Sean Connery, eterno protagonista

di Nicoletta Tomei

Ci sono notizie che quando bussano alla porta non vorresti fare entrare nella tua vita. E loro, niente: restano lì e non se ne vanno. A ricordare che il tempo è scaduto e devi fartene una ragione. E allora prima di accettarle chiudi gli occhi e cerchi conforto nella memoria. Anni Cinquanta. Anni di dopoguerra. Anni di ripresa, non solo economica. Anche l’industria dello svago cominciava a rimettersi in moto. E così il cinema, rigorosamente in bianco e nero. Cominciava la stagione dei nuovi divi. Poveri ma belli. Ogni Paese aveva i suoi. In Italia Renato Salvatori e Franco indovina. In Francia Gerard Philippe. E da Edimburgo, Scozia, arriva lui, Thomas Sean Connery, scomparso a fine ottobre, facciamocene una ragione. Nome d’arte: Sean Connery e basta. Le sue origini iniziano dagli ultimi gradini della gerarchia sociale. Fisico prestante, semplice nelle pretese ed aspettative come tutti coloro che provengono dalle periferie del mondo, siano geografiche, economiche, sociali, oppure artistiche come per il nostro personaggio. Prima arte di vita, l’arte di arrangiarsi. Inutile dilungarsi, sappiamo cosa significa. Lo sapeva anche il giovane Connery, cresciuto in un monolocale senza acqua corrente e con servizi igienici da condividere con il vicinato.

Scartato dal servizio militare per carenza di requisiti fisici, nientemeno. Calciatore mancato, lavapiatti, muratore, lucidatore di bare, camionista, culturista nel tempo libero. Persino modello in concorsi di bellezza, malgrado una precoce calvizie, e poi qualificatosi terzo a Mister Universo in rappresentanza della sua amatissima Scozia. Finché Connery approda alla settima arte: prima il teatro, poi il cinema. Inizia con piccoli ruoli, niente di che. Ma la sua carriera prosegue. È uno di quelli che oggi chiameremmo un “grezzo”. Ma è un diamante grezzo. Se ne accorge la scrittrice Dana Wilson, che lo segnala al marito Alberto Romolo Broccoli, americano di origini calabresi e partner del duo Saltzmann & Broccoli, impresari cinematografici americani a caccia volti nuovi e buoni affari. E loro affidano al trentenne Connery il ruolo di James Bond, frutto della fantasia e delle esperienze belliche di un nobile inglese, Ian Fleming che, pur non del tutto convinto, lo accetta come protagonista di Doctor No, il primo film di una fortunata serie cinematografica quest’anno arrivata con No time to die alla venticinquesima produzione. Il successo fu immediato ed alimentato da una fortuita serie di circostanze propizie. Nel nostro caso, dalla concomitanza di una prosperità economica ed una generazione desiderosa di spenderne i frutti. Avventure, luoghi esotici, trasgressioni al sistema.

Connery ed il suo James Bond mostrarono al pubblico del dopoguerra che le regole potevano essere infrante anche e semplicemente per il gusto di farlo, nel caso specifico perché è il lavoro di un agente segreto. Dal cinema alla vita: basta abbinare al pretesto divistico la voglia di emulazione degli spettatori, specie più giovani, ed eccovi anticipata la miscela di elementi che giustificheranno il Sessantotto. La rivoluzione elevata a sistema, per il gusto di una scelta di vita senza domani. Connery impersonerà James Bond in sette film, anche se da accorto imprenditore della sua immagine si concede anche ad altri ruoli. Ma l’interesse del pubblico rimane immutato.

Basta il suo nome sul cartellone ed il film diventa automaticamente un block-buster, un successo al botteghino. Ed eccolo quindi con Gina Lollobrigida ne La donna di paglia. E poi in pellicole come Highlander, Il nome della rosa, Indiana Jones e l’ultima crociata. Sino ad arrivare all’Oscar con Gli intoccabili, una delle produzioni cinematografiche a più alto tasso di italianità. Regista: Brian De Palma, americano di origini pugliesi. Abiti di scena preparati dal piacentino Giorgio Armani, ancor oggi leader assoluto della moda italiana nel mondo. Dalla città eterna, Roma, invece arriva la colonna sonora preparata dal maestro Ennio Morricone. La sua presenza è talmente apprezzata, che Sean Connery si concede il vezzo di recitare tutti i suoi personaggi con accento forte accento scozzese, senza curarsi della corretta pronuncia anglosassone richiesta dal ruolo.

Segnato dall’ossessivo divismo globale che si trovò a subire negli anni Sessanta impersonando James Bond , Sean Connery è sempre stato gelosissimo della sua vita privata. Due matrimoni, un figlio. Vegano. Ecologista convinto e sostenitore delle iniziative ambientali del democratico Al Gore, vice-presidente degli Stati Uniti nel periodo di Bill Clinton. Sostenitore della secessione della sua Scozia dal Regno Unito ma insignito della onorificenza di CBE-Commendatore dell’impero Britannico per volontà della Regina Elisabetta. Cavaliere dell’Ordine della Legion d’Onore e Commendatore dell’Ordine delle arti, delle Lettere e della Letteratura attribuitigli dalla Repubblica Francese. Come Ian Fleming, creatore del suo personaggio più famoso, Sean Connery ormai da quindici anni si era ritirato dalle scene e viveva alle Bahamas.

Con il novantenne Connery si chiude un’epoca. Quella del divismo cinematografico. In attesa dei tempi a venire, è giusto concludere osservando che a causa della pandemia il debutto dell’ultimo film di James Bond è già stato rinviato due volte. Anzi, nell’ambiente gira notizia che, per recuperare i costi sostenuti per la produzione e ben due campagne pubblicitarie internazionali andate a vuoto, la produzione stia addirittura pensando di vendere i diritti di No time to die direttamente alle piattaforme digitali, saltando la tradizionale prima visione nelle sale cinematografiche di tutto il mondo. Ammettiamolo: per risolvere queste complicazioni ci vorrebbe proprio James Bond, eterno agente segreto.

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