Migrazioni ambientali e l’umanità in cammino

Sono oltre 272 milioni i migranti internazionali nel mondo, inclusi 26 milioni di rifugiati (ovvero il 7% di tutti i migranti internazionali), secondo i dati forniti dal rapporto ONU 2019 sulle migrazioni internazionali: in rapporto alla popolazione mondiale, i migranti rappresentano il 3,5%. Tra le motivazioni che spingono a lasciare il proprio luogo d’origine, crescono ragioni legate a cause ambientali: terremoti, tsunami e cicloni, ma anche siccità, desertificazione, innalzamento del livello del mare, salinizzazione delle acque dolci, o conflitti causati dal controllo delle risorse naturali.

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) prevede che entro il 2050 saranno 200 milioni le persone costrette ad abbandonare le proprie case e i propri terreni a causa di una catastrofe di natura ambientale. Per mettere il numero in prospettiva, questo significherebbe che nel mondo tra trent’anni una persona su 45 migrerà a causa di cambiamenti climatici. Per quanto questa cifra sia ad oggi oggetto di dibattiti e alcune ricerche abbiano previsto numeri più contenuti (tra 25 milioni a 1 miliardo di migranti ambientali entro il 2050), cresce la consapevolezza che nel futuro le migrazioni diventeranno più frequenti a seguito del cambiamento climatico.

Ma allora, se l’impatto dell’ambiente sui flussi migratorio è sempre più evidente, la figura del migrante ambientale è nuova? Oppure le migrazioni ambientali sono un fenomeno estremamente complesso che va inserito all’interno di un discorso più globale sulle migrazioni? Lo abbiamo chiesto a Paolo Ruspini, politologo ed esperto di migrazioni.

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Dottor Ruspini, i flussi migratori causati dai cambiamenti ambientali e che investono in modo drammatico i Paesi in via di sviluppo costituiscono un fenomeno nuovo?

Il fenomeno dei “migranti climatici”, ovvero di quelle persone o gruppi di persone che, principalmente a causa di cambiamenti improvvisi o graduali dell’ambiente, sono costrette ad abbandonare le loro residenze abituali muovendosi all’interno dei confini nazionali o all’estero, riguarda tutta l’umanità perché le migrazioni − di qualsiasi e diversa natura − sono connaturate alla storia dell’umanità. Posto che le cause che spingono i migranti a migrare sono principalmente legate alla ricerca di migliori opportunità di vita (sia in termini economici sia in chiave di libertà e diritti), e posto anche che questa ricerca tocca in buona parte  le persone dai Paesi svantaggiati verso quelli più affluenti, non dimentichiamoci anche delle emergenze ambientali interne a un Paese o che riguardano intere aree geografiche. Esse non solo possono indurre a migrare, ma da sempre scuotono l’umanità: se dal sud-est asiatico si emigra anche per le frequenti inondazioni e tsunami e nel continente africano per i processi di desertificazione, alla metà del diciannovesimo secolo gli irlandesi emigrarono per sfuggire alla carestia originata dalla peronospora che compromise i raccolti di patate.

Il dramma migratorio riguarda una parte dei migranti che si mettono in cammino. Differisce quindi dal fenomeno migratorio.

Eppure i flussi migratori dai Paesi in via di sviluppo, soprattutto dall’Africa sub-sahariana verso l’Europa, hanno trovato negli ultimi anni molta attenzione mediatica e sono stati oggetto di attacchi nelle campagne condotti dai partiti sovranisti e populisti. Il fenomeno migratorio (anche ambientale) e il dramma migratorio sono eventi separati? 

Sottolineerei anzitutto che il fenomeno della migrazione di per sé non è nuovo e riguarda tutti. Nessuno può chiamarsene fuori. In diverse epoche, qualsiasi Paese è stato interessato dai fenomeni migratori, tanto di emigrazione quanto di immigrazione. Attingere alla memoria storica dovrebbe essere una buona pratica per tutti.  Ugualmente, credo sia necessario trasmettere il sapere sulle migrazioni attraverso l’educazione alla diversità per facilitare il contrasto alla problematizzazione e consentire così di avviare prassi di accoglienza, integrazione, cittadinanza adeguate alla nuova realtà multietnica e alle identità ibride delle comunità transnazionali di migranti. Inoltre a fronte del carattere globale e onnicomprensivo, ma anche multimodale e transnazionale dei flussi migratorio è importante uno sguardo teorico e pratico che comprenda la vasta gamma di azioni, processi e istituzioni che attraversano i confini degli stati o delle comunità nazionali. Per tornare alla domanda specifica – se il fenomeno migratorio e il dramma migratorio siano eventi separati o invece due facce delle stessa medaglia – credo si debba anzitutto evitare la problematizzazione, che riguarda in particolare il collegamento tra migrazione e criminalità. Esiste certamente una strumentalizzazione mediatica di un certo tipo di fenomeno migratorio del quale si enfatizza la dimensione drammatica. Il dramma migratorio è quello al quale assistiamo quotidianamente osservando i tragitti attraverso il Mediterraneo in condizioni sempre più critiche e di sfruttamento. La sofferenza di quanti approdano sulle coste italiane, ad esempio, riguarda una parte dell’umanità in cammino e, nella politica, è oggetto di politicizzazione al punto che viene oscurato il fenomeno migratorio di quanti si muovono in condizioni diverse e non necessariamente drammatiche: si pensi alle migrazioni di persone altamente qualificate che si muovono in contesti particolari. In questo senso, il fenomeno migratorio e il dramma migratorio non sono semplicemente due facce della stessa medaglia.

Il  dramma che riguarda una parte dei migranti che si mettono in cammino viene spesso accentuato a scopi politici per fomentare un malcontento diffuso che non ha per nulla a che fare con i fenomeni migratori. Anche oggi, nel contesto di pandemia da COVID-19 in cui viviamo, ci confrontiamo con accentuate disuguaglianze sociali e economiche che sono dovute a cause strutturali che non devono essere correlate alle migrazioni e agli spostamenti dei migranti.

Paolo Ruspini terrà a breve il corso online “L’umanità in cammino, il cammino dell’umanità: le migrazioni internazionali” organizzato dall’Associazione “Un’Altra storia” con il patrocinio del Comune di Varese e dell’Università degli Studi dell’Insubria. Per informazioni: varese@unaltrastoria.org – +39 338 70 75 200.

Paolo Ruspini presso il Museo Picasso ad Antibes
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