“PROMOZIONE DELL’ITALIANO, UNA PRIORITÀ NAZIONALE”: intervista esclusiva di Isabelle Chassot al Corriere dell’Italianità

di Moreno Bernasconi

Qual è il bilancio del Messaggio cultura 2016-2020 dal punto di vista della promozione del plurilinguismo e quali sono gli obiettivi che si prefigge il Messaggio 2021-24?

Nel Messaggio cultura 2016-2020 avevamo chiesto mezzi supplementari per mettere in atto nuove e incisive misure a favore del plurilinguismo. Vorrei ricordarle brevemente: 1. La promozione delle lingue nazionali nell’insegnamento 2. La promozione degli scambi scolastici in Svizzera 3. La promozione dell’italiano al di fuori del Ticino e dei Grigioni italofoni. Il bilancio che possiamo tirare è positivo, anzi molto positivo. Non è stato facile, ma i risultati sono lì da vedere. Per arrivarci abbiamo dovuto creare – in collaborazione con i Cantoni, con la Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione e l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali- una nuova fondazione per gli scambi linguistici nonché un’agenzia che abbiamo chiamato Movetia, ciò che ci permette di avere una vista d’insieme coerente dell’azione pubblica svizzera in questo campo. È la prima volta che Confederazione e Cantoni si intendono su una strategia nazionale sugli scambi linguistici: alla base di questa strategia comune c’è la visione che ogni giovane di questo Paese deve avere l’opportunità durante la propria scolarità di approfittare di uno scambio linguistico. Le statistiche mostrano un aumento significativo del numero di partecipanti a questi programmi. 

E per l’italiano, qual è il bilancio?

Per quanto riguarda, l’insegnamento dell’italiano abbiamo potuto sostenere numerosi progetti riguardanti la didattica nelle scuole, delle settimane di sensibilizzazione alla lingua e cultura italiana nelle scuole svizzere, dei progetti per i giovani d’Oltralpe (ad esempio “Italiando” e “Italiano subito”), oppure la maturità bilingue con l’italiano: tutti progetti che hanno avuto un ottimo riscontro. La maturità bilingue ha per me un’importanza particolare poiché riguarda giovani destinati ad entrare nelle università e rappresenta un sostegno concreto alle cattedre di italianistica delle università svizzere. Su questo punto Vaud e Berna si sono coinvolte in modo particolare. Altri Cantoni spero lo faranno in futuro sulla base di questi esempi concludenti, e magari anche nell’ottica più ampia ancora di maturità plurilingui comprendenti anche l’italiano. Nei prossimi anni proseguiremo su questa via, consapevoli che nel Messaggio 2020-24 ci sono stati garantiti i mezzi finanziari per farlo. Per la lingua e cultura italiana abbiamo a disposizione 800.000 franchi. Abbiamo aperto un concorso affinché i progetti più interessanti possano essere realizzati. 

Per lungo tempo il sostegno alle lingue minoritarie è stato concepito a partire dal principio di territorialità e quindi attuato soprattutto nelle loro storiche regioni territoriali. Non è giunto il momento di cambiare prospettiva considerando l’insieme del territorio elvetico visto che l’italiano – ad esempio – risulta ormai parlato in maggioranza fuori dai confini della Svizzera italiana ed è capito da un numero molto rilevante di Svizzeri? 

È questa la nostra visione e il nostro approccio. Il sostegno si indirizza in modo particolare alle lingue minoritarie fuori dai cantoni dove sono lingua maggioritaria o componente linguistica storica (quindi il Ticino e i Grigioni). Questo approccio si basa sui risultati del Rapporto del Centro per la Democrazia di Aarau, realizzato su nostra richiesta a seguito di un postulato della Consigliera nazionale Silva Semadeni. Il rapporto ha confermato e precisato che esiste una differenza fondamentale fra la situazione del romancio e dell’italiano in Svizzera, di cui occorre tener conto nella risposta. Il romancio è minacciato di scomparsa non solo per motivi demografici ma anche a causa del processo di accelerazione delle fusioni fra comuni. L’italiano è invece confrontato come altre lingue al fenomeno della globalizzazione ma non è in pericolo. È una lingua europea forte e in Svizzera è una lingua nazionale molto presente sull’insieme del territorio nazionale, anche in conseguenza della forte immigrazione italiana soprattutto negli anni sessanta e settanta. Per l’italiano non si tratta di proteggerlo ma di promuoverlo in quanto lingua nazionale: occorre far sí che  venga riconosciuto come lingua nazionale a tutti gli effetti anche nel discorso politico nazionale, nella composizione e l’attività dell’Amministrazione federale e nell’insegnamento dei diversi cantoni svizzeri dove si trova in concorrenza con altre lingue. Ma l’inglese o lo spagnolo non sono lingue nazionali e quindi occorre che lo statuto di lingua nazionale svizzera venga riconosciuto pienamente all’italiano dalla popolazione svizzera, come elemento essenziale dell’unità nella diversità su cui poggia il nostro Paese federalista. Posso assicurarle che l’Ufficio federale della cultura continuerà ad agire in modo incisivo affinché ciò accada, puntando il particolare sull’insegnamento dell’italiano in Svizzera. 

