Quest’anno lo stilista Pierre Cardin avrebbe compiuto cent’anni

A Venezia si è tenuta una straordinaria sfilata per celebrare quello che sarebbe stato il centesimo compleanno di Pierre Cardin (all’anagrafe Pietro Costante Cardin).

Lo conobbi nei lontanissimi anni 50. Ecco come lo ricordo.

“Alto, sottile, d’aspetto fragile, il viso contemporaneamente giovane e scavato, la bocca sottile e sensuale, il naso diritto, palpitante tra gli occhi color grigio verde talvolta angosciati, Pierre Cardin porta basette e capelli piuttosto folti, la voce dolce, appena velata, è stranamente attraente…”. Così lo descrisse -alla perfezione! – Gisele d’Assailly nel suo libro “Le quindicesime rivoluzioni della moda”, nel quale -proprio alla quindicesima rivoluzione -viene indicato Pierre Cardin, attribuendogli la paternità -che risale al 1961- delle gonne che scoprono il ginocchio, dell’idea di uno stile “mou”.

Ma il “falco solitario”, il “poeta del panneggio”, “il bardo del biais” (ovvero dello sbieco), il creatore del “fluido architettonico” -così come ebbero a definirlo anche Irene Brin e Mila Contini- non solo diventò un grande mecenate dell’arte salvando, facendo restaurare e riaprire il Théâtre des Ambassadeurs e creando l’Espace (teatro, spazio per mostre e sfilate) e ridando vita a “Chez Maxim’s, ma portò il suo estro e il suo stile in tutti i campi nei quali si può “creare disegnando”.

Quindi, oltre agli abiti dell’alta moda e del pret-à-porter femminile e maschile, agli accessori e ai profumi, ecco arrivare con la sua firma gli oggetti “environnement” provenienti dalle tremila fabbriche che “lavoravano” nel mondo le sue idee, realizzate nella più svariata oggettistica e in “coordinati” per la casa (lenzuola, tovaglie ed asciugamani “personalizzati”). È quasi d’obbligo, quindi, ricordare il personaggio Cardin, ovvero il “Piereto” Cardin, nato in provincia di Treviso, che, cominciando con l’aiutare la sorellina nel tagliare e cucire gli abiti per le bambole, divenne poi uno dei “grandi” nel mondo della moda.

Quando lo incontrai la prima volta, a Milano, in casa di amici comuni, a un ricevimento in suo onore, era vestito di grigio – colore che talvolta alternava a toni scuri- con impeccabile gilet e camicia bianca, anche se avrebbe creato per gli uomini i completi più originali ed avveniristici (ed erano i tempi in cui si parlava della sua amicizia con Jeanne Moreau!). Notai subito quella particolare amabilità e gentilezza tipiche dei veneziani e dei trevigiani, oltre al famoso “sguardo magnetico grigio-verde”. Indubbiamente, era -come poi dimostrò- attaccatissimo alla sua terra: di tanto in tanto lasciava Rue de la Paix per recarsi -in incognito! – al suo paese natale.

Grazie a Silvana Bernasconi, sua grande amica (Silvana riconobbe fra i primi il suo grande talento, e lo fece conoscere in Italia), e ad un altro amico comune (Chino Bert), lo intervistai: cosa che nei decenni seguenti mi fu sempre facile.

“Sì -mi disse- provengo da una famiglia di modeste condizioni e, giovanissimo (ero ancora Pietro) venni attratto dall’architettura, ma la guerra interruppe i miei studi. Eccomi quindi, a guerra terminata, a Parigi, dove conobbi Cocteau e Bebè (Christian Berard). Mi chiesero di lavorare con Marcel Escoffier per i costumi di ‘La bella e la bestia’. Feci anche la controfigura nella prova di alcuni costumi di Jean Marais ne ‘L’aquila a due teste’: un’esperienza interessantissima”.

