Una crisi, tante crisi.
Al momento sono in atto diverse crisi: il cambiamento climatico che è in un certo senso la crisi che include tutte le altre: l’acidificazione degli oceani, l’inquinamento dei suoli agricoli, la perdita delle biodiversità, l’inquinamento dell’acqua e dell’aria, la scarsità d’acqua e l’inquinamento chimico.
La perdita di biodiversità, con la distruzione di ambienti naturali, è, fra l’altro, una delle cause della pandemia attuale.
Le energie rinnovabili fanno bene alla salute e all’economia.
Fino a pochi anni fa si riteneva impossibile intervenire su tutte queste problematiche perché si pensava che i costi per farlo avrebbero superato i benefici.
Oggi tutto questo è superato anche da un punto di vista puramente economico: il riscaldamento climatico è causato per il 25% dall’utilizzazione di elettricità e dalla generazione di calore del settore industriale e degli insediamenti urbani, e per il 24% dal comparto agricolo, per un totale che raggiunge circa la metà delle emissioni.
Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, la maggior parte dei sussidi statali va a sostegno delle energie fossili, soprattutto da carbone e petrolio. Il Fondo Monetario Internazionale calcola che negli ultimi anni questi settori abbiano ricevuto contributi per circa cinque trilioni di dollari. Si tratta dell’85% dei sussidi per la produzione di energia, erogati soprattutto dalle maggiori potenze industriali.
Basterebbe togliere questi sussidi per ridurre del 28% le emissioni globali e per evitare le morti per inquinamento atmosferico, dovute soprattutto al carbone, che nella sola Europa sono ogni anno fra 20.000 e 30.000.
L’eliminazione di questi contributi pubblici produrrebbe un risparmio pari a circa il 3,8% del Prodotto Interno Lordo mondiale. Il progressivo abbandono del carbone richiederà di intervenire con sussidi statali poiché questo settore crea molta occupazione, anche ben remunerata, in Paesi come la Germania e la Polonia.
Ci sarebbe inoltre anche un risparmio per le spese sanitarie, per non parlare naturalmente delle vite umane che verrebbero in questo modo salvaguardate.
Le energie rinnovabili, a parità d’investimento, non solo costano meno ma creano anche una maggiore occupazione. Nel settore dell’energia solare, in pochi anni si è verificato un incredibile aumento di efficienza e una corrispondente diminuzione dei costi degli impianti.
Il calo della domanda di petrolio è irreversibile.
Il calo della domanda di petrolio, impiegato soprattutto per i veicoli, appare inarrestabile, e questo provoca una diminuzione del suo prezzo destinata a permanere anche oltre l’attuale crisi pandemica.
Nel settore automobilistico, l’avanzata della propulsione elettrica appare inarrestabile, mentre rimangono problemi nel settore aeronautico in cui essa è destinata a essere utilizzabile entro il 2030 solo per tragitti non superiori alle tre ore.
Per tutto il resto l’energia sarà prodotta da un mix fra nucleare, gas, e rinnovabili.
Lo sviluppo di batterie sufficientemente efficienti e in grado di sostituire il gas farà la differenza.
La transizione energetica è necessaria e urgente.
Anche le centrali a carbone già oggi non appaiono convenienti da un punto di vista economico.
La transizione energetica è bloccata da scelte politiche, non dall’efficienza economica, e
appare comunque inevitabile se si pensa che abbiamo solo undici anni di tempo, secondo gli esperti dell’IPCC, per evitare esiti irreversibili del riscaldamento globale. Se si sono reperiti i fondi per salvare le banche dopo la crisi del 2008, bisogna, a maggior ragione, trovarli oggi per salvare il pianeta.
Il futuro è del trasporto pubblico.
La crisi prodotta dal coronavirus indurrà nell’immediato un uso più intenso dell’auto, che ancora non ha compiuto una sufficiente transizione verso l’elettrico.
Tuttavia, nel lungo periodo, il crescente inurbamento della popolazione mondiale avrà come conseguenza una crescita del trasporto pubblico, più conveniente sia per gli individui sia per la collettività, con la progressiva rinuncia all’uso del petrolio anche in questo campo.
La transizione deve essere gestita in modo socialmente accettabile, e mentre si disincentiva l’uso dell’auto, per esempio con una tassa sugli idrocarburi, bisogna al tempo stesso incentivare e potenziare il trasporto pubblico.
L’esempio da seguire è quello di Livingstone, ex sindaco di Londra che, contemporaneamente all’introduzione di una tassa per chi voleva entrare nel centro della città con la propria auto, ha fortemente rafforzato i servizi pubblici. Al contrario, Macron, in Francia, ha provveduto solo a tassare gli idrocarburi, creando la violenta reazione dei cosiddetti gilets jaunes.