Concretamente?

Un primo obiettivo è sostenere l’insegnamento dell’italiano non solo nelle scuole di livello medio superiore bensì anche nel medio inferiore: questo obiettivo è chiaramente indicato nel Messaggio sulla Cultura e diversi Cantoni si sono già dichiarati interessati. Il fatto che la lingua italiana sia molto presente sull’insieme del territorio elvetico favorisce questo passo che noi proponiamo alle scuole e che anche il Concordato Harmos dovrebbe poter recepire. 

Di quali mezzi disponete per incoraggiare i Cantoni a fare questo passo?

In un quadro federalista dato, che ha i suoi vincoli, per l’Ufficio federale della cultura si tratta di offrire un’incitazione positiva concreta. I programmi scolastici non sono di competenza dell’UFC, ma qualora un Cantone non rispettasse le norme legislative, la Confederazione ha facoltà di intervenire – e l’ha dimostrato in passato anche e proprio nell’insegnamento delle lingue minoritarie -. Finora mi pare che si sia potuto trovare un equilibrio fra Cantoni e Confederazione, anche perché le nostre proposte vengono sempre discusse preliminarmente. E perché i mezzi finanziari stanziati dalla Confederazione vengono considerati dai Cantoni come una garanzia di qualità delle proposte che facciamo. E a dire il vero non solo dai Cantoni: anche le Fondazioni si mettono spesso a disposizione in un partenariato pubblico-privato per sostenere molti progetti, ciò che va a vantaggio dei progetti stessi. 

A suo avviso è auspicabile un cambiamento di paradigma nella politica linguistica svizzera: dal principio difensivo di territorialità a quello propositivo di libertà delle lingue?

Per quanto riguarda il romancio il principio di territorialità è vitale. Se sparisce dal suo territorio storico, il romancio perde la sua legittimità. E comunque, in un Paese federalista e plurilingue come la Svizzera, il principio di territorialità resta importante: per essere riconosciuta come nazionale, una lingua deve avere un territorio. Ma per la sua vitalità e importanza nazionale, una lingua ha bisogno anche di essere parlata a livello nazionale fuori dai suoi territori storici. Per questa ragione oggi percepiamo in Svizzera un’apertura nei confronti del principio della libertà delle lingue che alcuni decenni fa non c’era. Ci si rende conto che la presenza delle lingue dipende dalla mobilità della popolazione, dall’estensione delle cosiddette “zone funzionali’ (si vive in un cantone e si lavora in un altro). I due principi non vanno opposti: sono complementari. Tengo a sottolineare che la mobilità non porta con sé solo una lingua ma anche la cultura che essa esprime: un’espressione del modo di pensare il mondo e di pensare la Svizzera e di viverla. Queste diversità presenti sull’insieme del territorio elvetico e non solo in territori omogenei regionali, sono una ricchezza e un’opportunità di scambio di cui abbiamo bisogno per suscitare il rispetto necessario e la valorizzazione delle diverse componenti culturali di cui consta il nostro Paese. Proprio perché le cose stanno così, dal punto di vista finanziario l’importo previsto per il sostegno dell’italiano nella Svizzera italiana resta, ma ad esso vengono ad aggiungersi fondi che la Confederazione destina specificamente alla promozione della lingua al di fuori della Svizzera italiana. E questo compito di promozione di una lingua minoritaria fuori dal proprio cantone di riferimento non può essere accollato principalmente ai Cantoni stessi: spetta alla Confederazione farlo. 

Il Parlamento, nel quadro del Decreto sul nuovo programma di legislatura, ha approvato recentemente una proposta Juillard che chiede un vasto piano d’azione per le lingue d’origine. Come valuta questa decisione del Parlamento che esprime una forte volontà politica nel campo della promozione del plurilinguismo e quali saranno le conseguenze?

Ho visto la proposta del Consigliere agli Stati giurassiano Julliard approvata dal plenum delle due Camere che chiede un vasto piano d’azione in questo campo. La mia prima reazione è che molto di ciò che si chiede è già in corso e che occorre comunicarlo. La promozione delle lingue e culture d’origine figurano già nella legge sulle lingue e con i Cantoni abbiamo già sostenuto una trentina di progetti particolarmente innovativi che vanno in questa direzione. Detto ciò, trovo interessante che la proposta venga avanzata dal Consiglio degli Stati, su un tema dove i cantoni sono particolarmente sensibili. Il piano d’azione richiesto offrirà l’occasine di meglio comunicare le nostre priorità mettendo l’accento sulla coerenza necessaria delle iniziative che coinvolgono Confederazione e Cantoni, col sostegno degli enti nazionali della ricerca. 