“Hai cominciato dai costumi, dunque, per arrivare all’abbigliamento quotidiano”, gli dissi.
“La mia vocazione ‘esplose’: lavorai da Paquin, poi dalla Schiaparelli, e quando Christian Dior aprì la sua casa di moda all’angolo di Rue François 1 con Avenue Montaigne, mi scelse per preparare la sua collezione “new look”! Sei anni dopo lasciai Dior e mi stabilii in due mansarde, in rue Richepanse. A quel tempo creavo soltanto tailleur, mantelli e costumi; per il ballo del Conte di Beaumont vestii lo stesso Dior: da leone! Nel 1956 arrivai in Faubourg Saint Honoré. Erano i tempi d’oro della moda parigina, quella che veniva chiamata “la strada più frivola del mondo” godeva il suo periodo di maggior fulgore; qui aprii una boutique di accessori per uomo, che divisi prestissimo in due reparti (‘Adam’ et ‘Eve’), per presentare anche qualche ‘frivolezza’ femminile”, mi rispose.

Nel 1957 -ricordo- Cardin riscoprì il “flou” con gli abiti “ballon”, di mussola, ispirati da un suo viaggio in Giappone. Si diceva che sarebbero stati apprezzati soltanto da Stefano Mallarmé, primo critico di moda veramente erudito, invece, nei suoi saloni -dove predominano il color mostarda ed i toni più caldi del verde- accorsero a frotte clienti e nuovi compratori, che si contesero i posti sulle famose seggioline dorate.

Nel 1963 un fabbricante di pret-à-porter di Orleans, monsieur Brill, gli chiese di creare una collezione “junior”: un trionfo! Lo stivale, il giubbotto, la tuta, la chiusura lampo, gli occhialoni, i berretti, il tono 2000 (con lo “stile spaziale”: rigido, netto) riscuotono un immediato successo in campo internazionale. Cardin possiede boutique un po’ ovunque; si dedica all’arte anche come produttore di spettacoli d’avanguardia, di film, di dischi. E riesce a far sfilare i suoi modelli in un “tempio” qual è l’Olimpico di Vicenza e -per la prima volta nella storia- alla “Staatsoper” di Vienna.

“La moda non deve invecchiare” mi disse, ribadendo: “Io desidero vestire tutti -uomini e donne, d’ogni età e d’ogni ceto- perciò creo modelli non soltanto per l’alta moda, ma anche per la boutique e la confezione, adatti non soltanto alle donne delle grandi città, ma anche a quelle della provincia. Le mie creazioni devono colpire chiunque, entrando in una mia boutique si deve uscirne vestiti “di nuovo”, irreprensibilmente. Io -aggiunse- disegno per la gente d’ogni Paese che lavora, che “vive” adeguando l’abbigliamento ai tempi dei quali deve essere anche l’espressione, lanciando modelli assolutamente sganciati dal passato, proiettati in orbita con mille suggestioni, adattando ogni mia creazione alle diverse necessità di chi può trovarsi a Londra come a Tokyo, a Roma come a Calcutta, a New York come a Città del Capo, a Mosca come ad Acapulco”.

Cardin è conosciuto ovunque. Non soltanto grazie all’abbigliamento ma pure grazie ad accessori, gioielli, occhiali dalla linea “supersonica”, oggetti per la casa. Partito dall’ago (o meglio, dalla matita), è arrivato alla grande industria. Nel settembre del 1973 ricevette al Teatro Olimpico di Vicenza il premio “Basilica Palladiana”. Alla fine – in elegante, tradizionale abito blu- ringraziò: in italiano, naturalmente. Chissà perché in quel momento (ero presente!), ritrovai in lui più che l’uomo di successo, più che il famoso Pierre Cardin di Parigi, Piereto Cardin: il ragazzetto della provincia di Treviso, che sarebbe diventato celebre, conquistando -come lui stesso riconobbe- tutto quanto poteva desiderare.

Ciao, Pierre! Come indubbiamente stai vedendo, tutti ti ricordano. Con ammirazione, stima e anche rimpianto.

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