Le conseguenze economiche del voto sulla libera circolazione

IMMIGRAZIONE, LA SVIZZERA AL VOTO. INTERVISTA A REMIGIO RATTI

di Franco Narducci

Professor Ratti, ancora una volta il popolo svizzero è chiamato a decidere in materia d’immigrazione: il 27 settembre si voterà per respingere o accettare l’iniziativa referendaria dell’UDC “Per un’immigrazione moderata” che persegue l’abolizione della libera circolazione delle persone con l’Unione Europea. Può spiegare ai nostri lettori cosa accadrà in caso di vittoria del SÌ?

La risposta è solo apparentemente semplice: “Prima i nostri”.  Per uno straniero di un Paese UE non basterà più avere un contratto di lavoro (o di cercarlo entro un periodo limitato) per venire in Svizzera. Il datore di lavoro dovrà dimostrare di non aver trovato nessuno tra i residenti.  Niente paura per chi ha già un permesso? Solo un ostacolo in più per i nuovi immigrati? In realtà le ripercussioni saranno ben più pesanti per tutti. Come denunciato dalle stesse forze sindacali – tutti, svizzeri e stranieri – saranno toccati poiché decadranno quelle misure – cosiddette “affiancatrici” – negoziate con l’UE e all’interno della Svizzera per salvaguardare i lavoratori. In secondo luogo, perché una buona parte dei settori produttivi dovrà riposizionarsi rispetto al mercato europeo che considererà la Svizzera alla stessa stregua di un Paese terzo.  

E se vincesse il NO, resterebbe sostanzialmente tutto confermato?

I sondaggi indicherebbero vincente il NO. Proprio per evitare le conseguenze appena descritte e per creare buone e costruttive premesse per le relazioni future con l’UE. 

Ma la Svizzera, come viene spesso sottolineato, ha una posizione invidiabile, geograficamente è al centro dell’Unione europea e i nostri valori storici e culturali sono strettamente legati con quelli dell’Europa. Da cosa dipende la diffidenza che nutre una parte della popolazione svizzera verso l’Europa nata dalle ceneri della Seconda guerra mondiale?

Non si tratta tanto di diffidenza, ma piuttosto di una realtà storica: la Svizzera non è definibile in termini né geografici né di lingua e cultura comune; nella sua tradizione di “Stato di passo” è uno spazio da lasciar libero, in costante ricerca di equilibrio tra dipendenze esterne e intraprendenze interne. La soluzione dei trattati bilaterali con l’UE è quanto è stato trovato nell’interesse delle due parti nella fase evolutiva a cavallo del cambiamento di secolo. 

L’Ue è un partner fondamentale in campo commerciale ed economico per la Svizzera. Lei è stato membro della delegazione parlamentare svizzera all’Associazione europea di libero scambio (EFTA) e al Parlamento Europeo. Secondo lei gli Accordi bilaterali, negoziati spesso faticosamente, hanno dato buona prova di sé in questo ventennio?

La riposta politica sta nella precedente argomentazione, quindi da leggere in una dinamica evolutiva positiva; cosa che è del resto confermata dallo sviluppo economico e sociale degli ultimi vent’anni. Infatti, dopo il rifiuto del 1992 di popolo (50.4%) e Cantoni di aderire allo ’Spazio Economico Europeo “– una formula d’associazione limitata che di certo non ha stravolto gli altri Paesi che vi hanno aderito (Norvegia, Islanda, Liechtenstein) – gli anni ‘90 del secolo scorso sono stati – contrariamente alle tesi UDC – pericolosi anni di stallo e di incertezza. 

Negli ultimi mesi i fautori del SÌ hanno ripetuto tante volte che l’abolizione della libera circolazione delle persone non significa la fine degli altri accordi con l’Ue. È un argomento elettorale o davvero l’Europa potrebbe accettare accordi senza uno dei suoi principi cardine? 

Pur nel rispetto del gioco politico-democratico si tratta di false premesse. L’accordo sulla libera circolazione fa parte del pacchetto “Bilaterali I” che ne comprende altri sei, particolarmente necessari per l’accesso al mercato europeo e per la cooperazione, scientifica in particolare. Un SI il 27 settembre si tradurrebbe entro un anno in una automatica disdetta di tutti i sette accordi (Art. 25, cpv 4). Cosa che riconosce anche l’UDC, salvo contrapporre che poi l’UE negozierebbe ugualmente. Ricominciando da capo con l’UE, proprio su un principio imprescindibile? E con ognuno dei suoi 27 suoi Stati? 

La pandemia da Covid-19 ha segnato una svolta per l’Ue, che si è ricompattata e ha messo in campo risorse ingenti per affrontare la crisi. La Gran Bretagna di Boris Johnson, invece, sembra arrancare e ben tre ex capi di governo hanno bocciato il piano dell’attuale premier che violerebbe sfrontatamente l’accordo raggiunto sulla Brexit. Non le sembra un monito anche per la Svizzera? Fare retromarcia con l’Ue non sembra un passo indolore … 

Non penso sia il caso. Comunque, ci sta ambiguamente provando da diverso tempo il partito di maggioranza a livello federale. Forzando l’interpretazione a lei favorevole del voto del 1992, ci sta riprovando cavalcando a senso unico il tema dell’immigrazione. Il 9 febbraio 2014 con l’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa” e ora, calcando la mano (rispetto al 2014, quando la smentiva) richiedendo l’abolizione dell’Accordo sulla libera circolazione del 1999. Di fatto, minacciando quella via bilaterale che finora è comunque sempre stata accolta nelle votazioni federali.

In conclusione, Professore, il Ticino – il suo cantone – confermerà anche in questa tornata elettorale il suo orientamento vieppiù antieuropeo?

Il Ticino appare un po’ come la voce fuori dal coro. Quale triangolo elvetico a sud delle Alpi (350’000 abitanti) deve confrontarsi, nel bene e nel male, con le dimensioni di una Lombardia di 10 milioni di abitanti; tanti, anche comprendendo solo lo spazio transfrontaliero della Regio Insubrica (2.7 milioni). Malgrado la sua forte crescita, la percezione ticinese è spesso quella di spazio doppiamente periferico tra Zurigo e Milano, con un mercato del lavoro dove quasi un lavoratore su tre è frontaliero; d’altro lato, i riflessi distorti della politica italiana portano alla facile conclusione che le difficoltà siano colpa degli stranieri e dell’UE. Le sfide sono più focalizzate e acute (e strumentalizzabili), con il rischio di dimenticare i problemi a scala globale: quelli di tutti, in un’epoca di forti mutamenti e di incertezza.

 

Il professore Remigio Ratti ha insegnato economia in vari atenei svizzeri. È stato eletto nel 1995 deputato al Consiglio nazionale nelle liste del PPD e, dal 2000 al 2006, membro della delegazione parlamentare svizzera all’Associazione europea di libero scambio (EFTA) e al Parlamento Europeo. Dal 2000 fino al 2006 è stato direttore generale della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (RTSI) e membro del consiglio direttivo della Società svizzera di Radiotelevisione (SRGSSR idée suisse). Autore di numerosi libri e scritti, è anche presidente onorario dell’associazione “Coscienza Svizzera”, gruppo di studio e informazione.

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