Lavoro: gli introvabili. Cercasi talenti in Italia e in Svizzera

di Gaia Ferrari

Così lontani, così vicini. Svizzeri e italiani presentano molte differenze economiche e socioculturali, ma negli ultimi anni, da un punto di vista aziendale, complici la pandemia prima e il conflitto russo-ucraino dopo, le distanze sono andate un po’ accorciandosi. Le ultime indagini di settore, infatti, rivelano che molte imprese elvetiche e altrettante tricolori sono alle prese con una situazione problematica inaspettata per entrambe: a fronte della disponibilità di offerta lavorativa rivolta a profili professionali specializzati, si riscontra sempre di più una mancanza di talenti – soprattutto nella fascia giovanile della popolazione – pronti ad accettare la sfida.

Come emerge da una recente pubblicazione di Credit Suisse Group SA 2021/2022, la Svizzera, finora, ha attraversato l’emergenza sanitaria, con tutte le sue conseguenze, relativamente bene. Tuttavia, la pandemia ha messo a dura prova la capacità delle aziende elvetiche di reagire e adattarsi. Remano contro sicuramente le turbolenze congiunturali, ma anche alcune tendenze in atto, a cui il Covid ha dato un’accelerata notevole. Qualche esempio? La digitalizzazione della vita quotidiana, la diffusione di modelli di lavoro flessibili e il rallentamento della globalizzazione, tutte tendenze che hanno cambiato le premesse, mutando lo scenario di riferimento. Ora, in un periodo di trasformazione come quello attuale – sottolinea opportunamente lo studio – sono soprattutto i buoni collaboratori a rappresentare un fattore cruciale per il successo delle aziende. Eppure, la disponibilità di personale qualificato è un aspetto quanto mai critico per le stesse. Da un sondaggio condotto tra 800 piccole e medie imprese svizzere (pmi), infatti, risulta che, nell’ultimo triennio, due terzi delle pmi che assumono sono alle prese con la carenza di profili specializzati. Più della metà prevede che la ricerca di collaboratori sarà più difficile in futuro. Una su tre considera ridotta la propria attrattiva quale datore di lavoro dal momento che, con la diffusione di modelli di lavoro flessibile, può offrire soluzioni di questo tipo solo in misura limitata.

Formazione strategica per le imprese svizzere

La maggioranza di imprenditori e top manager cerca di correre ai ripari: non trovando competenze specifiche sul mercato, il 77% delle aziende si occupa di dare ai propri collaboratori formazione e occasioni di perfezionamento professionale, destinato a diventare sempre più una necessità per stare al passo con il cambiamento tecnologico, nonché leva strategica per fidelizzare di più i lavoratori. In linea di massima il sistema educativo svizzero, con i suoi molteplici percorsi a disposizione, gode di una buona reputazione, ritenuto in gran parte ben o molto ben calibrato sulle esigenze del mercato occupazionale. Tuttavia, una gran fetta delle pmi ritiene che andrebbe intensificato l’insegnamento delle cosiddette ‘soft skills’, le conoscenze generali, piuttosto che quelle meramente tecniche, per poter reggere il passo con il cambiamento economico dei nostri tempi. Due terzi delle aziende che hanno risposto al sondaggio, inoltre, ravvisano un ostacolo nella mancanza di tempo da concedere ai collaboratori per l’aggiornamento professionale. Per oltre il 50% delle imprese coinvolte nell’indagine ulteriori limitazioni arrivano dallo scarso interesse dei collaboratori e dalla mancanza di capacità interne per l’organizzazione e la pianificazione del perfezionamento professionale. Su questo fronte, risultano svantaggiate soprattutto le aziende di dimensioni più piccole, in particolare in quelle con meno di 10 dipendenti. Non stupisce, quindi, che tra le pmi che non offrono alcun perfezionamento professionale vi sia un numero superiore alla media di microimprese. Sempre nell’ottica di motivare il più possibile i lavoratori, sono tante le realtà professionali attente alla promozione mirata dei talenti interni. Tanto che, per quanto riguarda l’occupazione di posizioni dirigenziali, circa il 13% delle pmi dichiara di dare sempre la priorità alle proprie giovani leve, mentre il 43% dice di farlo spesso. E questo significa non solo consentire di fare carriera, ma anche di mantenere, rafforzare e accrescere le competenze dentro gli stessi gruppi di lavoro, soprattutto quando molti profili senior sono vicini al pensionamento e i posti vacanti sono difficili da occupare.
L’ondata di pensionamenti dei baby boomer prevista prossimamente complicherà ulteriormente la situazione. Le conclusioni a cui arriva il sondaggio di Credit Suisse, comunque, mostrano che le pmi svizzere sono consapevoli di quello che sta accadendo e stanno prendendo in mano il proprio destino in questi tempi difficili. Questo consente di essere cautamente ottimisti in considerazione delle sfide future a partire da quelle poste dalla digitalizzazione, che, da un lato, crea nuovi profili attitudinali, dall’altro ostacola la ricerca di figure professionali idonee ai compiti inediti a cui sono chiamate.

