Lo Stato, la Chiesa e i diritti degli uomini: il Ddl Zan

Per comprendere la necessità di intervenire con una legge per fermare l’omofobia che, come un fil rouge, ha attraversato ogni epoca, basta leggere i fatti di cronaca. Qualche giorno fa un diciottenne a Torino si è tolto la vita e tra i messaggi lasciati sui social, ce n’era uno molto offensivo sulla sessualità del ragazzo. Intanto a Milano, Gesù è stato rappresentato mentre porta la croce in spalla in minigonna e tacchi a spillo.

In mezzo a questi eventi vi è il Ddl Zan, approvato alla Camera il 4 novembre 2020, e ora in discussione al Senato. Il disegno di legge, connesso alla legge Mancino che persegue i reati di razzismo e prevede il carcere da uno ai quattro anni per chi istiga alla violenza omofobica, si snoda in 10 articoli, modificando alcune norme del codice penale.

Il contenuto

L’art. 1 definisce le parole “sesso”, “genere“, “orientamento sessuale” e “l’identità di genere”. L’art. 2 prevede la modifica dell’articolo 604 bis del codice penale sui reati di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa. L’art. 3 introduce l’aggravante di discriminazione con i motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità. L’art. 4 garantisce il diritto di esprimere opinioni contrarie «purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

L’art. 5 allinea altre norme di legge alla stessa fattispecie. Prevede anche la sospensione condizionale della pena che può essere subordinata, se il condannato non si oppone, alla prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività.

L’art. 6 modifica l’articolo 90-quater del codice di procedura penale sulla condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa: nella valutazione si terrà conto anche dei reati commessi in ragione del sesso, del genere, dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere.
L’art. 7 istituisce la Giornata nazionale contro l’omotransfobia il 17 maggio.

L’art. 8 stabilisce norme e interventi per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni attraverso una strategia nazionale triennale

L’art. 9 riguarda i centri contro le discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere.

L’art. 10  introduce rilevazioni statistiche sulla discriminazione di genere.

La questione

Ora, secondo la nota ufficiale fatta arrivare dal Vaticano da monsignor Gallagher all’ambasciatore Sebastiani il Ddl Zan violerebbe l’articolo 2 del Concordato secondo cui “la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa” ed è “assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”.

E la norma del Ddl Zan che violerebbe detto principio è l’art. 7 che prevede l’istituzione della Giornata nazionale contro omofobia e transfobia, con le scuole invitate a organizzare incontri, attività sul tema.

Ma, a parte la considerazione che un riconoscimento non esclude l’altro, ciò che è evidente è che il Vaticano non ha alcun potere di ingerenza a meno che veicoli dette considerazioni tramite un partito presente in Parlamento.

E questo nel rispetto della nostra Carta Costituzionale che all’art. 7 sui rapporti tra Stato e Chiesa, prevede che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.

In quest’ottica non si tratta di capire se le violazioni ci sono davvero. È come incardinare un processo a Roma quando il giudice competente è a Milano. Il giudice romano non entra nel merito della controversia, ma si limita a rilevare la propria incompetenza. Infatti, Draghi non ha preso posizione sul contenuto, ma ha ribadito l’assenza di legittimazione in capo alla Santa Sede di intervenire su una legge dello Stato italiano.

Poi, se le violazioni dovessero verificarsi, è evidente che potranno essere sindacate a legge approvata dalle autorità giudiziarie italiane, nonché per eventuali profili di incostituzionalità dalla Consulta ma, anche in questo caso, i giudizi non dovranno essere sollevati direttamente da uno stato straniero, qual è il Vaticano, ma da parti processuali. Quindi sarà il singolo sacerdote o il singolo docente eventualmente leso dalle previsioni del Ddl Zan a ricorrere in Tribunale.

La posizione dello Stato italiano

In realtà la Chiesa ha già la sua norma “di salvaguardia”. L’art. 4 del Ddl Zan consente di esprimere opinioni contrarie «purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. E già sin d’ora si può affermare che sarà molto complesso provare che è stato proprio l’esercizio di un diritto di critica a determinare la violenza. Mi spiego meglio: quale parte di responsabilità ci sarà per la Chiesa o per qualsiasi altra persona od organizzazione se si riesce a provare che il dissenso è stato manifestato legittimamente ma che la persona che ha subito la critica era per le sue condizioni personali così fragile che non si poteva prevedere una reazione estrema?

Senza contare la vaghezza dell’art. 1 del Ddl Zan che produrrà molte interpretazioni sulle definizioni utilizzate.

In realtà il discorso e le discussioni sul Ddl Zan trascendono la legge e allo stesso tempo ne impongono l’intervento.

Non si possono evitare gli abusi ma occorre fissare una linea al di sotto della quale, determinati atti vanno bollati come reati. Così come accadde per la legge sul divorzio e l’aborto. Il fatto che una norma non ci fosse non aveva evitato la pratica odiosa degli aborti clandestini e delle morti che spesso ne derivavano, né garantiva matrimoni felici ma la presenza di quelle leggi costituì un grande segno di civiltà.

Si tratta infatti di questo: civiltà e libertà. Il resto è lasciato alla libera scelta di ciascuno ma lo Stato deve prendere posizione e combattere le discriminazioni.

il deputato Alessandro Zan, relatore del disegno di legge che prende il suo nome contro l’omofobia, la transfobia,
la misoginia e l’abilismo
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