Sapete riconoscere un leader populista (di destra e di sinistra)?

Di Amedeo Gasparini

«Il populismo può essere una forma di “reazione” (sempre transitoria) a quel processo di modernizzazione economica che rompe il tessuto culturale della società e sconvolge gli antichi equilibri sociali, al quale non corrisponde una pari modernizzazione sociale e politica», scrisse trent’anni fa Nicola Matteucci (Il liberalismo in un mondo in trasformazione). Negli anni sono state diverse le definizioni del populismo che hanno anteposto gli studiosi quali Cas Mudde, Nadia Urbinati e Ernesto Laclau. Meno vivace è stato però il diverbio accademico su quello che caratterizza un politico demagogico-populista. Sintetizza Jan-Werner Müller (Che cos’è il populismo?): «Ciò che importa ai populisti non è tanto il prodotto di un reale processo di formazione della volontà o di un bene comune comprensibile a chiunque provvisto di buonsenso, quanto […] una rappresentazione simbolica del “popolo vero”». Tutto quello che è fuori dal cerchio tracciato dal leader populista non è riconosciuto come autentico o degno di essere rappresentato a livello politico.

Per questo, oltre che essere nocivo per la liberal democrazia, il populismo prevede una postura grottescamente infantile di fronte alle questioni sociali. Il populista al comando governa sempre negando di avere accesso al potere, spiega Ivan Krastev (L’impero diviso). Egli «attribuisce tutta la colpa al cosiddetto “Stato profondo” o alle vecchie élite. Continua a far credere di essere all’opposizione anche quando è al governo. Non si assume mai la responsabilità per quello che succede». I movimenti demagogico-populisti si presentano come un’offerta politica che porterebbe all’emancipazione popolare e alla rivincita sui padri-eterni della società, ma in fin dei conti, come nota Alberto Mingardi (La verità, vi prego, sul neoliberismo), non vi è alcuna libertà che venga rivendicata dai partiti populisti o dai loro leader. «La loro promessa è invece quella di un generico ritorno al passato […]. Peccato che questo passato non sia mai esistito.» Qualsiasi sia la declinazione ideologica, la promessa del passato, del ritorno ai “bei tempi felici”, ai tempi “giusti”, dell’equità, della comunanza, fa parte dell’arsenale di tutti i movimenti populisti. Da destra a sinistra.

Secondo Müller, i partiti populisti presentano tre caratteristiche: «il tentativo di appropriarsi dell’apparato statale, la corruzione e il “clientelismo di massa” (scambiando benefici materiali o favori burocratici per ottenere il sostengo politico di cittadini che diventano “clienti” dei populisti) e gli sforzi sistematici per reprimere la società». A questi tre elementi, ne andrebbero aggiunti altri, che antecedono l’arrivo al potere del movimento populista e, al contempo, possono aiutare a giungere a una visione più analitica del politico demagogico-populista. Sia a destra che a sinistra, chi usa il metodo populista nella conduzione della propria offerta politica intende anzitutto creare un nuovo assetto sociale ideale; secondariamente, promuove la divinizzazione di un’entità; in terzo luogo, denigra l’avversario. Questi elementi non sono presenti – o lo sono in minima parte – nei partiti e nei politici cosiddetti tradizionali. Sono propri dei movimenti populisti, nonché elementi specifici che fungono da anticamera verso un ordine ispirato tacitamente ai modelli autoritari.

Primo, la creazione di un nuovo assetto ideale. In altri termini, il mondo perfetto del populista, senza ingombri nella sfera del suo esercizio del potere politico. Il populismo cresce nei momenti malcontento generale, di solito a seguito di una crisi economica, dopo guerre o catastrofi naturali. Esso prende corpo in un leader che diventa il vettore di istanze popolari e agita i cittadini in merito a tematiche scottanti e semplificate ad arte per guadagnare consenso politico.