Come giudica l’importanza di avere dei media in lingua italiana per la promozione del plurilinguismo svizzero, non solo nella Svizzera italiana ma anche fuori da essa, a livello nazionale? Ed esistono dei mezzi per sostenerli anche finanziariamente in forza di questo compito a livello federale, analogamente a quanto si fa ad esempio per la RSI o l’Agenzia telegrafica svizzera?

Per rispondere alla sua domanda e indicare la direzione nella quale la Confederazione si sta muovendo, mi preme anzitutto dirle cosa abbiamo fatto per il romancio. Il quotidiano in lingua romancia esistente era da tempo in grande difficoltà e occorreva trovare strumenti aggiuntivi di sostegno. Era evidente che per garantire il sostegno alla lingua romancia c’era bisogno anche del sostegno alla stampa, perché una lingua non deve essere solo parlata, ma anche scritta e letta. Se si vuole che una lingua sia davvero utilizzata e diventi fattore di coesione per l’insieme del territorio nazionale, la stampa scritta (nella sua forma cartacea e/o digitale) è essenziale. Insieme al Cantone Grigioni abbiamo quindi creato una “Fundaziun medias rumantchas” che permette di rafforzare il quotidiano anche nella sua edizione online, pur senza essere un doppione rispetto all’offerta della Televisione svizzera in lingua romancia RTR; anzi creando con la SSR una efficace collaborazione. Si trattava di continuare a garantire la presenza di un giornale cartaceo ma anche evolvendo in direzione di un giornale online di qualità.

Sarebbe opportuno e possibile fare la medesima cosa per l’italiano? I due quotidiani pubblicati oggi in Ticino sono concepiti essenzialmente come giornali della Svizzera italiana.

Abbiamo cominciato col sostenere il corrispondente di Keystone ATS a Coira che copre gli eventi delle vallate italofone dei Grigioni. La situazione della stampa scritta nella Svizzera italiana è difficile finanziariamente ma per il momento esiste ancora un’offerta diversificata e un mercato editoriale. Se la situazione peggiorasse ulteriormente e i giornali italofoni fossero addirittura minacciati nella loro sopravvivenza si porrebbe la questione politica di un sostegno diretto alla stampa. Torno a ribadire tuttavia che il modello della fondazione messo in atto per la stampa romancia ha fatto le sue prove con risultati positivi: magari potrebbe servire per immaginare qualcosa di simile anche per l’italiano, segnatamente per una stampa che si orienta specificamente all’italofonia a livello nazionale. Non escludo la possibilità che altri progetti giornalistici nazionali che garantiscono la diversità culturale del Paese possano essere sostenuti dall’Ufficio della cultura. Siamo molto attenti a tutte le iniziative di portata nazionale riguardanti un’informazione di qualità che permettano agli abitanti di questo paese di capire la realtà culturale variata nella quale vivono. Se l’italofonia in Svizzera rappresenta il 10% circa del paesaggio linguistico nazionale, bisogna che gli italofoni ovunque residenti nel nostro Paese possano fruire di un’informazione non solo audiovisiva ma anche scritta nella loro lingua.

L’istituto del plurilinguismo di Fribourg – con cui l’Ufficio federale della cultura ha un contratto di prestazioni – tiene conto sufficientemente nei suoi programmi di ricerca dell’importanza economica e socio-culturale dell’italianità in Svizzera?

Certamente. Stiamo attualmente preparando il terzo programma di ricerca pluriennale dell’Istituto. I due primi contenevano progetti riguardanti specificamente l’italiano come quello sull’italiano nell’amministrazione federale, l’evoluzione della presenza italiana in Svizzera e domande sono state fatte per continuare in questa direzione. Le domande sono state esaminate anche in collaborazione con l’Ufficio federale di statistica che fornisce dati recenti, che potrebbero essere utilizzati, sui rapporti fra l’economia e la lingua italiana. Nel programma in preparazione, l’Istituto prevede di studiare le questioni economiche del plurilinguismo: non si tratta di una semplice attualizzazione di informazioni e dati statistici ma di una vera nuova ricerca che porta anche sulla lingua italiana. Uno studio riguardante gli aspetti sociologici e culturali potrebbe aggiungersi in una seconda tappa. Abbiamo peraltro considerato l’italiano in altri progetti: in particolare quello sull’italiano come lingua di insegnamento e sulla  didattica dell’italiano. Non tutti i fondi a disposizione sono stati inoltre attribuiti e potranno essere allocati anche nell’ambito del piano d’azione per le lingue d’origine accettato dal Parlamento. 

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