo la piazza delle Libertà da cui si accede al Yermilov Centre, museo di arte contemporanea tra i più importanti della regione. Abbattuto anche il teatro di Mariupol, che l’Italia, secondo quanto dichiarato dal Ministro della cultura Dario Franceschini, è pronta a riedificare non appena sarà possibile.  

Svanita la possibilità di un trasferimento delle collezioni all’estero, tutti, dai civili ai dipendenti museali, hanno fatto del loro meglio per mettere in salvo il patrimonio culturale ucraino dalla prospettiva di una distruzione totale.  A rischio ci sono, infatti, monumenti parte del patrimonio mondiale dell’umanità come la Cattedrale di Santa Sofia a Kiev, il centro storico medievale di Leopoli e la scalinata Potemkin di Odessa.

Nel frattempo, il mondo della cultura e dell’arte si è mobilitato.
Un donatore, che ha voluto mantenere l’anonimato, ha messo all’asta, tramite MyArtBroker.com (nella sezione dedicata A Banksy for Ukraine ) un’opera realizzata nel 2005 dal famoso street artist di Bristol. Intitolata “CND Soldiers”, essa rappresenta due soldati che disegnano, con la vernice rossa, il simbolo della “Campagna per il disarmo nucleare” su un muro: è stata venduta, quasi quadruplicando le stime,  per 81mila sterline (oltre 95mila euro).

Questa cifra è da destinare all’Okhmatdyt Children’s Hospital di Kiev, il più grande ospedale pediatrico del Paese che, oltre a continuare a prendersi cura dei bambini gravemente malati, in questo periodo offre assistenza medica anche a chiunque rimanga ferito nella guerra scatenata dalla Russia.

All’incanto è stata posta anche una collezione di NFT (Non-Fungible Token) ovvero gettone non fungibile, quindi non replicabile, insostituibile, lanciata da Mykhailo Fedorov, ministro per la Trasformazione digitale dell’Ucraina. L’invasione russa dell’Ucraina è “la prima guerra di criptovalute del mondo”, ha commentato il Washington Post.

E, non a caso, il Paese ha finora accumulato circa 35 milioni di euro in donazioni cripto, di cui più di 6 milioni in NFT. Il caso più eclatante riguarda un NFT della bandiera ucraina: messo all’asta da Ukraine DAO, organizzazione guidata da una community fondata il 24 febbraio da un gruppo di persone -di cui fa parte anche il membro delle Pussy Riot Nadya Tolokonnikova- è stato venduto il 2 marzo a un gruppo di donatori per 2.250 Ethereum (5,91 milioni di euro). Il ricavato dalle donazioni viene devoluto a Come Back Alive, che distribuirà cibo, forniture mediche e altri servizi necessari ai civili e ai militari ucraini.


E poi c’è l’iconica Saint Javelin dell’americano Chris Shaw, realizzata dieci anni fa per ricordare la primavera araba del 2010. Una Madonna ortodossa, avvolta in un manto verde, imbraccia un missile anticarro Javelin: è il simbolo del sostegno all’esercito ucraino. Il produttore canadese Christian Borys, che ha lavorato in Ucraina fino al 2019, ha riprodotto l’immagine su un adesivo proponendolo a 10 dollari sul sito SaintJavelin.com. È bastato un mese perché diventasse un successo da oltre un milione di dollari.

Ancora un’altra asta con finalità solidale: quella per partecipare, alla galleria Sean Kelly di New York, alla famosa performance di Marina Abramović “The artist is present”, che all’esordio, nel 2010 aveva attirato al MoMa di NewYork 1500 persone disposte ad attendere ore pur di farsi fotografare con lei. Per l’occasione è stato aggiunto il sottotitolo “A Benefit Auction for Ukraine “.

Davanti all’artista, seduta in silenzio, il 16 aprile prenderanno posto quanti hanno deciso di essere immortalati in uno scatto con Marina, che ha proposto al miglior offerente alcuni slot, arrivando a toccare cifre di 15 /16 mila dollari ciascuno. L’obiettivo è quello di devolvere il ricavato dei biglietti all’associazione Direct Relief per l’Ucraina che sta collaborando con il Ministero della Salute per fornire l’assistenza medica urgente ai cittadini.

