Gli scienziati dell’EPFL in Svizzera e della Scuola Superiore Sant’Anna in Italia stanno sviluppando una tecnologia per non vedenti che bypassa completamente il bulbo oculare e invia messaggi al cervello. Nel team di ricerca, anche l’italiano Diego Ghezzi.
Si stima che la cecità sia una condizione che tocchi 39 millioni di persone nel mondo. Le cause sono molteplici, e mentre alcune forme sono temporanee e possono essere curate, come aiutare chi è affetto da cecità permanente?
Dagli anni ’90 importanti tentativi sono stati fatti per stimolare le cellule della retina; già usate sull’uomo sono le protesi retina, ma solo poche centinaia di pazienti si qualificano per gli impianti della retina per motivi clinici.
Ecco perché la stimolazione intraneurale del nervo ottico è una valida soluzione, riducendo al minimo i criteri di esclusione e garantendo maggior stabilità di risultati, come ci spiega Diego Ghezzi, Medtronic Chair in neuroingegneria del Politecnico di Losanna (EPFL), una delle istituzioni scientifiche e tecnologiche più vivaci e cosmopolite d’Europa.
Allo sviluppo dell’elettrodo, testato con successo nei conigli, si è arrivati dopo anni di ricerca collaborativa, iniziata nel 2015 e condotta da Diego Ghezzi assieme a Silvestro Micera, Bertarelli Chair in Translational Neuroengineering all’EPFL e Professore di Bioelettronica presso la Scuola Superiore Sant’Anna.
Le stimolazioni dell’elettrodo intraneurale – chiamato OpticSELINE – non permettono di restituire la vista ai non-vedenti ma forniscono loro sostanziali informazioni visive tali da garantire autonomia nella mobilità, perché, attraversando il nervo, generano una stimolazione visiva sotto forma di puntini luminosi all’interno del campo visivo e ricostruiscono il contorno di quello che la persona non-vedente ha di fronte, sia questo un tavolo, una sedia o qualsiasi altro oggetto nel suo campo visivo.
E se l’obiettivo a lungo termine è proprio fornire un aiuto visivo per la vita quotidiana, a breve termine – ci spiega il professor Ghezzi – il prossimo passo da compiersi riguarda l’avvio di studi clinici sull’uomo. Solo così sarà possibile elaborare algoritmi che decodifichino in modo preciso quale stimolazione sia adeguata a ciascun paziente e quale intensità sia necessaria.