L’italianità, adesso, è sexy. Ecco perché

Le nuove generazioni di immigrati possono permettersi di essere sé stessi. Ce lo spiega la giornalista e scrittrice Rita Angelone, che ci racconta la sua vita da “Seconda” e la sua famiglia italo-svizzera

di Dario Furlani

Foto: Rita Angelone, credit Philip Boeni

Pochi hanno raccontato in modo così avvincente la quotidianità italo-svizzera come Rita Angelone, nata alla fine degli anni ’60 nel Canton Glarona da immigrati italiani. Con i suoi racconti pubblicati sul Tagblatt, quotidiano della città di Zurigo, ci si immerge in una vita a cavallo tra due culture, che si incontrano mescolandosi tra loro.

Le sue storie ed esperienze come Seconda (termine che sta ad indicare la seconda generazione di immigrati), sono un’interessante testimonianza sia umana che culturale, in grado di cristallizzare interi decenni della vita di un paese.

Una realtà spesso non raccontata, fatta di piccoli aspetti peculiari che rivelano un grande amore e legame col paese di origine. La musica, il cibo, il modo di relazionarsi e di parlare sono tutti elementi che compongono la vita della comunità italiana in Svizzera, che si è evoluta nel tempo fino a fondersi armonicamente con il paese ospitante. Nascono quindi dei deliziosi connubi culturali, che un occhio attento -e orecchio- potrà captare nella vita di tutti i giorni.

Una frase cominciata in dialetto svizzero e conclusa in italiano o un gesto tipico con le mani che tradisce la provenienza mediterranea sono dei piccoli segnali che dimostrano quanto l’integrazione cultura possa essere varia e divertente.

L’attività di Angelone come giornalista e bloggerin si è espressa in un libro, “Die Angelones – Pasta, Fussball und Amoreche raccoglie la sua testimonianza di ‘sentinella antropologica’. Il Corriere dell’Italianità l’ha intervistata.

Negli ultimi anni, a causa della globalizzazione, si è registrato in tutto il mondo un appiattimento delle differenze culturali. Si può ancora parlare di grandi differenze tra la cultura italiana e quella svizzera? 

“Anche se oggi le differenze tra la cultura italiana e quella svizzera non sono così grandi come lo erano quando i miei genitori sono immigrati in Svizzera e si sono confrontati con la xenofobia, credo che esistano ancora. Alcune di queste possono sembrare piccole o addirittura divertenti, ma comunque sono in grado di avere un impatto sulla convivenza e portare a incomprensioni e conflitti. Mio marito ed io discutiamo spesso sulle piccole e grandi differenze nelle nostre culture”.

Ci fa un esempio?

“Vediamo una grande differenza nel modo in cui l’Italia e la Svizzera funzionano come paese, come società. L’Italia ha da sempre dovuto affrontare diverse sfide ed è un paese in cui alcune cose non funzionano bene come qui in Svizzera. Gli italiani si ‘lamentano’ e si autocommiserano costantemente, eppure stanno dalla parte della loro nazione e dei suoi problemi, sono orgogliosi dell’Italia e se c’è qualcosa da fare, allora lo si fa insieme. Soprattutto durante la pandemia, sono rimasti uniti e hanno attuato stoicamente misure a volte molto più dure di quelle che abbiamo avuto in Svizzera. Gli italiani hanno il dono di trovare sempre qualcosa di positivo nella vita. Hanno sempre uno scherzo nella manica e affrontano i problemi senza rinunciare a cose piacevoli come il ballo, il canto e il buon cibo. Per loro la famiglia è al centro, è una priorità: darebbero qualsiasi cosa per essa. Figli e nonni sono molto considerati.
La maggior parte degli svizzeri sta meglio degli italiani, ma a volte mi sembra che non se ne accorgano. Tendono a cercare il pelo nell’uovo e a preoccuparsi di problemi che non esistono o non sono così grandi. D’altra parte, gli svizzeri sono disciplinati e orientati agli obiettivi. Se vogliono qualcosa, lo ottengono. E se non vogliono qualcosa, reagiscono e difendono i propri diritti. Un aspetto che ammiro, perché a volte penso che gli italiani tendano ad accettare, a rassegnarsi. Tra le differenze più grandi, apprezzate da noi italiani, ci sono l’ordine e la precisione svizzera, di cui spesso sentiamo la mancanza quando siamo in Italia. Per quanto riguarda le dinamiche emotive all’interno della nostra famiglia italo-svizzera, io reagisco molto più emotivamente di mio marito, che è invece obiettivo. Sono anche più impulsiva e più rumorosa”.

Cosa caratterizza secondo lei le nuove generazioni di italiani in Svizzera? 

“La nuova generazione di italiani in Svizzera è più sicura di sé. Molti di loro sono ben istruiti e vengono nella Confederazione per studiare o per trovare un buon lavoro. Non come ai tempi dei miei genitori, quando si veniva per lavorare principalmente come manovali. L’atteggiamento nei confronti di questa nuova generazione è diverso. Non devono necessariamente integrarsi nel senso di “assimilarsi”, ma possono restare italiani. Oggi molti di questi “expat” non imparano nemmeno più bene la lingua svizzera, perché è accettato che conversino in inglese o anche in italiano e spesso lasciano comunque la Svizzera dopo qualche anno. Sarebbe stato impensabile ai tempi dei miei genitori e non sarebbe stato accettato. Da quel punto di vista oggi è più facile essere uno ‘straniero in Svizzera’. L’italianità è oggi molto apprezzata e addirittura considerata sexy”.

Chi sono nuovi italiani? Quali sono le comunità o culture che ricoprono il ruolo sociale che hanno avuto gli emigranti italiani? 

