“Migrazioni ad arte”: i ticinesi e lo stucco, un felice connubio di successo europeo

L’intero territorio ticinese, sia che si percorrano i tornanti che si inerpicano attraverso le valli o che si segua il profilo del lago, offre un panorama ricchissimo di chiese e palazzi meravigliosamente adorni di decorazioni in stucco. A partire dal XVI secolo infatti, schiere di artisti si resero responsabili della realizzazione di sontuosi apparati per nobilitare, con una tecnica antica, le cattedrali, gli oratori, le parrocchiali e gli edifici civili della propria terra, praticandola e padroneggiandola al punto da divenire veri e propri specialisti, chiamati a lavorare nei paesi di tutta Europa.

Visitando la Madonna d’Ongero a Carona, varcando la soglia della chiesa di Santo Stefano ad Arogno o entrando nel santuario di Santa Maria dei Miracoli a Morbio Inferiore, non si può non rimanere immediatamente colpiti dal risplendente candore di colonne, capitelli e cornici, dalla soda consistenza delle ghirlande di fiori e di frutti, e, soprattutto, dalla viva presenza di putti sgambettanti e da quella degli angeli, le cui membra, plasticamente aggettanti, sembrano protendersi verso chi guarda. In questi e in numerosissimi altri casi che si potrebbero prendere in esame affrontando il tema in Ticino, siamo di fronte al raffinato lavoro di stuccatori locali, che, di queste raffinate tipologie di decorazione, furono sia gli esecutori che, assai sovente, i mecenati e i finanziatori, a rivendicare un profondo legame verso il paese natio.

Ricostruendo, come la critica ha già ben fatto, le personalità di questi artisti e di queste famiglie di artisti – la plasticazione a stucco si attesta infatti principalmente come una pratica di lavoro di tradizione famigliare – ci si accorge che la loro azione rimase tutt’altro che confinata nel territorio d’origine, e che, anzi, si estese con successo su scala europea.

Ma come e quando ha preso avvio il fortunato connubio tra i ticinesi e lo stucco?

Componente fondamentale della decorazione nella Roma imperiale, lo stucco ebbe un impiego discontinuo sino a tutto il Quattrocento, e fu solo nel XVI secolo che la variante “bianca” di età romana conobbe una vera e propria riscoperta: secondo le fonti, fu nella Roma di inizio Cinquecento, in un contesto culturale in cui tutte le discipline concorrevano al recupero della cultura classica, che un membro dell’entourage di Raffaello, Giovanni da Udine, ritrovò la “ricetta” per ottenere uno stucco dal colore eburneo, malleabile durante la lavorazione ma capace di indurirsi e divenire resistente al punto da simulare il più prezioso marmo. Immediata ne fu la fortuna: composto da materiali poveri e intercambiabili sulla base delle risorse a disposizione, lavorabile in tempi brevi ma con libertà di intervenire e modificare, lo stucco era in grado di conferire un aspetto di grande ricercatezza ed evocare un passato illustre. Divenuta dunque una soluzione irrinunciabile per la buona riuscita dei cantieri decorativi e di quelli architettonici, rappresentò da subito un’occasione per inserirsi nella produzione artistica e acquisire progressivamente ulteriori competenze per scalare le gerarchie lavorative e imprenditoriali. Spesso poi, il sapere tecnico altamente specialistico sotteso a questa pratica garantì a singole personalità, a intere famiglie o a particolari botteghe, vere e proprie forme di monopolio.

È questo il caso degli artisti provenienti dalle terre corrispondenti all’attuale Ticino, come, ad esempio, i Casella di Carona, tra i primi a importare in patria la tecnica dello stucco bianco e, con esso, le soluzioni decorative d’origine toscoromana; gli Stella di Melide, già dal XVI secolo al servizio degli Asburgo a Milano e nel Belvedere di Praga; i Colomba di Arogno, tra i quali si distinse Giovanni Battista (1638-1693), attivo in numerosi cantieri mitteleuropei; i Silva di Morbio Inferiore, Francesco (1560/80-1643), Agostino (1628-1706) e Gianfrancesco (1660-1738), tre generazioni di stuccatori all’opera tra Italia e Svizzera.

Ad un tempo costretti ad emigrare in base alle difficoltà stagionali e dall’altro favoriti da un territorio posto in strettissima relazione, fisica e politica, con la diocesi di Milano, con i Länder di lingua tedesca, con il ducato sabaudo e con l’immenso impero asburgico, le cui propaggini si espandevano sino alla Spagna e all’area morava e boema, i ticinesi individuarono nello stucco un’opportunità di specializzazione, non dissimile a quanto già da secoli aveva rappresentato – per i maestri comacini – l’estrazione e la lavorazione delle pietre.

Imparare un’arte e farla propria, ecco la lezione dei maestri plasticatori ticinesi.


Per approfondimenti su questo tema:

Magistri d’Europa. Eventi, relazioni, strutture della migrazione di artisti e costruttori dai laghi lombardi, atti del convegno (Como 23 – 26 ottobre 1996) a cura di S. Della Torre, T. Mannoni e V. Pracchi, Milano 1998

Decorazione a stucco tra Ticino, Campione d’Italia e Valle d’Intelvi, a cura di E. Agustoni, Lugano 2009

Decorative Plasterwork in Ireland and Europe, a cura di Ch. Casey e C. Lucey, Dublino 2012

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