Disallineamento tra aziende e talenti italiani

In Italia una delle difficoltà maggiori vissute dalle imprese negli ultimi tre anni ha a che vedere soprattutto con il reclutamento dei talenti. Ad aprile 2022 i cosiddetti profili “introvabili” sono stati il 40,4%, mentre ad aprile 2019 la percentuale si attestava al 27% delle entrate previste. Un anno dopo, con l’esplosione della pandemia, si è saliti al 29% (ma con una contrazione degli ingressi a causa del lockdown). Nel 2021 ci si è attestati al 32%. La principale motivazione del “disallineamento” nelle politiche di assunzione è, oggi, la mancanza di candidati, praticamente raddoppiata nel triennio (dal 12,3% di aprile 2019 all’attuale 24,5%). In parallelo, in crescita è anche l’assenza di competenze richieste dai datori di lavoro, a testimonianza del gravissimo errore fatto dal governo Conte di aver smantellato la scuola-lavoro, e non aver investito nell’orientamento. In base all’analisi svolta dal quotidiano economico-finanziario “Sole 24 Ore” sulla base dei dati Excelsior forniti da Unioncamere-Anpal, quel che emerge è che le prime cinque professioni “di difficile reperimento” sono prevalentemente di tipo tecnico-scientifico (periti, diplomati Its, laureati Stem, ovvero nelle discipline scientifico-tecnologiche). Sono talenti che mancano quasi esclusivamente al contesto manifatturiero, tra i comparti che oggi soffrono di più le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina. I primi cinque settori che stanno facendo fatica, secondo questa prospettiva, sono, in particolare, quello metallurgico, meccanico ed elettronico, Ict, legno-arredo, costruzioni. Eppure, si tratta di quelli che, allo stesso tempo, rappresentano la punta di diamante della produzione e dei servizi made in Italy, pronta a lasciarsi alle spalle il duro biennio della pandemia, con una significativa ripresa registrata lo scorso anno. Strategici sia per le imprese sia per i giovani, dato che, secondo le stime effettuate sulla base dei dati Istat a gennaio 2022, permetterebbero di far scendere il tasso di disoccupazione tra gli under 25 al 25,3% (ultimo dato Istat di gennaio). Tra le figure specializzate più ricercate dalle aziende italiane spiccano ingegneri, meccanici, montatori e manutentori, ma anche digital transformation manager, esperti in cybersecurity e in infrastrutture ICT, specialisti in vendite digitali e tecnici esperti in motori ibridi ed elettrici.

Discrepanze rischiose

Nello Stivale, rispetto allo scenario delineato, si evidenziano alcune lacune nei campi dell’orientamento e della formazione, quando invece sarebbe più che mai necessario adeguare gli strumenti per avvicinare la domanda e l’offerta di lavoro. Ha dichiarato al ‘Sole 24 Ore’ Gianni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano: “È il momento di lanciare un appello al Paese. Basta con il mancato o cattivo ascolto: la manifattura italiana è di assoluta avanguardia, e questo messaggio deve essere chiaro, univoco e veicolato a famiglie, studenti, mondo della formazione. Le nostre aziende, trasformate da innovazione, digitale, 4.0, hanno necessità di talenti. Siamo usciti dalla pandemia grazie all’industria, che ora purtroppo è alle prese con incertezze e difficoltà derivanti dal conflitto tra Russia e Ucraina”. Ha aggiunto Brugnoli: “Lo dico senza mezzi termini: un mismatch (letteralmente: mancata corrispondenza, ndr) a questi livelli e ritmi di crescita è inaccettabile. Tutto il Paese deve aprire gli occhi, rendersi conto dell’emergenza, e iniziare, ciascuno per la sua parte, a invertire questa tendenza per aiutare i giovani e la competitività delle imprese”.

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