Rileggere il lavoro di Lijphart per capire l’Italia

Per quanto riguarda la distribuzione del potere politico: il mondo delle democrazie (occidentali) è diviso tra democrazia del consenso e democrazie maggioritarie. Questa tipologia dei sistemi democratici venne proposta Arend Lijphart (1999) ed è costituito uno dei maggiori contributi alle scienze politiche comparative negli ultimi decenni. Nella sua analisi comparata di 36 democrazie nel mondo occidentale, Lijphart identifica ‘pattern’, caratteristiche ricorrenti, che permettono di attribuire ciascun caso da lui considerato come un esempio di democrazia maggioritaria o democrazia consensuale.

La prima tipologia democratica, maggioritaria, è caratterizzata da un governo monopartitico, il predominio dell’esecutivo sul sistema legislativo, un sistema elettorale pluralistico o maggioritario, una struttura statale unitaria, un sistema unicamerale e una banca centrale che dipende dall’esecutivo. In questo tipo di democrazia la concentrazione del potere è il principio fondamentale.

Al contrario, la democrazia consensuale favorisce la diffusione del potere (condivisione del potere) attraverso un governo multipartitico, l’equilibrio dei poteri tra esecutivo e legislativo, il sistema elettorale delle pubbliche relazioni, una struttura federale, una banca centrale autonoma. La democrazia del consenso, dividendo il potere, crea controlli ed equilibri contro la maggioranza e contro l’autorità dello stato esecutivo. I poteri del governo e della maggioranza parlamentare sono limitati anche perché essa facilita la possibilità di partecipazione alla politica delle minoranze.

La Nuova Zelanda prima del 1993 viene presentata da Lijphart come il caso paradigmatico di un sistema maggioritario, mentre la Svizzera e il Belgio sono i principali esempi di sistemi di consenso.

La differenziazione di Lijphart è (ancora) oggetto di accesi dibattiti che hanno messo in discussione l’utilità della tipologia del consenso e dei sistemi maggioritari. Utile per classificare le democrazie consolidate e analizzare gli effetti di diversi modelli di democrazia sulle prestazioni del sistema politico, le tipologie di Lijphart sono incapaci di spiegare cambiamenti che si discostano dal modello. Principalmente il limite del lavoro di Lijphart risiede nell’incapacità di dar conto dell’intricata connessione tra cultura e istituzioni, che sono integrate nelle tipologie proposte dal politologo.

Nella sua critica al lavoro di Lijphart, Bormann rivela tutta la problematicità nella la prescrizione di istituzioni politiche a paesi indipendemente dalla loro struttura sociale. Lijphart infatti sostiene la superiorità del modello consensuale, sempre; mentre Bormann mostra come le peculiarità culturali, che ogni paese indubbiamente possiede, offuscano qualsiasi beneficio istituzionale prescritto. In altre parole, i singoli paesi non possono negare il proprio patrimonio culturale e tradizioni politiche, importando soluzioni istituzionali senza reinterpretarle in modo considerevole. Un monito che suona quanto più attuale, oggi, per l’Italia, e il suo sistema istituzionale che lo sforzo di volontà di qualcuno vorrebbe cambiare.

Su un punto il lavoro di Lijphart e quello di Bormann convergono senza dubbio: là dove ci sono disaccordi e conflitti profondi, come nel caso italiano, allora il modello del consenso è l’unico che può garantire il consolidamento democratico e la conseguente stabilità politica!

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