Le elezioni in Siria: la dittatura di Bashar al-Assad continua

In foto Bashar al Assad incontra Vladimir Putin, credit kremlin.ru

In Siria, paese devastato da un decennio di guerra, lo scorso 26 maggio, hanno avuto luogo le elezioni presidenziali che, come ampiamente previsto, hanno confermato il potere del presidente Bashar al-Assad.

E questo tradotto nel paradigma della realtà significa che non c’è alcuna soluzione politica in vista per porre fine a una guerra che ha ucciso un numero impressionante di persone e dato vita ad un esodo senza fine. Bashar al-Assad, che ha preso il potere dopo la morte di suo padre Hafez al-Assad nel 2000 può contare su un regno che è sempre più saldo. La situazione non sembrava così irreparabile nel 2011 quando i ragazzi di Deraa, città del sudovest, scrissero sui muri “è arrivato il tuo turno, dottore”. Il dottore in questione era Bashar al Assad, oftalmologo di professione, dittatore per motivi dinastici. All’epoca uno come Mubarak era già caduto e sembrava logico pensare che Assad sarebbe stato il prossimo. All’epoca pochi osservatori immaginavano che Assad sarebbe stato ancora al potere dieci anni dopo, e nelle capitali occidentali nessuno dava molte possibilità di sopravvivenza al dittatore.

Ma non si tiene conto di due fattori: l’indifferenza della comunità internazionale e il sostegno russo alla causa del dittatore.

In merito al primo fattore, diremo soltanto che era ed è cosa nota l’esistenza di centri di tortura e dei campi dei jihadisti del gruppo Stato islamico, la cui irruzione in Siria e in Iraq ha cambiato il corso della guerra a spese dei ribelli, che in molti casi non condividevano l’ideologia assassina del califfato.

E questo dà l’idea della gravità dell’assenza di azione delle potenze occidentali.

In merito al secondo invece, la Russia e l’Iran hanno sempre saputo salvaguardare il regime di Damasco senza contare in ultimo l’aiuto turco che ha inaugurato in Siria la sua politica interventista dettata dalla questione curda.

Il risultato è che le cause della rivolta del 2011 sono ancora drammaticamente presenti. Assad è sempre il Presidente ma di un Paese ridotto ormai allo stremo. L’economia è in una situazione disperata, i prezzi dei beni alimentari sono alle stelle, la valuta siriana è ai minimi e in mezzo vi sono quasi 400mila morti e sei milioni di profughi, più altri sei milioni di sfollati. Oggi l’80 per cento della popolazione siriana vive in condizioni di povertà e due milioni e mezzo di bambini non possono frequentare la scuola.

Questo è il Paese che Assad governa, questa è la tragedia che è sotto gli occhi di tutti, ma di cui nessuno si vuole davvero occupare. E il problema evidentemente non è contrastare il regime di Assad, ma prendere posizione contro chi quel regime lo sostiene e lo protegge per interessi che prescindono da ogni diritto e da ogni umana compassione.

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