Rispettiamo la Memoria

di Fabio De-Carli, scrittore

È strano, basta un profumo, un taglio di luce, una parola sottovoce appena udita, e prontamente ricordi che credevo persi risalgono alla mente e mi avvolgono trasportandomi altrove, dentro lontane memorie. Tutto ora mi è più chiaro, comprensibile e doloroso. Ricordo cosa fu l’Olocausto.

Quando ero bambino passeggiavo sotto i portici di Locarno alla mano di mia madre. Mi piaceva ascoltarla parlare con i commercianti. I negozi si susseguivano, oltre il Municipio c’erano due negozi di stoffe mi pare, ora scomparsi, i proprietari avevano lunghe barbe scure, palandrane e cappelli a larghe tese, dai quali fuoriuscivano lunghi boccoli.    Potevano incutere timore in un bambino. Non a me. La mamma li visitava spesso per un taglio di stoffa o qualche scampolo, si soffermava a parlare con loro. Io li udivo chiamarsi da un capo all’altro del negozio, in una lingua a me sconosciuta, mi sorridevano. Mia madre mi disse che parlavano lo Yiddish, mi spiegò che quei signori erano ebrei. Più grandicello, seduti su di una panca ai giardini pubblici, con un grande gelato alla vaniglia in mano, l’ascoltai raccontarmi la loro storia. La nostra storia del secolo scorso.

Adesso qualche sua frase mi rimbomba in testa. Rivedo quei magazzini, sento l’odore delle stoffe, forse anche di un acre profumo di cucina. Gi occhi sorridenti e dolci di quegli uomini in nero ora, nella mia mente, li rivedevo avvolti da una profonda tristezza e malinconia. Quella tragedia incomprensibile mi portò a leggere soltanto spezzoni di racconti, guardare fotografie di una sconvolgente atrocità che nessuno avrebbe mai dovuto guardare, un ragazzino poi …, mi consumavano il respiro, stracciavano la fantasia di sogni che, come me, ogni bambino dovrebbe avere. A volte quegli orribili avvenimenti mi ritornano alla mente, è una sofferenza, eppure devo cercare il distacco per non odiare. Ripenso a quel periodo di guerra, che non ci ha toccato, che forse avremmo dovuto condividere maggiormente. Quella propaganda che reclamava la “soluzione finale”, un orrore che non mi ha più lasciato. Nelle foto, dentro gli occhi straniti di quelle vittime, spersi nel loro immenso incredulo tormento, scopro occhi che reclamavano, con pudore, pietà, compassione, uno sguardo di comprensione, d’affetto, una mano che stringesse la loro. Non sono riuscito a visitare un campo di concentramento, chissà, un senso di colpa o la viltà per essere parte di quella umanità, e avendo assorbito come una spugna lo strazio di quei dolori facendoli miei, forse, per quel poco che vale, sono soltanto profondamente e sinceramente partecipe? Oppure mi sento semplicemente uomo, tra i molti uomini, nati per ricordare, per far ricordare. La Memoria deve essere continuamente alimentata, anche o soprattutto se fa male. Lo strazio di quel genocidio, comune ad altri più amaramente recenti, fa dubitare che esista in tutti un fondo di bontà. Ma proprio per questo quel periodo deve venire sezionato, analizzato, deve trasformarsi in un sentimento che faccia crescere, faccia riflettere, tocchi l’animo, il cuore.

A Città del Capo, casualmente, ma non credo nella casualità, ho goduto della profonda amicizia da parte di una famiglia di fede ebraica, ho condiviso le loro funzioni, abbiamo avuto importanti discussioni protrattesi fin nelle prime ore del mattino, sono stato con loro alle cene dello Shabbat, ho riso e ho pianto. Tutti noi, parte di una unica realtà.

Restano comunque domande aperte, ognuno ha il dovere di farsele sue, di cercare risposte, sincere. Di porle e, con un senso di responsabilità, di discuterle con le nuove generazioni, che di questa tragedia ricevono purtroppo ancora informazioni urlate. Riflettiamo e facciamo riflettere sul perché l’umanità non abbia imparato nulla dalla Storia. Ripensiamo criticamente cosa significhi far parte di questa Terra.

In questo momento una pandemia ci mette tutti sotto assedio, ci si accorge quanto sia importante darsi una mano, regalare un sorriso. Molto più facile e positivo che straziarsi consumandoci con l’astio. Il passato lascia a tutti noi un compito. Dobbiamo dare spiegazioni alle nuove generazioni, far comprendere cosa significhi condividere questa nostra vita, solo così cresceremo assieme, rispettando la Memoria. 

Fabio De-Carli, scrittore, è autore di “Anime di lago” e “Vento”. 

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