Quale equilibrio per una buona vita?

Che cosa hanno da dire oggi le religioni su Europa, giustizia, legge e potere? 
Ne parliamo con Claudio Paravati, Direttore della rivista e centro studi “Confronti”

Viviamo in un’epoca in cui una moltitudine di religioni e visioni del mondo si incontrano. È ampiamente riconosciuto che nell’era di crescente globalizzazione l’importanza di questa diversità in ambito individuale, sociale e soprattutto politico non può più essere ignorata.

Concettualizzare religioni e visioni del mondo in ambito politico è utile oggi al fine di costruire la realtà sociale, ossia quali ‘occhiali’ indossare sul mondo?

“Quel che trovo significativo – dice Paravati – per una società aperta è che la libertà di credere e di non credere sia pienamente dispiegata. Questa è la sfida che ancora l’Europa ha di fronte. Certo le religioni hanno spesso riferimenti valoriali quali la ‘cura’, l’unità, la fratellanza, che possono certamente influire positivamente anche sul discorso politico e sociale. Tuttavia non è qui, a mio parere, il punto: perché le religioni possono anche, al contempo, contenere spinte talvolta non perfettamente coincidenti con quelle della società nel suo complesso. La forza della politica che cura la libertà è proprio questa: permettere il libero esercizio e l’autonomia del credere e del non credere, o del credere diversamente, in un quadro ben preciso, solido, di libertà e democrazia. Questo è quello che “indirettamente” dice il variegato fenomeno religioso all’Europa di oggi: che deve essere giusta, libera, democratica, se vuol far vivere la pluralità.”

Torna in mente John Stuart Mill, filosofo politico nato ad inizio Ottocento e la sua appassionata ricerca delle condizioni che possono consentire agli individui e alle collettività di condurre una vita migliore grazie a un esercizio ragionevole delle facoltà umane. Con un approccio laico alla morale, Mill si pose contro l’oppressione spirituale e materiale, a favore della libertà intellettuale, della democrazia, dell’emancipazione delle masse lavoratrici e, anche, della liberazione delle donne dalla loro soggezione. Tra i suoi scritti, leggiamo “La sola libertà che meriti questo nome è quella di perseguire il nostro bene a modo nostro, purché non cerchiamo di privare gli altri del loro o li ostacoliamo nella loro ricerca”.

Claudio Paravati, può il liberalismo politico di John Stuart Mill essere riadattato dal punto di vista stilistico ai bisogni del Ventunesimo secolo, ai giorni nostri che vedono un crescente dibattito sulla libertà religiosa e la tensione tra libertà religiosa – privilegio di cui si deve godere in privato – e la società della tecnologia informatica moderna?

“La rivoluzione dell’Infosfera, come ci ha insegnato a chiamarla il filosofo Luciano Floridi, non mette in tensione solo le religioni. Mette in un nuovo sistema tutti i segmenti della vita pre-rivoluzione digitale. Hannah Arendt ha descritto più di cinquant’anni fa lo scivolamento delle categorie del pubblico e del privato in quella del ‘sociale’, che entrambe, per così dire, supera. Prefigurava, senza poterlo sapere allora, l’attuale era della vita “social”. Ora, nel rinnovato quadro delle tecnologie dell’informazione e dell’innovazione, tutti gli aspetti della nostra vita (‘Onlife’), dal focolare domestico passando per il nostro quotidiano sociale; dallo spazio pubblico a quello politico, e finanche religioso, sono interessati da forti e, forse, strutturali cambiamenti. Trovare il nuovo equilibrio per trasformare questi cambiamenti in una ‘buona vita’, come voleva Aristotele, è uno dei compiti più urgenti dei nostri tempi: comunicazione, sostenibilità (anche ambientale), giustizia e lotta alle disuguaglianze. Per tutto ciò il liberalismo politico di matrice anglosassone, e in particolare il pensiero di John Stuart Mill, rimangono dal mio punto di vista la ricetta da cui partire ancora oggi.”

Sempre più spesso il tema dell’alterità (dei migranti, ma ad esempio anche quella delle generazioni future) ci tocca da vicino. Profondamente. E arrivando a trasmetterci un senso di incancellabile provvisorietà, ma anche paura, incomprensione e perfino fastidio. Quanto possono le società moderne concepire delle strategie per rispondere all’Altro nello spirito dell’ospitalità senza distruggere le fondamenta di una società ordinata? 

“Le società – secondo Paravati – possono ordinarsi in vari modi. La tradizione democratica europea ha cercato e trovato, passando per il sangue e le brutalità vissute e inflitte, un equilibrio, per quanto precario, che rispondesse all’esigenza di un ordine sociale da una parte, senza per questo far pagare troppo il prezzo alle libertà individuali dall’altra. Ed è il risultato delle democrazie per come le conosciamo oggi. Diritti umani, sociali, politici, sono il ‘credo’ delle nostre società. Questo per dire che proprio negando i principi in cui si “crede” si rischia di ‘distruggere le fondamenta’. Le nostre società devono invece tornare a fare politica, questo sì; il che significa anche trovare soluzioni, con tutta la fatica necessaria, ai fenomeni delle migrazioni nel mondo. Ma certamente la soluzione non è, appunto, dimenticare chi si è e tradire se stessi: l’Europa ha imparato a caro prezzo, e ha fatto pagare al resto del mondo a caro prezzo, cosa voglia dire immaginare un ‘ordine’ sociale uccidendo, letteralmente, tutto ciò che non era ritenuto “ordinato”, o “ordinabile”. Non ci sono altre vie, ve ne sono due. Quella dell’ordine liberticida, e quella dell’ordine delle libertà. Se si sceglie la vita, in tutta la sua pluralità, bisogna tornare – questo sì! – a fare una politica all’altezza dei tempi. Una politica europea, orientata, cooperante. Una politica per la vita.”

 


Claudio Paravati è Direttore della rivista mensile “Confronti”, mensile di religioni, politica, società, nata dall’eredità di due riviste, “Com” e “Nuovi Tempi”, che erano espressione di due comunità: quella dei cattolici di base, guidati da Don Franzoni, e quella dei protestanti italiani, valdesi e metodisti. Con un progetto visionario per l’epoca le due riviste si unirono dapprima in “Com Nuovi Tempi”, e poi, nel 1989, in “Confronti”. Il cambio nome segnava la necessità di dare nuova spinta progettuale, di meglio rispondere ai tempi che andavano cambiando. Da allora e fino a oggi la testata “Confronti” è usata come ispirazione per la linea editoriale, progettuale, e scientifica. Nel maggio 2015 è stato fondato il Centro Studi Confronti (CSC), dedicato alle attività di ricerca scientifica su tematiche interreligiose e interculturali http://www.confronti.net.

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