L’ombra della Cina sull’incontro tra Biden a Putin a Ginevra

La scorsa settimana a Ginevra ha avuto luogo l’attesissimo incontro tra Biden e Putin; un incontro a porte chiuse cui sono seguite le conferenze stampa dei rispettivi leader. In comune il giudizio sull’incontro definito “un discreto successo”. Gli argomenti non sono certo mancati, soprattutto dopo che Biden qualche tempo fa ha bollato come “killer” Putin e quest’ultimo sta sfidando il mondo intero con la faccenda di Navalny, ma è scontato che a Ginevra l’empatia dell’uno o dell’altro non siano stati argomenti di discussione. Le accuse si sono ridotte a schermaglie strategiche e in questo Biden si sta dimostrando più abile dei suoi predecessori. Più di Obama che, come il Candido di Voltaire, voleva convincere e convincersi che questo fosse il migliore dei mondi possibili, e più di Trump che avrebbe voluto essere come Putin.

In realtà nelle relazioni internazionali i muscoli vengono mostrati solo come anticipazione delle contrattazioni. E se Biden ha lamentato la condizione dei dissidenti in Russia, l’altro ha ricordato che gli States hanno Guantanamo dove i detenuti non hanno nemmeno un nome.

Certo in mezzo c’è la tutela della democrazia, ma è evidente che entrambi i leader non vogliono tornare alla guerra fredda. Per tale motivo i temi sul tavolo sono stati numerosi: su alcuni vi è stata maggiore convergenza, su altri occorrerà volontà e impegno.

Sicuramente i diritti umani e il caso Navalny sono stati tra i temi più scottanti. L’antiproliferazione nucleare e il controllo degli armamenti è invece il dossier dove si potrebbe trovare più facilmente un’intesa. Per quanto riguarda la regolamentazione del cyber-spazio, si vuole avviare un processo di depotenziamento simile a quanto avvenuto per le armi atomiche negli anni Ottanta del Novecento. Cruciale per Mosca, è poi il tema del fronte occidentale, ovvero l’Europa dell’Est. L’ingresso nella Nato dell’Ucraina è argomento chiaramente non gradito a Putin, così come a prescindere dal giudizio su Aljaksandr Lukašėnka, la Bielorussia è protetta da Mosca. E su quello non di discute.

Si è parlato di cooperazione economica, clima, Artico e lotta al coronavirus. E ancora, Siria, Libia, Nagorno-Karabakh e l’accordo nucleare iraniano. Probabile anche un accordo sul ritorno nelle capitali dei rispettivi ambasciatori, John Sullivan e Anatoly Antonov, lontani da diversi mesi. E poi lo scambio di alcuni detenuti  ‘eccellenti’  tra cui il pilota russo Konstantin Yaroshenko (condannato per traffico di droga) e degli americani Trevor Reed e Paul Whelan.

Ma di fondo la mossa del navigato presidente americano è da leggere, a nostro parere, in modo più ampio, in una logica che coinvolge anche la Cina, della cui presenza non si può più fare a meno.

In questo quadro la Russia è l’alleato da corteggiare poichè l’asse Mosca – Pechino non è uno scenario che Biden si può permettere, ma che è già tutto in divenire.

Russia e Cina sono molto vicine sul piano politico, accomunate dall’ animosità verso gli Stati Uniti e l’occidente, “colpevoli” di condurre una politica di ostilità e di sanzioni contro i rispettivi paesi.
I due leader, infatti, si sono incontrati quasi trenta volte in sei anni e Xi Jinping è diventato il “migliore amico” di Putin. Il semplice “asse di convenienza” si è trasformato negli ultimi anni in una “quasi-alleanza”  non formalizzata per motivi di convenienza: entrambi i Paesi  desiderano mantenere la loro sovranità e il loro margine diplomatico, e nel contempo perseguire relazioni indipendenti con gli Stati Uniti e l’Unione Europea.

Di fatto però nel 2014 la Cina è diventata il principale partner commerciale della Russia, davanti alla Germania nel settore degli idrocarburi. E la Russia invece esporta in Cina armi tra cui caccia SU-35 che abbiamo visto nel 2015 nei cieli siriani.

Senza dimenticare la cooperazione tecnologica nel 5G e quindi con la Huawei su cui la Russia fa molto affidamento e quella regionale sulle cinque repubbliche ex sovietiche divenute indipendenti nel 1991. Paesi che di fatto vivono all’omba del Cremlino e che da Mosca ricevono quanto occorre per la sicurezza e la difesa e da Pechino infrastrutture e sostegno per l’economia.

Medesima cooperazione la si incontra per l’Artico su cui la Russia estende il suo potere politico e che la Cina può sostenere perché interessata alle risorse naturali (investimenti in Yamal) e alla rotta marittima.

Tuttavia, e qui entra in gioco Biden, Putin rischia di essere messo all’angolo dalla Cina: Mosca fornisce solo energia e materie prime di cui la Cina ha bisogno per il suo sviluppo economico, che è di fatto inarrestabile. La stessa esportazione di armi russe su suolo orientale è un rischio: i cinesi replicano ogni cosa e oggi la Cina è già diventata il quinto più grande esportatore di armi al mondo, dietro la Russia che mantiene il secondo posto. Anche in Asia e quindi nei Paesi ex Unione Sovietica il Cremlino rischia di perdere posizioni, con la Nuova via della seta la Cina potrà collegarsi con l’Asia centrale, l’Asia settentrionale, l’Asia occidentale e i paesi e le regioni lungo l’Oceano Indiano e il Mediterraneo. Il quadro fa comprendere perché Putin ha bisogno di riposizionarsi e lo farà strizzando l’occhio agli Stati Uniti d’America. In fondo, se Putin è in grado di allearsi con Biden potrebbe farlo anche con il Giappone, la Corea del Sud o l’India. E questo alla Cina non conviene.
Dunque il “discreto successo dell’incontro a Ginevra” è un segnale d’avvertimento alla Cina: la Russia non si farà monopolizzare. E tra i due litiganti… c’è Biden.

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