Il leader populista mostra:
1) disprezzo per la democrazia liberale, definendo la stessa come un modello lento, superato, fuori dal tempo, impantanato, corrotto, oligarchico;
2) accentramento dei poteri in una sola figura e svuotamento del ruolo del parlamento;
3) decisionismo e rapidità nelle decisioni collettive, con disprezzo per il sistema dei checks and balances tipico delle democrazie e dello stato di diritto;
4) insofferenza verso l’indipendenza della magistratura, accusata di essere politicizzata e di perseguitare il leader;
5) insofferenza verso le banche centrali, indipendenti dalle scelte della politica, ma accusate di non essere abbastanza espansioniste in tutte le congiunture economiche;
6) disprezzo per la stampa e minacce ai media e ai giornalisti accusati di essere menzogneri.

Secondo, la divinizzazione di un’entità – estratta o reale. Il populista-demagogo ha bisogno di creare attorno a sé un’allure che lo presenti come intoccabile e al contempo stabilisca un ambiente quasi mistico agli occhi del pubblico. Il leader populista vorrebbe:
1) la divinizzazione del “sé” e dello Stato, come garante dei diritti – e non dei doveri – del popolo, nonché grande badante e sorvegliante delle masse, dalla culla alla tomba;
2) la creazione di una nuova identità popolare basata sulle radici nazionali e sulla creazione implicita di un nuovo popolo, puro e superiore rispetto agli altri;
3) la divinizzazione del leader stesso come essere unico e supremo, l’uomo della provvidenza, il salvatore, il Messia;
4) l’omogeneizzazione della società con annientamento dell’identità individuale a favore di quella generica di “popolo”;
5) il riconoscimento dell’eletto come unica figura legittima da parte di tutto il popolo e viceversa, riconoscimento del popolo da parte del leader come l’unica fonte di legittimazione;
6) l’attacco alla scienza e alla conoscenza, dal momento che nel metodo arbitrario, post-democratico e pre-autoritario tipico del populista non c’è spazio per l’evidenza empirica.

Terzo, la denigrazione acuta e violenta dell’avversario. Questi viene visto ed inquadrato come un nemico supremo da (ab)battere a tutti i costi, in quanto minaccia per il leader populista e “il popolo”. Sebbene si dica democratico, il populista disprezza il gioco elettorale del “si vince e si perde” e dunque sente il bisogno o la necessità di disprezzare il contendente non solo per le sue idee, ma anche a livello personale. Il terzo tratto distintivo dei movimenti e dei leader populisti dunque prevede tre sub-elementi:
1) la creazione del capro espiatorio, un nemico del popolo su cui rovesciare tutte le colpe e le disgrazie della sacra nazione;
2) il trasferimento automatico dei sentimenti estremi e delle pulsioni su di una figura prescelta (capro espiatorio), delegittimandola a livello personale;
3) lo scatenare i poveri contro i ricchi, visti come i nemici assoluti, perché parte dell’élite “bugiarda” e “corrotta”.

I populisti sono maestri, esperti e al contempo sperimentatori di comunicazione politica. La tecnica preferita è comprare il consenso della folla con parole d’ordine e danaro pubblico, in cambio dell’adesione totale a determinati dogmi. Cosa che può avvenire in cinque modalità, preferibilmente da accompagnare sia agli elementi espressi da Müller, che ai tre appena analizzati. Il populista – quasi sempre reazionario, in quanto intende tornare ad un mondo che non esiste più, sia esso ispirato al patriarcato (populismo di destra), che al proletariato (populismo di sinistra) – è a favore di:
1) politiche economiche salvifiche e di stampo socialista o keynesiano, di larga gittata monetaria e largo (ab)uso scellerato della spesa pubblica;
2) elargizione di risorse in danaro, note come mancette clientelari, trasversali all’elettorato;
3) ricorso all’emotività, ai sentimenti forti: scatenare paura e odio per fare breccia nel cuore dell’elettore e conquistare la sua fiducia;
4) esagerazione e la drammatizzazione degli eventi per aggiungere effervescenza alle proprie posizioni politiche;
5) postura aggressiva, radicale, violenta. Non ci si pensa, ma questi tratti analitici sono comuni a tutti i leader populisti del presente, da destra a sinistra.

www.amedeogasparini.com

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