Leonardo Sciascia, da leggere e da “ascoltare” nei film

di Sandra Persello, docente di Lettere

Un grande scrittore alla ricerca della verità

Nel romanzo Il giorno della civetta, scritto da Leonardo Sciascia e pubblicato nel 1961 dalla casa editrice Einaudi, si svolge un dialogo, diventato ormai famoso, tra un boss mafioso, don Mariano Arena, destinato a trionfare (con il contributo dell’omertà generalizzata), e il capitano dei Carabinieri Bellodi, giovane ufficiale ex partigiano, sceso in Sicilia per combattere la mafia, che lo interroga.

A suo modo il padrino esprime rispetto nei confronti dell’ufficiale con le seguenti parole:

“Ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i ruffiani [termine edulcorato rispetto all’originale] e i quaraquaquà. Pochissimi sono gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. Poi si va ancora più giù: i ruffiani, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre”.

Nato a Racalmuto (Agrigento) il 20 novembre 1921, Sciascia studia a Caltanissetta, dove si diploma come maestro. Dopo alcuni anni di insegnamento nel suo paese, viene distaccato a Roma, al Ministero della pubblica istruzione.

Nel frattempo, dà avvio ad una intensa attività culturale, con la pubblicazione di romanzi e saggi e con la collaborazione a riviste ed a case editrici.

Ciò che caratterizza l’attività di Sciascia è una costante tensione morale e civile, una ostinata volontà di ricerca della verità all’interno della torbida vita politica e sociale italiana, segnata da trame occulte, segrete collusioni di potere e stragi rimaste impunite.

Il giorno della civetta, romanzo che lo porta alla notorietà, è imperniato su un’indagine riguardante un omicidio di stampo mafioso ed inaugura la vera e propria “fase siciliana”: nelle sue opere lo scrittore denuncia con asprezza il malgoverno dell’isola (quella “Sicilia” che dichiara di” amare ed odiare”, ma “senza la quale non può vivere”), metafora dell’intera società.

Il riferimento all’animale presente nel titolo del romanzo è dovuto al fatto che la mafia una volta agiva in segreto, era un animale notturno come la civetta, fino a raggiungere un potere talmente grande da potersi muovere alla luce del giorno.

L’Autore premette inoltre, all’inizio del libro, un verso tratto dall’Enrico VI di Shakespeare:

…come la civetta quando di giorno compare”. La civetta infatti è un predatore notturno, quindi è strano che si faccia vedere di giorno.

I versi di Shakespeare sono rivolti a: “…colui che non vorrà combattere per una tale speranza, vada a casa e a letto; e quando si alza sia oggetto di scherno e di meraviglia, come quando la civetta compare di giorno…

Sciascia invita quindi a un reale impegno civile non occasionale e all’intento documentario sostituisce un lucido rigore razionale.

Di frequente adopera il genere del “giallo” o quello del “romanzo-inchiesta”. Con i suoi scritti (Il contesto, Todo modo) tende a rendere la Sicilia qualcosa di corale, come un mondo, un’idea, che si colloca nella globalità e non come una piccola realtà a sé stante.

Per fare ciò si serve di una scrittura scarna ed essenziale, venata di ironia, incentrando nel contempo l’attenzione sulla parola, usata in modo semplice e comprensibile.

Egli, ponendo al centro delle sue opere la sua Terra natale, affronta temi quali la miseria, l’omertà, la mafia e la politica. I suoi romanzi sono rinnovati nello stile, adatto per descrivere la realtà con chiarezza e semplicità.

Per la maggior parte, però, manca il “lieto fine”: sembra che per l’Autore sia quasi impensabile che “giustizia possa essere fatta”. Ecco perché molto spesso Sciascia, nei suoi libri, descrive un finale pessimistico e malinconico: è ben consapevole che, pur ricercando la verità attraverso la vita politica e sociale, la giustizia non potrà mai emergere rispetto ai legami che la delinquenza ha con il potere politico.

Nella rivista Mondo Nuovo del 9 ottobre 1960 -in una nota- egli dichiara che “la verità, sottintesa alla finzione del romanzo, scritta in piena libertà, è significativa nei confronti di una letteratura, che, fino a quel momento, aveva fornito della mafia una rappresentazione apologetica, all’interno di una società la quale, negli organi politici e di informazione, ne negava addirittura l’esistenza”.

Dati gli argomenti trattati, vi è uno stretto legame tra i suoi romanzi e il cinema: dalle sue opere sono stati tratti ben nove film, realizzati da registi di impegno, come Damiano Damiani, Elio Petri e Francesco Rosi, sempre con la presenza di cast d’eccezione.

Guardare queste pellicole potrebbe essere un modo per rendere più accessibile anche alle nuove generazioni un approccio mediatico agli scritti ed alle idee del grande scrittore siciliano.

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