Le mosse dei Presidenti americani dall’ 11 settembre 2001 ad oggi

La guerra come strumento di distrazione e ricerca della popolarità

Foto: credit White House

Henry Kissinger nella celebre intervista rilasciata a Oriana Fallaci nel novembre 1972, che gli costò quasi il rapporto con Nixon, affermò che il politico non doveva essere intelligente ma doveva incarnare l’idea di forza fisica che tanto piace agli americani. In pratica il politico di successo deve sapersi muovere come un cow-boy solitario che si presenta sulla scena a gambe larghe ed elimina tutti i cattivi.

Gli anni passano, la balia mentale di Nixon è ancora viva…, e la formula risulta sempre valida, soprattutto quando l’inquilino della Casa Bianca soffre di un crollo verticale di popolarità o è alle prese con subbugli interni.

L’osservazione dei fatti ci può facilmente rincuorare e confermare questa lettura.

L’Amministrazione Biden

L’Amministrazione Biden ha qualche giorno fa festeggiato urbi et orbi la morte del capo dell’Isis Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi e lo ha fatto ad uso e consumo dei media.

Infatti, ad un accigliato e preoccupato Biden è seguita l’esultanza per il successo dell’operazione fino alla conferenza stampa di rito nella quale si annuncia che il nemico è stato eliminato.

Ecco, le tempistiche sono quanto mai sospette: il suicidio di Qurayshi, è giunto in un momento molto complesso per l’amministrazione Biden, che sta affrontando la battaglia per il China second e la vicenda ucraina.

Senza contare i nemici interni nello stesso Congresso che, ammesso il buon esito delleelezioni di metà mandato, preannunciano un prossimo biennio tutto in salita.

E se la stampa ha determinato la sconfitta di Trump, vi è che metà degli States ne sentono la mancanza soprattutto perché vi è una diffusa paura di attacchi terroristici.

Quindi la morte del terrorista ha una sua logica: far risalire i sondaggi (Biden non è gradito da più della metà degli americani), offrire l’immagine di una amministrazione forte che ancora combatte il terrorismo e l’Isis.

Funzionerà?

Il panorama internazionale è difficile ma difficile lo è sempre stato anche in passato… eppure a Bill Clinton e a Barack Obama l’operazione è riuscita e nonostante molti osservatori li avessero dati per spacciati i due ex Presidenti hanno ricostruito un sostegno pubblico sufficiente per vincere un secondo mandato.

L’Amministrazione Trump

Anche Donald Trump ha ceduto al fascino del cacciatore: nel 2019 fu al-Baghadi ad essere nel mirino degli americani. Il Presidente USA utilizzò la cattura come una provocazione all’interno della NATO, ringraziando per la collaborazione Russia, Turchia, Iraq, Siria e anche i curdi siriani. Una cattura così importante, però, non gli fece risalire la china, garantendogli solo un rialzo di qualche decimale nella settimana.

E nel 2020 fu la volta di Soleimani, ucciso in un attacco con drone statunitense all’aeroporto internazionale di Baghdad e pubblicizzato come la “sconfitta del male”. Anche questa volta, però, il borsino della popolarità non sembra beneficiarne, molto probabilmente perché il terrorista non era un nome noto. Di contro la morte di Soleimani ne fece un eroe della resistenza, compattando la società iraniana nella solidarietà ai pasdaran.

L’Amministrazione Obama

Undici anni fa, fu Obama il regista della cattura DEL TERRORISTA: Osama bin Laden. All’evento venne data un’eco enorme con una conferenza stampa in cui il Presidente con tono sicuro ma non tracotante comunicava la morte di quello che per 10 anni aveva incarnato il peggiore degli incubi americani.

In quel frangente la popolarità di Obama, non apprezzata per le riforme economiche, andò alle stelle.

Sempre nel 2011 avvenne la morte del rais libico Muammar Gheddafi, presentata al mondo come l’esempio della fine dei dittatori e in particolare di un uomo che per 40 anni aveva “terrorizzato e supportato il terrorismo nel suo Paese”.

L’episodio fece guadagnare ad Obama un incremento di sei punti in appena un paio di giorni.

L’Amministrazione Bush jr.

George Bush Jr. fu il Presidente dell’11 settembre: oltre alla appartenenza partitica, la necessità di essere aggressivo era oggettivamente inevitabile.

I primi mesi dell’amministrazione Bush furono caratterizzati dal rifiuto del protocollo di Kyoto, dal ritiro dal Trattato ABM e dalla mancata ratifica della Corte Penale Internazionale. Meno di un anno dopo dalla sua elezione, il presidente dovette fronteggiare l’11 settembre e la volontà di trovare una unità per combattere furono la fortuna di Bush jr. Naturalmente l’onda iniziò a perdere forza (l’America era terrorizzata dai terroristi e i ricordi della prima guerra del Golfo troppo recenti) per farla breve nel 2003, i consensi per Bush continuano la loro lenta discesa e verso dicembre le percentuali dei consensi si aggiravano intorno al 50-55%.

In quello stesso mese, Bush jr porta a casa un altro risultato: la cattura di Saddam Hussein.

Tre anni dopo ecco l’ennesimo colpo di scena: viene ucciso Abu Musab al Zarqawi, capo di al Qaida in Iraq. L’evento fece salire la popolarità del presidente, fiaccata da sei anni di guerra preventiva e dall’incubo di un nuovo Vietnam.

Nonostante la propaganda, l’effetto non fu quello atteso: nelle elezioni di medio termine del 2006, i democratici sbaragliarono la concorrenza: dopo 12 anni soffiarono la maggioranza delle cariche da rinnovare.

Quello che è venuto dopo non è che la ripetizione, con alterne vicende, del solito copione.

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