“Ricordo quando ero alle elementari, negli anni ’70. Nella mia classe c’erano soprattutto italiani, qualche spagnolo, qualche turco e qualche greco. Più tardi arrivarono portoghesi e gente proveniente dalla ex Jugoslavia. Negli anni 80 la comunità italiana si era già “posizionata” molto bene, invece turchi, portoghesi e jugoslavi dovettero seguire la stessa strada dei primi italiani. Oggi anche queste culture si sono integrate bene in Svizzera e stanno dettando tendenze in certi settori: nella musica, nel cibo, nella lingua. Ho la sensazione che nessun’altra cultura migratoria abbia oggi lo stesso ruolo o debba seguire lo stesso percorso dei primi immigrati italiani di allora. In un certo senso, gli italiani di allora hanno aperto la strada a tutti gli altri immigrati. E se oggi in Svizzera vengono i rifugiati, lo fanno per motivi diversi e di conseguenza il loro percorso qui è diverso. Credo che la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera sia stata unica. Non ci sono, a mio avviso “nuovi italiani” come allora, che abbiano preso o potrebbero prendere il loro posto”.

In quanto donna legata ad entrambe le culture, cosa pensa che accomuni -o differenzi- la donna svizzera da quella italiana nella società e in famiglia?

“Per rispondere, si deve guardare al passato. Spesso si dimentica che all’epoca la posizione giuridica delle donne in Italia era migliore che in Svizzera. Alcuni diritti sociali e politici delle donne, come il suffragio femminile e l’assicurazione maternità, sono stati introdotti molto prima in Italia che in Svizzera. Il principio della parità di genere è stato inserito nella costituzione italiana nel 1948. In Svizzera ciò è avvenuto solo nel 1981. Il suffragio femminile è stato introdotto in Italia dopo la Seconda guerra mondiale. In Svizzera, il suffragio femminile a livello federale è arrivato solo nel 1971. Vista così, ho la sensazione che le donne italiane siano molto forti e sicure di sé e non sono pronte a “sopportare” e a “stare zitte”. Guardiamo la questione del cognome. In Svizzera, non molto tempo fa una donna doveva prendere il nome del marito quando si sposava. Una cosa incomprensibile per una donna italiana! Anche per me: ho conservato ‘Angelone’, il mio cognome da nubile!
Ma torniamo alla storia: in quanto immigrate, le donne italiane hanno dovuto affrontare la questione dell’equilibrio tra privato e lavoro. Per loro mandare i bambini all’asilo nido era una necessità, perché dovevano lavorare, contribuivano con il loro salario al reddito familiare. In questo modo acquisirono un certo grado di indipendenza e praticarono un’alternativa al modello familiare tradizionale con l’uomo come capofamiglia e la donna come madre e casalinga che si viveva all’epoca in Svizzera. Le donne italiane sono state come un catalizzatore per l’emancipazione femminile e l’uguaglianza di genere in Svizzera. Penso che quell’atteggiamento fiero e fiducioso si manifesti ancora oggi in una donna italiana”.

Trovo interessante la sua profonda identificazione come italiana. In che modo e perché il suo essere italiana ha inciso così tanto nel suo sviluppo e nella formazione del suo carattere?

Nasce dal fatto che i miei genitori, in particolare mio padre, mi hanno trasmesso tutti i loro valori. A casa parlavamo italiano. Dovevo frequentare la scuola italiana anche il mercoledì pomeriggio, quando gli altri bambini svizzeri non avevano scuola, per tutta la durata della scuola dell’obbligo. È stata dura, ma sono molto grata a mio padre di avermi obbligata a farlo. Ogni fine settimana andavamo insieme a feste ed eventi italiani, che erano organizzati nel Canton Glarona da una grande e affiatata comunità italiana. Canzoni italiane, balli, canti, cibo italiano, andare in chiesa insieme, la missione cattolica italiana – tutto questo mi ha trasmesso i valori italiani. Andavamo anche in vacanza in Italia almeno una volta all’anno. In estate per 5 settimane, se possibile anche a Pasqua e Natale. Tutti questi rituali mi hanno plasmato. E poi c’era questo rito che piaceva tanto a mio padre: amava a portarmi dei libri, tutti classici italiani come Pinocchio o Cuore, che hanno avuto una grande influenza su di me”.

La presenza sempre più massiccia di migranti, non solo italiani, ha portato a dei cambiamenti nelle abitudini degli svizzeri? Il modus vivendi del cittadino svizzero medio come si è adattato alle numerose comunità estere presenti?

Penso che gli svizzeri – e anche noi come Secondi – dobbiamo adeguarci alla globalizzazione, restando aperti mentalmente. Siamo diventati tutti più ‘internazionali’. Intanto, nella vita di tutti i giorni parliamo già spesso Hochdeutsch (tedesco parlato in Germania che si differenzia dallo svizzero n.d.r) o inglese, il che oggi è considerata come una cosa ovvia. Mangiamo anche in modo diverso, grazie alle tante culture che si incontrano nel nostro paese. Ne beneficiamo tutti: a Zurigo ora c’è ogni tipo di cibo, un meraviglioso arricchimento per tutti noi. D’altra parte, a volte è un po’ difficile ‘rendere giustizia’ a tutte le culture e non offendere nessuno. Ad esempio, quando svizzeri e noi Secondi vogliamo celebrare l’Avvento e il Natale insieme, per rispetto delle altre culture dobbiamo assicurarci che la terminologia e i riti siano corretti. Penso che dobbiamo usare il buon senso e assicurarci di avere una mentalità aperta e rispettosa, ma anche di restare fedeli ai nostri valori – svizzeri e italiani. In ogni caso, penso che la Svizzera – e includo qui tutti i Secondi – stia affrontando bene la grande sfida con il gran numero di migranti e rifugiati. Sono grata di vivere qui”.

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