Verso l’“economia della ciambella”.
Nel calcolo costi-benefici bisogna avere un approccio complessivo ai problemi, ribaltando
l’attuale visione di uno sviluppo economico esponenziale e infinito che non tiene conto delle compatibilità ambientali e sociali. Le risorse naturali, infatti, non sono infinite, e proseguire con il modello attualmente imperante di sviluppo lineare porta a conseguenze insostenibili per l’ambiente e per gli esseri umani.
Oggi bisogna, al contrario, muoversi nella direzione di un necessario sviluppo compatibile con le esigenze umane e con la limitatezza delle risorse del pianeta.
Si tratta del modello economico che l’economista inglese Kate Raworth ha molto efficacemente raffigurato in uno schema a forma di ciambella e che la città di Amsterdam, prima fra le grandi città del mondo, si è impegnata a seguire una volta superata l’emergenza del coronavirus.
Il consumo delle risorse del pianeta e i costi umani e sociali di qualsiasi scelta economica devono essere anch’essi calcolati come costi economici per la collettività, mentre oggi vengono spesso considerati irrilevanti esternalità da non calcolare nei bilanci aziendali.
Lo Stato imprenditore.
L’economista Mariana Mazzuccato ha condotto negli ultimi anni importanti riflessioni sul ruolo dello Stato in campo economico.
Il libero mercato non è mai realmente esistito: tutti i mercati sono in sostanza creati e definiti da regole e limiti precisi, la cui funzione è fondamentale per dare un prezzo alle esternalità, per tenere conto cioè di tutti quei costi umani e ambientali di cui spesso l’imprenditore privato, come abbiamo visto, non tiene conto.
La crisi ci ha fatto toccare con mano che il cibo non si produce da solo: il ruolo dello Stato dovrà essere determinante nella produzione efficiente ed eco-compatibile di cibo sano.
Attualmente purtroppo la PAC (Politica Agraria Comune) dell’UE non va nella giusta direzione, in quanto finanzia proprio quel tipo di agricoltura che contribuisce al deterioramento del suolo agricolo, che ormai, a causa dell’inquinamento da fosforo e nitrato, è in molti casi persino più inquinato del suolo urbano. Un sistema costoso, malato ed inefficiente, se si pensa che un terzo del cibo prodotto viene attualmente gettato.
Esistono anche miti da sfatare, in primo luogo quello secondo cui l’iniziativa privata sarebbe più efficiente di quella pubblica.
La stessa Mazzuccato porta, a questo proposito e come esempio, il fatto che ogni singolo elemento di quel prodotto rivoluzionario che è l’iPhone, dal web al microchip, è frutto di innovazioni che provengono dallo Stato. Anche l’attuale crisi sanitaria dimostra il ruolo insostituibile del settore pubblico, al quale ci rivolgiamo per le cure sanitarie e quando abbiamo bisogno di un vaccino.
Uno degli effetti positivi della crisi prodotta dal virus potrebbe essere, insomma, quello di riportare lo Stato al centro della vita economica.
Una nuova narrazione.
Esiste anche il problema di comunicare e rendere appassionanti le tematiche più urgenti, di creare cioè una narrazione convincente e coinvolgente. Lo scrittore indoamericano Amitav Ghosh è forse l’unico che è riuscito, nei suoi scritti, a rendere avvincente il tema del cambiamento climatico.
Anche da un punto di vista economico, è ormai fuori discussione che una “transizione verde” è necessaria e conveniente.
Si tratta dunque di combattere anche sul piano politico e culturale, unificando movimenti che oggi agiscono in modo separato.
Chi lotta contro la discriminazione razziale, contro il patriarcato, conduce la stessa lotta di chi si batte contro il cambiamento climatico. Non devono esistere gerarchie fra questi movimenti, ma occorre invece unificarli in un fronte e in una narrazione comuni: questa è la difficile e decisiva sfida che la Sinistra e gli intellettuali progressisti devono affrontare.
In questo modo anche il singolo individuo sarà coinvolto in una battaglia comune nella misura in cui capirà che sono in gioco i suoi stessi interessi: qualità del cibo, qualità dell’aria, occupazione.
Greta Thunberg è l’unica che si sia mostrata in grado di portare avanti una narrazione, una visione del mondo unificante e del tutto alternativa al sistema attuale, e questo ha scatenato contro di lei l’odio viscerale dei potentati economici che si sentono messi in discussione in modo così efficace.
Migliaia di suoi coetanei sono diventati i migliori propagandisti di questa visione alternativa.
La posta in gioco di tutta questa battaglia economica, ma anche politica e culturale, è la sopravvivenza stessa del pianeta.