Quando un giovane di origini calabresi era alla guida della Nazionale Svizzera di Ginnastica Artistica

INTERVISTA A CARLO SIMONELLI

Carlo Simonelli, scrittore italo-svizzero, cresciuto in Calabria, Italia, ma trapiantato in Svizzera dagli anni ’90, oggi insegna Italiano ed Educazione Fisica sia alla Scuola Media che al Liceo nel Cantone di Berna. Prima della carriera nel mondo scolastico, però, Simonelli è stato anche atleta, a livello agonistico, in varie specialità di atletica leggera e allenatore della Nazionale Svizzera di Ginnastica Artistica. Valeria Camia ha potuto chiacchierare con Simonelli, in quest’intervista che riportiamo.

Carlo, come ti sei avvicinato allo sport?

Fin da piccolo, “mi muovevo”, non riuscivo a stare fermo un momento, era qualcosa di naturale. Lo facevo ovunque, eccetto che in ambito scolastico… Nella scuola elementare che frequentavo non c’era la possibilità di fare sport e, più tardi, nella scuola media la palestra era inagibile. Anche in termini di attività fisica, nel mio paese, la scelta era molto limitata: si giocava a pallavolo e soprattutto a calcio. Io scelsi il primo sport. Riuscii anche ad ottenere buoni risultati, arrivando a giocare in serie C1. Mi davo da fare, e il mio impegno non era solo nell’allenamento sportivo, ma anche quello richiesto nello scontrarmi con la società in cui crescevo. Nella mia terra, fare sport era considerato un divertimento e contemporaneamente una perdita di tempo. Questi giudizi sull’attività sportiva, e su chi la svolgeva, si fecero sentire ancora di più nel momento in cui mi avvicinai all’atletica leggera. Ricordo che quando tornavo a casa dopo la scuola e andavo a correre, lo facevo di nascosto per evitare che la gente del luogo mi vedesse e mi deridesse, cosa che capitava spesso, o, peggio, chiedesse ai miei se avessi tutte le rotelle a posto. 

La prima volta che vidi una pista di atletica fu a 18 anni; infatti, fu all’università che provai a fare seriamente atletica e mi piacque subito moltissimo, tanto da rimanerne affascinato. Tuttavia, i miei genitori incalzati dalla gente mi chiedevano in continuazione come mai perdessi tempo a correre invece di fare qualcosa di utile…

Che tipo di specialità atletica facevi e perché l’hai scelta?

Inizialmente, il mio allenatore mi mise a correre i 10’000 metri, ma io sapevo che non era la mia specialità. Così, dopo alcune competizioni, riuscii a convincerlo a farmi gareggiare negli 800 metri e nei 400 ostacoli. Queste specialità mi affascinavano e nelle gare che guardavo in televisione gli atleti mi ricordavano gli eroi dell’antica Grecia. Correre proprio queste distanze mi dava l’impressione, più che nelle altre specialità, di riuscire a sfidare me stesso, i miei limiti. Davanti all’ultimo rettilineo prima dell’arrivo o al passaggio degli ultimi ostacoli, quando non ci si rendeva più conto a quale altezza fossero le gambe, la sensazione di avercela quasi fatta era liberatoria. Diversamente dagli sport di gruppo, dove l’allenamento è anche divertente, nell’atletica allenarsi richiede tanti sacrifici, forza di volontà e poco piacere. È uno sport solitario e di sofferenza, ma anche uno sport che permette al corridore di confrontarsi con se stesso e con la propria solitudine. Il piacere intrinseco di questa attività trova il suo senso quasi completamente nella prestazione sportiva. Ho sempre pensato, e lo credo ancora, che le soddisfazioni maggiori nel correre siano legate proprio alla sensazione di aver dato tutto, indipendentemente dal risultato e dal tempo ottenuto, una sorta di pace interiore.

Quindi i ricordi belli della tua carriera agonistica includono anche tempi non da podio ma in gare che hanno rappresentato una sfida?

