Note contro la guerra: Sinfonia N. 7 “Leningrado” al LAC

Era il 1941, in settembre, quando Dmitrij Šostakovič iniziò a comporre la Sinfonia N. 7 “Leningrado”. Intorno alla città sulla Neva si stava chiudendo l’anello del blocco e il compositore russo, che aveva fatto richiesta di essere inviato al fronte, fu invece mandato a Mosca e poi a Kujbyšev. E fu lì che, il 27 dicembre, terminò la sinfonia e fu sempre a Kujbyšev che, il 5 marzo dell’anno seguente, eseguì ‘la prima’ della sua opera musicale. Il successo fu tale che pochi giorni dopo l’esecuzione della Settima ebbe luogo a Mosca e, nei mesi a seguire, la partitura fu richiesta in vari teatri americani e in Inghilterra.

Il 9 Agosto 1942 risuonò anche nella Sala della Filarmonica di una Leningrado ridotta allo stremo. Per l’occasione furono richiamati dal fronte i musicisti dell’Orchestra della Radio diretti da Karl Eliasberg, mentre la periferia della città si riempì di autoparlanti, rivolti verso i soldati tedeschi: un monito, per sentire che la vita di Leningrado pulsava ancora. Presto la Sinfonia N. 7 divenne il simbolo musicale della resistenza sovietica all’aggressione nazista. La drammaticità e la reazione patriottica del momento è riflessa nel tono e nel linguaggio musicale, così come nelle dimensioni gigantesche dell’organico.

Venerdì 14 febbraio la sinfonia scritta Dmitrij Šostakovič è stata eseguita al LAC di Lugano dall’Orchestra sinfonica del Conservatorio della Svizzera italiana e dalla Sinfonieorchester der Zürcher Hochschule der Künste, dirette da Marc Kissóczy.

Il respiro epico e la monumentalità e magniloquenza della Sinfonia N. 7 rimangono chiaramente percepibili ancora oggi. La composizione si sviluppa su larghe stesure, il linguaggio è chiaramente comunicativo, la presa emozionale forte e l’eloquenza sinfonica viene raggiunta attraverso procedimenti di dilatazione, estensione, amplificazione e ripetizione. Nella sinfonia di Šostakovič c’è tutto due volte tanto: trombe, tromboni e corni inglesi, ma anche colpi di timpani, fiati e flauti, violini e violoncelli. Il clarinetto e le arpe si aggiungono alla fitta trama sinfonica. La composizione si accende di vivacissime fiammate strumentali, e si vanno così a creare ripetizioni ostinate che ricordano le marcie militari e il disumano, meccanico e ineluttabile sopravvento della guerra.

Le note del finale, solenne, quasi religioso, si ergono contro la sofferenza del momento storico: «Un’ora fa – disse Šostakovič nel settembre del 1941 –ho terminato la partitura della seconda parte di una mia nuova grande composizione sinfonica. Se mi riuscirà di concluderla bene, se riuscirò a ultimare la terza e la quarta parte, allora quest’opera potrà chiamarsi Settima sinfonia. Due parti sono già scritte. Ci lavoro dal luglio del 1941. Nonostante la guerra, nonostante il pericolo che minaccia Leningrado, ho composto queste due parti relativamente in fretta… Tutti noi portiamo il nostro fardello di lotta. E gli operatori della cultura compiono il proprio dovere con lo stessa onestà e la stessa dedizione di tutti gli altri cittadini di Leningrado, di tutti gli altri cittadini della nostra immensa Patria». (Redazione)

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami