Olocausto, il dovere della memoria

di Toni Ricciardi

Il 27 gennaio ricorre la «giornata della memoria», comunemente assurta a uno dei momenti più tragici della storia della umanità. Nonostante i fatti e le vicende che portarono allo sterminio di milioni e milioni di persone siano divenute patrimonio di tutti, negli ultimi anni registriamo una crescente difficoltà a ricordare. Da più parti, per pure strumentalizzazioni di sorta, assistiamo ad un latente e strisciante revisionismo storico. Sono quasi 40 anni che si parla di «uso pubblico della storia» e di come la storia venga sempre maggiormente utilizzata quale mero strumento di propaganda politica. In altre parole, si immagina che nel ricorso alle radici, si possa trovare la chiave del malessere delle società contemporanee.

Le frasi ricorrenti sono generalmente “Sì è accaduto, ma non così come si crede” o, peggio, “Sarà anche successo, ma in fondo ci furono anche cose buone”, o peggio ancora, “Si voleva preservare la purezza di una civiltà, di una razza”. Questa banalizzazione, il più delle volte, è frutto di tentativi maldestri e altamente pericolosi volti a riscrivere la storia. Tuttavia, negli ultimi anni, a fianco al doveroso ricordo degli avvenimenti tragici dei campi di concentramento sono cresciute una pubblicistica e una rappresentazione anche cinematografica e televisiva di due momenti connessi all’Olocausto: il prima ed il dopo.

Il prima, rappresentato ad esempio in una serie TV dal successo planetario quale «Babylon Berlin», ispirata ad un romanzo degli anni Sessanta che narra la Berlino prima dell’avvento del nazionalsocialismo. Capire come ci si sia arrivati e perché – al netto della storiografia che ne ha trattato ampiamente –, con un linguaggio alla portata di tutti, probabilmente rappresenta uno degli sforzi massimi e utili a mantenere questa memoria. Capire le ragioni, interpretarle, dare rappresentazione della povertà, della precarietà del tempo, ci aiuta ad attualizzare più che mai questa pagina di storia.

L’altro aspetto, il dopo, ha parimenti avuto tutta una serie di momenti ricostruttivi, a partire dal famoso «Heimat 2» di Edgard Reitz, dove in 13 episodi da 2 ore ognuno si racconta della generazione post conflitto mondiale, dei figli del nazismo, che fanno i conti con il passato dei propri padri. E ancora, le vicende soprattutto della recente storia Argentina, solo per citare il caso più emblematico, fino alla nuova Germania nata dalle ceneri della guerra, così come l’Italia, ha interrogato e continua a farlo con una crescente attenzione di molti storici sulle connessioni tra i vari regimi, focalizzando l’attenzione sui ruoli che molti ex nazisti o fascisti ebbero successivamente nei rispettivi paesi. In Germania ci furono giudici e giuristi nazisti che continuarono ad esserlo anche nel regime democratico, lo stesso accadde in Italia e non solo in questi ambiti. Si pensi ad esempio agli addetti alla pubblica sicurezza, ivi compresa la politica o al corpo diplomatico. D’altronde, la storia è meno netta rispetto a quanto si pensi. Ci sono sempre state continuità quasi inevitabili, se non nei principi, per fortuna, quanto meno nelle persone.

Riconoscere le differenze e accettarle è l’unico antidoto affinché queste atrocità non si ripetano.

Per questa ragione, la «giornata della memoria» sta assumendo sempre più un valore di massima importanza, non solo per non dimenticare di quali atrocità sia capace l’uomo, bensì capire e ricostruire nel dettaglio cosa sia accaduto prima (come e perché si sia arrivati a tanto) e cosa sia accaduto dopo (come e su quali basi siano rinate le democrazie). Questo esercizio, che a prima vista potrebbe sembraci una cosa per addetti ai lavori o per appassionati di storia, in realtà è di vitale importanza, soprattutto in un momento nel quale le paure e le incertezze sono crescenti. Capire a cosa può portare il malessere delle persone, cosa può scatenare l’istinto umano, ci deve riconsegnare una lettura attenta di un principio alla base delle democrazie: il rispetto della persona. Oltre qualsiasi differenza. Riconoscere le differenze, accettarle, in un mondo sempre più eterogeneo e sempre meno certo, è l’unico antidoto affinché queste atrocità non si ripetano.

Perché assaltare un palazzo del governo, come è capitato qualche settimana fa negli Stati Uniti, non rappresenta nessuna novità. I palazzi sono stati assaliti più volte nella storia dell’umanità e ciò ha quasi sempre generato terrore e tragedie più o meno atroci. Per questa ragione, che è una delle tante, e probabilmente nemmeno la più importante, serve ricordare, serve il dovere della memoria.

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