L’impatto economico del Coronavirus in Europa

Mentre gli scienziati ed i media aggiornano la pubblica opinione mondiale con notizie continue sul virus asiatico del momento, i centri di ricerca economica iniziano a fare la conta dei danni. E partono proprio dall’Italia, la grande malata d’Europa.

Questo il tema di un recentissimo studio pubblicato dal centro di ricerca World Economic Forum (WEF), che riprende un contributo di Paola Subacchi, direttrice del Dipartimento di economia internazionale presso il Royal Institute of International Affairs di Londra, ed in cui si esamina l’impatto economico del coronavirus sulla economia della repubblica.

I termini della questione purtroppo sono già noti al pubblico. L’Italia settentrionale è il principale focolaio europeo di coronavirus, di cui si è cercato arginare la diffusione innanzitutto cancellando le manifestazioni pubbliche e limitando la mobilità privata.

Il settentrione italiano, area di prossimità al continente europeo, nel corso dei secoli, spesso si è sfortunatamente trovato al centro di gravi fenomeni di contagio. Venezia è stata una delle prime città italiane a dotarsi di un lazzaretto per gli appestati. Nel 1630, Milano perse quasi la metà dei suoi abitanti sempre per una epidemia di peste, come ricorda  Alessandro Manzoni nei suoi “Promessi Sposi”. Oggi il progresso della medicina e migliori condizioni di vita fortunatamente hanno ridotto la mortalità epidemica. La comunità internazionale, tuttavia, comincia a domandarsi se i severi provvedimenti decisi dal governo italiano siano stati dettati da finalità politiche oppure a tutela della salute pubblica, che in ogni caso dovrebbe rimanere la vera priorità di una moderna organizzazione sociale.

Il rapporto del WEF avverte che le restrizioni alla mobilità personale e quarantene risultano poco efficaci in una epoca come la nostra, caratterizzata da una totale mobilità ed altrettanto piena integrazione economica. Per esempio, sull’onda di un provvedimento statunitense che, temporaneamente, vieta il ritorno in patria ai cittadini americani provenienti dalla Cina, anche il governo italiano ha decretato la fine di voli diretti verso e da Pechino. Tuttavia, questo rimedio potrebbe trasformarsi in un male peggiore di quello che si vorrebbe evitare. Perché il paese del Celeste Impero annualmente acquista beni italiani per 16 miliardi di dollari, ed è difficile che l’industria italiana ora rinunci a questa importante fonte di reddito. Allora, si interroga lo studio del World Economic Forum, questi provvedimenti avranno l’effetto desiderato? Probabilmente no, conclude il report, dato che pur vietando il transito diretto di passeggeri con la Cina, il governo italiano non ha impedito la movimentazione indiretta di persone tra i due paesi.

Questo non è che l’inizio di una ulteriore serie di conseguenze. Altri paesi europei iniziano a seguire l’esempio italiano e rifiutano l’ingresso di cittadini provenienti dall’estero. Solo che in questo caso i “vietati” sono diventati i turisti provenienti dall’Italia. Sarebbe invece opportuno ricordare che le epidemie, come impegnano in modo differente la sanità dei vari paesi, allo stesso modo dovrebbero impegnare anche le amministrazioni statali ad agire in modo coordinato oltre che differenziato. Obiettivo: salvaguardare la salute della forza lavoro, degli strati più deboli della società, ma soprattutto tutelare l’interesse economico nazionale, che è il vero motore per una ripresa in situazioni di crisi.

Tornando al caso italiano, il WEF rileva che la mancanza di coordinamento tra le autorità locali, abbinata ad una maggioranza di governo frammentata e divisa, ha indebolito l’efficacia dei provvedimenti per contenere il virus. Anzi, ha portato le persone a fuggire dalle zone a rischio. Alcuni studenti hanno abbandonato il nord Italia e fatto ritorno ai luoghi di origine, contribuendo al moltiplicarsi del contagio in altre regioni della penisola. Sempre la mobilità individuale ormai sta diffondendo il COVID-19 anche nel resto dell’ Europa, come accade in Francia, dove il numero di contagiati, pur inferiore rispetto alla vicina Italia, sta inquietando popolazione ed autorità. Ed i risultati non si sono fatti attendere: ad inizio marzo il presidente Macron ha deciso di requisire tutte le mascherine protettive, in commercio ed ancora da produrre, per riservarne la distribuzione agli operatori sanitari e gli infetti dal COVID-19. In prospettiva, si potrebbe arrivare a nuove limitazioni sugli spostamenti delle persone e non si può escludere che gli ammalati di coronavirus si vedano rifiutare cure mediche all’estero, o che venga loro impedito di tornare in patria, come previsto da Trump per i cittadini statunitensi. È comunque chiaro che il contagio in corso sta portando alla luce l’assenza di un coordinamento internazionale per rispondere alle emergenze pandemiche.

Tornando alla situazione italiana, il report del WEF prevede che il coronavirus spingerà in recessione l’economia del paese. Il settentrione rimane il motore economico della penisola, con un prodotto interno lordo (PIL) di circa 34’150 euro a persona (la media nazionale è di 25’160 euro). Anche il tasso di occupazione del nord, 67%, è superiore alla media nazionale italiana del 59%. Ma questa era la situazione prima del contagio.

Ora fioccano le disdette alberghiere, i grandi eventi fieristici ed i viaggi d’affari sono rimandati, se non addirittura cancellati, con ulteriore danno per il comparto turistico, che da solo rappresenta il 14% della ricchezza nazionale italiana. La previsione del WEF sembra non lasciare spazio ad alternative. Se il PIL italiano nel 2019 aveva segnato un modestissimo +0.2%, il rischio che l’Italia entri in recessione si fa concreto. In altri termini: l’industria italiana si avvia a produrre e generare ricchezza nazionale ad un livello inferiore alle sue reali capacità.

Se pensiamo che la performance industriale della Germania è insoddisfacente, per non parlare delle incertezze derivanti dalla Brexit, trovarsi anche un paese come l’Italia messo in ginocchio dal COVID-19 non fa che rendere più negative le previsioni economiche per il continente europeo.

 

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