Quanto all’Italia, al Maxxi – Museo Nazionale delle arti del XXI secolo di Roma si è appena conclusa la mostra Ukraine: Short Stories. Contemporary artists from Ukraine. Curata da Solomia Savchuk,  presentava una panoramica della scena artistica contemporanea del Paese e uno spaccato sulla cultura ucraina in tutta la sua autenticità con opere realizzate da artiste e artisti ucraini, emergenti o affermati: il ricavato dei biglietti verrà devoluto al Fondo per l’emergenza umanitaria in Ucraina costituito da UNHCR, UNICEF e Croce Rossa Italiana.

Tra le altre iniziative finora programmate, “Planet Ucraina”, il padiglione, dedicato a questo Paese, all’esposizione della Triennale che si aprirà a luglio: “Pensiamo a un padiglione diffuso, con un punto dentro il palazzo e presenze in tutte le sale”- ha detto Stefano Boeri – “Abbiamo ritirato l’invito alla Russia anche se ci saranno artisti russi a titolo individuale”. E fino al 22 maggio sarà in cartellone la mostra della fotografa tedesca Barbara Probst: l’incasso andrà tutto a sostegno della popolazione ucraina.

A proposito della guerra in Ucraina, anche le maggiori case d’asta internazionali hanno lanciato un messaggio preciso. Sia Sotheby’s che Christie’s così come Bonhams hanno cancellato tutte le aste dedicate all’arte russa in programma. Tradizionalmente, questi appuntamenti si presentano assai redditizi; in particolare, le vendite londinesi d’inizio estate realizzano incassi molto consistenti grazie alla massiccia partecipazione non soltanto di collezionisti russi ma anche provenienti dai Paesi limitrofi che hanno sviluppato nel tempo il proprio gusto per l’arte, investendo anche su ambiziosi progetti nell’ambito di musei privati: l’anno scorso, Sotheby’s aveva totalizzato 7,5 milioni di sterline.

E oltre ai mancati introiti, altri motivi di preoccupazione derivano alle società di intermediazione dall’insicurezza nei confronti degli oligarchi russi, in gran parte moscoviti, esposti a forti ripercussioni di natura fiscale.

Certo, a ben pensarci, sembra del tutto fuori luogo parlare di acquisto e vendita di opere d’arte in un momento come questo. Come può un gallerista chiamare un cliente e chiedergli: “Ritieni di fare un’offerta per questo lavoro?” Eppure, la legge del mercato impone di andare comunque avanti: se latitano i collezionisti russi, si farà affidamento sui compratori statunitensi e cinesi.
E quali potranno essere i riflessi di questa situazione sul mercato dell’arte? Melanie Clore, cofondatrice della società di consulenza londinese Clore Wyndham ha idee chiare in proposito: “Anche se c’è una certa incertezza data la terribile condizione in Ucraina, non credo che le vendite ne saranno eccessivamente influenzate – rileva- sebbene ovviamente ogni situazione sia diversa, storicamente né il crollo finanziario del 2008 né la pandemia hanno avuto un impatto immediato sul mercato dell’arte. Questo potrebbe essere il risultato della sua natura globale, che infatti non fa affidamento sull’attività russa. Penso che gli acquirenti russi siano stati piuttosto attivi negli ultimi anni, ma il loro ritiro da queste vendite non dovrebbe avere un effetto drammatico “.

Anche da Christie’s non si respira pessimismo. “Dieci anni fa i compratori russi erano molto attivi, ma negli ultimi anni non sono stati dei grandi compratori; quindi, le sanzioni non hanno intaccato il mercato dell’arte in modo dirompente – ha precisato Mariolina Bassetti, Presidente di Christie’s Italia e direttrice del dipartimento di Arte del dopoguerra e contemporanea – al contrario, la guerra ha purtroppo esercitato un’influenza positiva, perché storicamente quando il mercato della borsa scende, il mercato dell’arte sale. Questo perché l’arte rappresenta un bene rifugio alternativo al quale gli investitori si rivolgono ben volentieri. Le aste battute a Londra nella prima settimana di guerra sono andate estremamente bene. Christie’s ha realizzato l’asta londinese più importante, per la prima volta dopo la pandemia in collaborazione con Shangai, raggiungendo dei risultati eccezionali che hanno visto il 96 per cento di venduto. In definitiva non si può parlare di un’influenza negativa delle sanzioni verso la Russia, piuttosto dell’arte considerata come bene rifugio e alternativa vincente rispetto agli investimenti dei collezionisti”.

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