Le emergenze e i cambiamenti: il coronavirus e il lavoro agile

Le emergenze come lo sono le epidemie si caratterizzano per un “effetto domino” direttamente proporzionale alla loro diffusione, impattando a cascata su ogni Paese e quindi, nell’era della globalizzazione, sul mondo intero. Chiaramente l’aspetto più preoccupante è quello che riguarda la salute, eppure sin d’ora se ne vedono le conseguenze drammatiche sull’economia.

Le crisi, pur nella loro drammaticità, impongono cambiamenti rapidi, spazzando molto spesso con un colpo di spugna, le “resistenze culturali”. Ecco che la presenza del “coronavirus” ha determinato una piccola rivoluzione per quanto riguarda l’approccio al lavoro.

Soprattutto in Italia, dove il diritto del lavoro è sempre stato concepito e declinato in un certo modo, dove ci sono state infinite discussioni su privacy del lavoratore e controlli del datore, dove qualsiasi modifica crea il panico da entrambe le parti, l’epidemia ha fatto cambiare il passo al sistema.

In particolare, diventa protagonista lo “smartworking” o “lavoro agile” che da esercizio teorico si converte in realtà, e l’incubo di ogni datore di lavoro (cioè non poter controllare l’operato del dipendente) è diventato l’unico argine al crollo della produzione. Sì, perchè lo Smart Worker, libero da ogni vincolo di orario e di luogo, sceglie in autonomia quando e dove lavorare: il coordinamento spazio-temporale, che caratterizza da sempre il lavoro subordinato tradizionale, è sostituito dal coordinamento informatico e telematico, che consente alla persona interessata di compiere il proprio lavoro mediante pc e Internet dal luogo liberamente scelto, purché sia possibile l’interconnessione stabile, o almeno la comunicazione e lo scambio di dati in tempo reale con l’azienda.

Il futuro dell’organizzazione del lavoro passa necessariamente da qui.

Tra l’altro, a differenza del telelavoro che era una forma di organizzazione tutt’altro che semplice e si è dimostrata adatta a mansioni di centralino, di call center e simili, il lavoro agile, invece, non richiede un investimento rilevante, è praticabile in una gamma amplissima di ruoli ed è particolarmente congeniale a quelli di contenuto professionale più elevato.

E se in ordinamenti a noi vicini le potenzialità prevenzionistiche del lavoro da remoto sono state codificate (in Francia si prevede espressamente la possibilità di accesso al telelavoro in caso di epidemia ex L1222-11, Code du Travail), in Italia è stato necessario un atto ad hoc.

Anzi due a distanza di due giorni, perchè con il Decreto del Presidente del consiglio del 23 febbraio, in attuazione del decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020, erano state introdotte alcune semplificazioni nell’utilizzo del lavoro agile a fini di contrasto alla diffusione Coronavirus e ai suoi effetti. Il problema era che la norma sembrava limitare l’applicazione di tale disciplina di favore ai soli territori della zona rossa. Di conseguenza, anche a seguito delle sollecitazioni provenienti dal mondo produttivo, nella giornata del 25 febbraio è intervenuto nuovamente il Presidente del Consiglio dei Ministri che, con un nuovo decreto ha abrogato la precedente disposizione sostituendola con l’art. 2 del DPCM 25 febbraio 2020. Stesso provvedimento è stato adottato per il lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni nell’ambito della Direttiva n. 1/2019 del Ministero della PA.

A seguito del nuovo DPCM è possibile attivare il lavoro agile, anche in assenza di accordo individuale, per ogni rapporto di lavoro subordinato connesso con le regioni di Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria.

Si è utilizzato il termine connesso, perché due sono le ipotesi direttamente previste dalla disposizione: da un lato quella dei datori aventi sede legale o operativa nei territori, a prescindere dalla residenza, eventualmente extra-regione del lavoratore coinvolto; dall’altro quella dei lavoratori residenti o domiciliati, che svolgono la loro attività per datori di lavoro con sede legale o operativa al di fuori di tali regioni.

La disciplina di favore rimane in vigore fino al 15 marzo, salvo eventuali proroghe.

A parte gli interventi d’urgenza, necessari per evitare il disastro, forse la crisi determinata dall’epidemia contro la quale stiamo lottando, imporrà il cambio di passo necessario perchè si lavori meglio e si consenta l’attuazione del tanto predicato equilibrio vita familiare-vita lavorativa.

Una rivoluzione che avvanteggerebbe in particolare le donne, consentendo loro di dimostrare l’efficienza a prescindere dal tempo trascorso in ufficio.

Il grande ostacolo all’affermazione dello smart working sono sempre state le resistenze al cambiamento del rapporto contrattuale. Con il lavoro agile viene a mancare, infatti, la possibilità di misurare la quantità del lavoro sulla base della sua estensione temporale.

Eppure a ben guardare, pur ammettendo che il datore di lavoro puo’ valutare esclusivamente il risultato, il lavoratore sarebbe l’unico responsabile nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi. E la libertà di organizzazione non vorrebbe dire in automatico inefficienza ma si convertirebbe dal lato del dipendente, in autoresponsabilità. Sia nei successi che nei fallimenti. È evidente che ciò comporta una trasformazione profonda nei sistemi di gestione del personale, per la quale molte imprese non sono preparate, ma chissà che proprio l’emergenza con cui ci stiamo confrontando non acceleri un’evoluzione che con i tempi delle Relazioni Industriali, sarebbe stata molto più lenta.

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