Sì, certo. Ad esempio, ricordo con nostalgia e orgoglio la mia prima gara negli 800m, contro atleti di livello internazionale, dove io gareggiavo solo per numero. Arrivai quarto, primo degli italiani. Medaglia di legno. Ma la memoria della mia partecipazione a quell’evento sportivo ancora oggi mi emoziona e il ricordo di quel tentativo di oltrepassare i miei limiti è ancora molto forte.

Dopo la sua carriera da atleta a livello agonistico, lei è stato anche allenatore della nazionale svizzera di ginnastica artistica. Che tipo di allenatore è stato?

Se da atleta dovevo pensare a me stesso, da allenatore ho dovuto adottare una visione più ampia. Allenando a livello della nazionale, il risultato era certamente importante. Tuttavia, anche ai miei atleti ho cercato di veicolare due messaggi, che per me sono sempre stati delle massime importati: il primo è che un vero vincente deve saper perdere, è la cosa che gli capiterà più di frequente, perché in atletica leggera uno vince e tutti gli altri perdono, al contrario degli sport di squadra in cui vince una metà degli atleti che gareggiano; e il secondo è che ogni prestazione sportiva, per quanto eccellente, vada comunque relativizzata. Guardo con preoccupazione il fanatismo sportivo e sia da atleta sia da allenatore ritengo importante tener a mente che anche chi fa un record sportivo in una certa disciplina è bravo (o bravissimo), ma in un solo ambito. Qual è nel complesso il contributo che ognuno può dare alla società per mezzo della sua prestazione?

Quanto di questa sensibilità la accompagna oggi, in qualità di docente?

Tanta! Come insegnante, cerco di non perdere mai di vista la dimensione pedagogica per la quale il risultato sportivo non è primario, ma lo è invece l’apprendimento utile a se stessi e alla società in cui viviamo. Quando insegno, cerco di tenere sempre presente qual è lo scopo di ciò che faccio, che cosa può apprendere il mio studente da un certo esercizio, dalla lettura di un libro o di una poesia?

Un invito a concentrarci quindi anche sulle soddisfazioni più piccole?

Esatto. Tra l’altro proprio l’importanza delle cose piccole è il filo conduttore del libro al quale sto lavorando in questo momento. Il tema che sto cercando di approfondire è proprio quello che la felicità è alla portata di ognuno. Bisogna solo imparare ad allungare la mano per riuscire ad afferrarla. Una cosa facile. Tuttavia, pochissimi ci riescono.

Carlo Simonelli è stato dal 1986 al 1990 giocatore di pallavolo a livello agonistico e dal 1988 al 1994 ha partecipato a diversi campionati nazionali e internazionali di atletica leggera, conseguendo risultati da podio nei campionati regionali assoluti negli 800 metri, nei 400 metri ad ostacoli. Si è anche distinto in campo internazionale in diverse discipline (400hs, 800m, staffetta 4×400). Nel 1998 Simonelli è nominato prima allenatore e poi direttore dello Sport di Élite da parte della Federazione Svizzera di Aerobica. Viene anche chiamato a far parte della Commissione Europea di Aerobica Sportiva in qualità di esperto europeo di Fitness e anche di traduttore. La commissione è istituita dalla UEG (Unione Europea di Ginnastica), che è la sezione continentale della FIG (Federazione internazionale di Ginnastica). Nel 2003 Carlo Simonelli decide di ritirarsi dagli impegni sportivi per dedicarsi alla famiglia e all’attività di insegnamento. Ha scritto vari romanzi, l’ultimo in ordine cronologico è Permani (Pellegrini Editore) pubblicato nel 2018.

Prestazioni sportive rilevanti: 

Campionati Italiani 1989 e 1990 (migliore prestazione 11°); Campionati Regionali Calabresi dal 1989 al 1991 (migliore prestazione: Campione Regionale Juniores 800m e assoluto 400hs).; Campionati Italiani Militari 1994, (migliore prestazione 4°); Diversi Meeting nazionali e internazionali; 800m, migliore prestazione 1’51’’10 (Rieti, 1994); 400hs, migliore prestazione 52’’20 (Viterbo 1994); Salto in lungo 6,93m (Santa Marinella, 1994); 10’000 (unica gara disputata) 34’ (Reggio Calabria, 1989)

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