L’universalismo di Dante e il mondo moderno

Fervono ovunque i preparativi per la celebrazione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri (2021). Con il Professore Stefano Prandi abbiamo voluto focalizzare il carattere universale, oltre i confi- ni del tempo, di Dante e della Divina Commedia.

Professore, che significato ha dire che la Commedia è patrimonio dell’umanità?

Mi sembra un’affermazione incontestabile, se si considera che la Commedia è stata tradotta in oltre sessanta lingue tra Europa, Asia, Africa e Americhe. La sua poesia ha affascinato e attratto a sé culture diversissime da quella di cui essa è espressione: è iniziato così un dialogo interculturale a livello planetario. La ragione l’ha esposta bene Thomas Stearns Eliot in un saggio del 1920: «Dante» – ha scritto – «è il più universale dei poeti di lingua moderna». La ragione profonda di questa capacità di Dante di parlare a tutti è la sua maestria nel rendere concrete e quasi tangibili le emozioni più sfumate, i concetti più astratti, attraverso una poesia che si presenta come uno straordinario concentrato di significato.

Non c’è bisogno di conoscere la storia di Firenze o la teologia medievale per godere della lettura della Commedia; non c’è nemmeno bisogno di comprendere del tutto la sua lingua, per molti aspetti differente dall’italiano di oggi. Pensiamo al grande scrittore argentino Jorge Luis Borges che, accostandosi per la prima volta al poema, si convinse ad accantonare la traduzione inglese per leggerlo direttamente in lingua originale, anche se molte cose non le capiva. Borges ci esorta a una lettura “ingenua” della Commedia, che è alla portata di tutti. Questo tipo di lettura riserva l’emozione di un incontro inatteso e rivelatore.

Potremmo anche dire che il poema dantesco è un “patrimonio di umanità”?

«Patrimonio di umanità»: mi piace questa variazione sul tema, e la trovo molto vera. Coloro che giudicano il poema come il risultato di una mentalità oscurantista e un po’ fanatica (luogo comune molto diffuso sul Medioevo), che destina all’inferno i propri nemici, non sanno bene di cosa parlano. Nel canto secondo dell’Inferno, all’inizio del suo viaggio, Dante ci comunica il suo proposito di «sostener la guerra / sì del cammino e sì de la pietate»: sarà difficile compiere questo percorso, dice il poeta, sia per la sua natura accidentata, sia perché la sofferenza dei dannati, benché voluta da Dio, lo toccherà profondamente. Persino nell’inferno resiste la compassione, persino lì l’umanità, benché sfigurata, è riconoscibile, anche nei tratti bestiali di Ugolino, che addenta come un cane il cranio di chi ha condannato lui e i figli a una morte terribile, ma il cui «disperato dolor» sentiamo così vicino proprio perché appartiene a una creatura simile a noi.

Possiamo dire che la Commedia è davvero la celebrazione e l’apoteosi dell’uomo (di tutti gli uomini, nessuno escluso), come conferma il finale del poema, in cui la visione del mistero profondo della Trinità lascia intravedere, al centro, il volto di Cristo, Figlio dell’Uomo: la circonferenza che gli corrisponde è «pinta della nostra effigie». Nel volto di Cristo si specchia quello dell’umanità: ritroviamo qui lo stesso noi che apre la Commedia: «Nel mezzo del cammin di nostra vita».

Quali dei temi affrontati da Dante lo rendono contemporaneo? E come è possibile che un’opera medievale sull’Aldilà possa essere compresa da una società ipertecnologica che sembra avere perduto il senso del sacro?

La Commedia è un’opera di poesia, cioè di finzione, che però ha fortissime ambizioni di verità: intende svelare la struttura dell’intero universo; far luce su tutti i fenomeni terreni, dalla formazione dell’embrione agli eventi metereologici; scrutare a fondo l’animo umano nei suoi misteri più profondi. Dante si rende conto dell’audacia, che sfiora quasi una forma blasfema di follia, di attribuirsi, nelle vesti di personaggio principale dell’opera, il privilegio di attraversare l’Aldilà in carne e ossa, come aveva fatto San Paolo – che però aveva dichiarato di non essere in grado di rivelare i misteri celesti a cui aveva assistito –, fino a trovarsi faccia a faccia con Dio.

Fin qui sembrerebbero emergere, rispetto alla contemporaneità, soltanto differenze: nessun intellettuale o scienziato oggi potrebbe mai attribuire a se stesso le conoscenze enciclopediche che Dante ha dimostrato nella Commedia di possedere. Le discipline e la tecnologia hanno raggiunto un tale livello di specializzazione che gran parte delle ricerche scientifiche più avanzate non sono minimamente comunicabili alla gente comune. Nonostante internet, siamo dei semplici “utenti”: usiamo continuamente dispositivi sempre più sofisticati di cui però non sappiamo quasi nulla.

Eppure abbiamo bisogno di una qualche visione del mondo che non si restringa al fazzoletto di spazio in cui si svolge la nostra vita; abbiamo, anche, bisogno di porci domande sul senso della nostra esistenza nel mondo, di chiederci se il nostro destino è quello di una solitudine assoluta, oppure se c’è qualcosa al di là dei limiti del nostro sguardo con cui possiamo entrare in contatto. Anche Dante si pose queste domande, e la sua risposta fu comporre un poema che faceva della parola letteraria uno strumento di indagine di straordinaria potenza e precisione. Mai la parola umana era stata posta, e forse sarà, a una tale sollecitazione.

La poesia della Commedia rimane sempre pericolosamente in equilibrio tra finzione e verità: Dante giura che ci sta dicendo la verità mentre ci presenta le più fantasiose invenzioni, come accade quando appare il mostruoso e improbabile Gerione nel canto XVI dell’Inferno, che simboleggia l’inganno dei peccatori fraudolenti. Ma anche noi oggi, nel nostro mondo impigliato nel groviglio della rete, lottiamo continuamente per distinguere la finzione dalla verità, le fake news dalle informazioni documentate. La Commedia non è mai stata così attuale.

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